#MeToo e il mondo dell’arte
Prosegue il dibattito inerente al movimento #MeToo. Com’è cambiata la posizione della donna nell’artbiz? Quali fantasmi ha risvegliato questa rivoluzione di pensiero? La parola a dieci protagoniste del mondo della cultura.
ANNA MARIA CRISPINO ‒ DIRETTRICE DI “LEGGENDARIA”
Il fenomeno #MeToo pare nato spontaneamente, quasi per caso, ma è il risultato di una forte e crescente presa di coscienza da parte delle donne. Lo dice bene la copertina di fine d’anno nel settimanale Time, proclamando le “Silence Breakers” come “Personaggio dell’anno”: quelle cinque donne sono state le prime a rompere il silenzio su un fenomeno che era noto e diffuso da tempo nel mondo del cinema, ma che sembrava una regola del gioco da rispettare per poter lavorare in quel settore.
Un settore privilegiato, certo, ma le molestie sul lavoro sono una pratica antica e pervasiva da quando le donne sono entrate nella sfera pubblica, cioè quella del lavoro – basti pensare a tanta letteratura anche italiana sulle serve, le maestre, le contadine, le operaie ricattate dai rispettivi padroni o superiori. Ebbene: parlare, dirlo, denunciarlo è un gesto di grande potenza.
PATRIZIA ASPRONI ‒ PRESIDENTE DEL MUSEO MARINO MARINI
Penso che sia diventato una sorta di outing collettivo positivo. Trovo che il movimento delle donne che hanno deciso di denunciare sia una presa di posizione intelligente e collettiva. Come si è scoperto, è evidente che le donne che hanno subito questo tipo di assalti, hanno sempre vissuto tutto ciò in totale solitudine, come una cosa da occultare. Insomma, mi è piaciuta questa presa di posizione collettiva, che ha dimostrato che le donne hanno maturato una coscienza di sé e che ha cancellato anni di vergogna.
Gli intoccabili come Weinstein improvvisamente sono diventati dei giganti dai piedi d’argilla, perché hanno costruito la loro fama sulla vergogna femminile. Il movimento è nato nel mondo dello spettacolo e poi si è sparso a macchia d’olio. Diciamo che lo star system ha aiutato il fenomeno ad uscire. Ma poi è diventato universale.
LUCIA VERONESI ‒ ARTISTA
Il movimento #MeToo è corale, e questa è la sua forza. Fa sentire le donne meno sole, le fa sentire parte di un gruppo, le protegge. Per troppo tempo certi comportamenti erano considerati normali. Averli scardinati ha scatenato una ribellione incredibile, al di là delle aspettative.
Mi ha colpito che ci siano state reazioni completamente opposte. Da una parte, una specie di movimento femminista d’élite, guidato da star e attrici famose. Dall’altro lato, donne altrettanto celebri che denunciavano il pericolo di una caccia all’orco. Per me ci sono delle valide ragioni da tutte e due le parti. In più è stata un’occasione per ripensare alle proprie esperienze, considerandole non solo come episodi isolati ma leggendole all’interno di un vero e proprio sistema.
ROXY IN THE BOX ‒ ARTISTA
Da quel che so, il movimento #MeToo nasce circa dieci anni fa, fondato per difendere tutte quelle donne di colore già sottopagate per lavori tipo cleaner, badanti, baby-sitter ecc., ma che durante le ore di servizio dovevano anche subire pesanti molestie. Molti di noi non conoscevano questa organizzazione che nasce in America, ma poi con la vicenda Weinstein l’hashtag è stato utilizzato per dare coraggio e voce a chi ha subito. Ne è uscito fuori un coro a livello mondiale e in tante non hanno avuto più paura di confessare la propria esperienza dolorosa. Io sto, ovviamente, con queste donne. Quando ti trovi a cantare in un coro hai meno paura a tirar fuori la voce, e non importa se non l’hai fatto prima, l’importante è raccontare e ne sta uscendo fuori davvero una fotografia dell’orrore.
Cosa ne penso? Penso che le donne finalmente oggi abbiano meno paura e che si sentano meno sole. E forse da oggi in poi le denunce, i racconti, le confessioni possono avvenire in tempo reale. Anche perché vent’anni fa se solo dicevi che tenevi le corna venivi messa da parte perché vista come un rifiuto, pensa se denunciavi che eri stata abusata sessualmente!
SERENA FINESCHI ‒ ARTISTA
L’imbarazzo e l’abuso che le donne subiscono in tutti i mondi possibili è quotidiano, tanto diffuso che sovente rientra nell’accettazione di un sistema di violenza di genere. Dovremmo quindi concentrarci sul contesto e sul sistema che genera questa inaccettabile normalizzazione; riflettere all’origine delle cose. Educare i nostri figli al rispetto e all’umanità. Tornare a riconsiderare l’humanitas come atteggiamento essenziale per la nostra sopravvivenza di esseri umani e di artisti.
