Yoan Capote – Elegy
Mostra personale di una figura di spicco della scena artistica internazionale, Yoan Capote.
Comunicato stampa
Galleria Continua è felice di presentare per la prima volta nei suoi spazi romani, all’interno del prestigioso hotel The St. Regis Rome, la mostra personale di una figura di spicco della scena artistica internazionale, Yoan Capote.
La mostra, dal titolo “Elegy”, presenta opere che fanno riferimento con un approccio profondamente concettuale ed emotivo al Paesaggio. Qui possiamo apprezzare il dialogo che si crea tra le opere dell’artista ed alcune sculture che spingono gli iconici paesaggi marini di Capote verso uno spettro di riflessione più ampio e globale, sottolineando i valori, il simbolismo e l'importanza culturale dei materiali utilizzati per creare questi dipinti: ami da pesca riciclati, catene rotte, recinzioni di filo, filo spinato smontato, foglia d'oro, gesso e altri.
Sebbene tutte le opere in mostra riflettano sul tema della migrazione da una prospettiva locale e universale, è importante notare come queste assumano anche significati con sfumature sociali e politiche. La serie “ISLA” è stata inizialmente ispirata ai ricordi e alle esperienze personali dell'artista durante gli anni '90 a Cuba quando in prima persona fu testimone della forte crisi di quel periodo. Ma, in realtà, fu il concetto ideologico de “la cortina di ferro”, utilizzato durante la guerra fredda, a dare una forma definitiva a questa idea. I dipinti composti da ami da pesca sono destinati a trasformare l'immagine del mare in una recinzione metallica e una superficie tattile che si rivolge allo spettatore e crea un contatto simbolico con l'oggetto. Questo mare-recinzione diventa, quindi, metafora di un muro per la stessa Cuba, unico paese che durante la Guerra Fredda non ha potuto erigere barriere artificiali e si è dovuta avvalere dell’elemento naturale a lei circostante.
Le opere, che fanno parte della serie “REQUIEM”, sono frutto di un viaggio compiuto dall’artista per la prima volta in Italia e traducono la riflessione di Capote sui precetti dei capolavori artistici custoditi in chiese, luoghi sacri e musei. Questo contesto gli ha permesso di collegarsi più direttamente alle recenti correnti migratorie del Mar Mediterraneo, dando luce ai parallelismi con il proprio rapporto profondo con il mare e la sua esperienza cubana. Radicato nella tecnica dei dipinti religiosi del primo Rinascimento e delle pale d'altare medievali, la foglia d'oro è un elemento centrale dei dipinti che compongono "REQUIEM". L'oro è da sempre associato al divino e allo spirituale, usato per rappresentare la purezza, la devozione e la luce celeste. Al di là del suo valore materiale, l'oro è stato utilizzato in opere d'arte e pale d'altare in tutte le culture per evocare un'atmosfera ultraterrena e trascendentale che porti alla riflessione e alla meditazione. In questi nuovi paesaggi marini, Capote colora il cielo e alcune zone d'acqua con foglie d'oro: la brillante luce dell'orizzonte è anche un'allegoria della speranza del migrante per un futuro migliore. In questi dipinti diventano una sorta di pala d'altare, evocando una connessione spirituale tra il paesaggio e la morte. Per l'artista, questi paesaggi marini sono un omaggio visivo alle anime dei migranti provenienti da culture diverse, morti in mare. Le opere evocano un senso di empatia per l'attuale sofferenza di tutta la vita e della natura.
In tutta la serie “PURIFICAZIONE” Yoan Capote ricicla e riutilizza catene, recinzioni di filo spinato, manette e altri detriti metallici in forme e dimensioni alternate; sono momenti di decostruzione, tensione, aggressività e controllo. Non è un caso che l'uso di questi materiali susciti temi di confine, controllo, libertà, migrazione, potere e oppressione. L’artista manipola il materiale metallico raddrizzandolo, appiattendolo o battendolo, usando il metallo così trattato per disegnare linee meticolose su una superficie intonacata. L'intero processo è mostrato in un video presentato nella mostra che documenta le sequenze di azioni e il potente significato dell'opera. Questi elementi metallici sono ossidati in modo tale da costituire una sorta di intonaco, creando così una somiglianza iconografica con i disegni e e le incisioni classiche. Capote sigilla ulteriormente le superfici con vernice opaca e, in alcuni casi, le illumina con sottili strati di pittura a olio per rafforzarne la profondità e l'atmosfera.
Capote dichiara “L'assurdo atto di liberare il filo spinato dalla sua aggressività toglie tutte le sue estremità aguzze e lo riporta alla sua forma diritta primaria. Vedo questo come una metafora della purificazione dell'oggetto e della sua funzione, e qualcosa di simile accade quando tutte le maglie della catena sono frammentate e piegate con il fuoco”. L'azione ossessiva e quasi politica dell'artista di tagliare manette e fili con strumenti da gioielliere, trasformandoli in linee fragili che disegnano cieli nuvolosi e vasti orizzonti, crea una forma di poesia visiva. Per Capote, si riferisce alla ricerca della libertà come parte intrinseca della natura umana.
La mostra si compone così di opere realizzate attraverso un laborioso processo materiale e produttivo che si concentra sull’esame dei comportamenti e degli stati psicologici dai più intangibili ai più viscerali, alludendo ad ideali, come la speranza, la vita e la libertà, con il fine ultimo di costruire luoghi di ottimismo.