Zaelia Bishop – Daedalus Rising
È all’insegna del labirinto la nuova serie di opere dell’artista romano autore di affascinanti assemblage materici, sospesi in equilibrio sulle regioni selvatiche della memoria e del sogno. La mostra “Daedalus Rising” presenta due affascinanti cicli di lavori realizzati da Zaelia Bishop nell’ultimo anno, distinti ma tra loro vincolati, accompagnati da un’installazione.
Comunicato stampa
È all’insegna del labirinto la nuova mostra presentata negli spazi della Fabrica Fluxus Art Gallery di Bari. Inaugura sabato 22 ottobre alle ore 19 ed è visitabile dal 22 ottobre al 22 novembre la personale “Daedalus Rising” di Zaelia Bishop (Roma, 1977), a cura di Francesco Paolo Del Re in collaborazione con Roberta Fiorito. È, questa, la prima mostra personale nel sud Italia dell’artista romano autore di affascinanti assemblage materici, sospesi in equilibrio sulle regioni selvatiche della memoria e del sogno.
Sepolto da sedimenti di rimembranze e stratificazioni di desideri e patimenti di stagioni mai del tutto disabitate, il labirinto risorge sulla spinta di un irrefrenabile movimento tellurico, come luogo di fantasmagoria, architettura impossibile in cui riconnettere ipotesi di storie, frammenti di narrazioni disparate, filiazioni letterarie, echi di possibilità, mesmerismo di citazioni e voracità di collezioni. È lo scenario ideale in cui ambientare l’affaccendarsi di un’adolescenza eterna, popolata dalla filigrana di figure care, appassionate, screpolate dal tempo che non perdona, sgretolate dagli urti di un’immane catastrofe del quotidiano che si fa concrezione, escrescenza, infiorescenza umbratile protesa verso lo spettatore, come per un abbraccio di riconoscenza. Dal labirinto parte la sfida titanica dell’artista, lo strenuo tentativo di trovare l’uscita del dedalo, nonostante la consapevolezza del possibile fallimento.
La mostra “Daedalus Rising” presenta due cicli di lavori realizzati da Zaelia Bishop nell’ultimo anno, distinti ma tra loro vincolati, accompagnati da un’installazione.
I “Portraits After Great Pain” nascono sotto il segno del Naufragio, inteso come metafora di frantumazione. Sono ritratti di uomini, donne e bambini smarriti nel tempo che tornano, nella labile traccia fotografica centenaria sopravvissuta fino ai giorni nostri, a bussare alla porta del presente portando in dono i segni di una trasformazione. Ciascuno dei protagonisti dei ritratti porta infatti su di sé la memoria di un urto antico. Gli elementi che ne trasfigurano corpi e volti sono la traccia ultima del ricordo della loro collisione. L’intero lavoro va inteso come una ricerca tra le pagine scomposte di biografie immaginarie. Ciascuna biografia addensa un ricordo inesorabilmente sfigurato dal tempo e attualmente non intellegibile.
I “Diari dal Dedalo” rappresentano una tappa all’interno di un lungo percorso parzialmente autobiografico che si dipana in modo labirintico e senza destinazione, attraverso la memoria stessa dell’autore. Si presentano nella forma di piccole wunderkammern apparecchiate in vecchie scatole di legno. Sono un tentativo di ricomporre frammenti e simboli disseminati lungo la linea d’ombra che separa la fanciullezza dall’età adulta.
All’ingresso della galleria, inoltre, lo spettatore è accolto da un’installazione. Dal soffitto dello spazio espositivo Zaelia Bishop fa calare una serie di elementi sospesi per mezzo di fili sottili intrecciati, simili a capelli. Elementi naturali, vegetali o animali, armati di disidratata pericolosità, concrezioni fossilizzate di un tempo immemore, nodi di parole per carteggi afasici, argini in cui è stato lasciato scorrere il fiume della memoria fino a non trattenere più l’eco di un’acqua, memoria che si sclerotizza in un lacerto fotografico, in una congettura biografica, nello sbiadire di una passione, ansito di un futuro passato.
Ricorrono gli elementi che caratterizzano la personale grammatica espressiva dell’artista: non evenienze casuali, ma epifanie di un’attitudine elettiva che vengono investite dello smisurato potere evocativo di spalancare mondi, di condensare ricordi, di distillare il dolore e amplificare il sentimento, di assurgere a vettore presente di un rimosso, di un desiderio estenuato, di un delitto vaporizzato, di un rinunciatario trionfo, di un rituale smarrito e senza istruzioni.
I temi che permeano tutto il corpo del lavoro di Zaelia Bishop sono il tempo inesorabile, che preserva disseminando e poi logora, e il senso della perdita irrimediabile a esso connesso. Quindi il dolore, la morte, la preparazione e l’elaborazione del lutto di chi sa di andare perdendo, ogni istante, una parte della propria memoria. Il vagheggiamento della dissipazione impedisce ogni presunzione di narrazione: il mondo di Zaelia Bishop non ammette la possibilità di un ordine narrativo, costruito su idee di progresso e di progetto. È, il suo, un lavoro sulla distruzione della narrazione e sui ripetuti tentativi, troppo umani e per questo eroici, di ricomporre immagini, ripensare storie, interrogando memorie rizomatiche, sensi divergenti, linee di accrescimento irregolari, assemblage impossibili, trasmutazioni, ibridazioni, metamorfosi.