La Storia dell’Arte ci racconta con fermezza che per le donne è stato difficile sottrarsi all’invisibilità e, nonostante oggi – in Italia e all’estero – vi siano numerose figure femminili del settore di grande spessore e talento, siamo ancora ben lontani dalla considerazione paritaria con gli uomini e viviamo un sistema in cui è ancora evidente una condizione di subordinazione. Forse, nelle giovani generazioni, una maggiore sensibilità rispetto all’identità di genere dona una conseguenza meno repressiva nei confronti della figura femminile, e questa asimmetria generazionale potrebbe far collocare le donne in una posizione più centrale, rispetto al tempo in fieri.
TERESA MACRÌ ‒ CRITICA D’ARTE, DOCENTE E SCRITTRICE
#MeToo? Era ora che le pregiudiziali di una cultura sessista e omofoba che hanno costruito immaginari comportamentali collettivi venissero alla luce con tanta risolutezza. Che i concetti (gramsciani) di egemonia e subalternità che hanno fondato le nostre opulente società fossero messe alla berlina.
Ciò che temo è il rischio di una generalizzazione indiscriminata e, ancor di più, quello di una attenzione/tensione transeunte. Non so se sia in atto una rivoluzione di pensiero (neanche me lo auguro, visto che le rivoluzioni storicamente sono destinate al fallimento) ma mi piacerebbe (utopia?) un mondo dell’arte realmente liquido, transgender e transgenerazionale, più rischioso e meno compiacente con le proprie ipocrisie.
ELVIRA VANNINI ‒ DOCENTE E CURATRICE
Con la campagna #MeToo centinaia di migliaia di donne hanno sollevato la coltre di silenzio e complicità forzata, raccontando le proprie storie di prevaricazione, sfruttamento, sottomissione, esclusione, in una presa di parola soggettiva fino alla traiettoria politica del #WeToogether: la dilagante ricomposizione delle lotte femministe attorno alla questione della violenza ha consentito di smascherare pubblicamente il nesso costitutivo – non solo nell’ordine simbolico-discorsivo – tra sessualità e potere, precarietà e ricattabilità.
Il mondo dell’arte non è estraneo ai rapporti sociali e si organizza a partire dalla gerarchia implicita (e mai esplicitata) di una scala maschile di valutazione in cui la donna occupa una posizione minoritaria (gap salariale, inferiore rappresentanza nelle istituzioni e nel mercato) attraverso la naturalizzazione delle asimmetrie di genere, la soggettivazione patriarcale dei ruoli, la cattura neoliberale degli immaginari femministi e dei suoi strumenti di rottura. La denuncia non è una postura vittimistica, gli uomini hanno molestato – e continuano a farlo – perché un sistema millenario lo ha permesso. Non è forse giunto il momento di estirpare la radice dell’abuso sessuale e di potere, nei rapporti affettivi e riproduttivi, di subalternità e di lavoro, ossia il patriarcato?
LAURA CIONCI ‒ ARTISTA
La deformazione creatasi nei secoli e il lungo e inesorabile lavoro certosino fatto dalle società antiche fino ai nostri giorni per inserire la donna in un dato settore fa sì che il cambio, la crisi, non sia naturale e men che meno giusta la sua modalità. Si creano dei vuoti e delle fazioni, che rendono tutto aggressivo. E mentre la crisi è in atto, spesso aumentano le situazioni di disagio e di repressione.
Non è il rispetto quello che manca o che si vuole, ma una coerenza nella consapevolezza di essere. Meno timore per lo sconosciuto (universo femminile). Non è un testo diretto agli uomini. Non si gioca una partita di calcio ma si ricerca una sottile fusione tra gli esseri umani. Il lavoro comincia dalla nostra personale consapevolezza di ciò che siamo e delle sinergie che creiamo. Voglio rimanere fuori dallo schema del gioco in corso. Non voglio rivendicare, perché non voglio essere la specie protetta. Voglio giustizia per il dolore e una profondità d’animo che oggi è svanita chissà dove.
CLARA TOSI PAMPHILI ‒ STORICA DELLA MODA E DEL COSTUME, CURATRICE
Il mio sentimento nei confronti del movimento #MeToo è di rispetto ma non di condivisione totale. Credo sia positivo rialzare il livello di attenzione tanto da far capire a chi approfitta delle proprie posizioni che rischia moltissimo e alle vittime che non sono più sole. Vorrei però cercare di non fare distinzioni di genere come di ambiti professionali, ma parlare di vittime e di aggressori.
Sono madre di figlie e figlia di una femminista convinta, ma sinceramente in questo momento mi spaventa di più la strumentalizzazione che sto vedendo, purtroppo più del fenomeno in sé e per sé. Ma credo che la comunicazione alteri ogni cosa: anche le storie positive vengono manipolate fino a diventare ambigue, si creano mostri per fare titoli ma non si affronta mai costruttivamente il problema. In poche parole, trovo assurdo che scompaiano certi personaggi e altri no. Purtroppo non credo che questo fenomeno cambierà significativamente un sentimento di prevaricazione sui più deboli.
IVANA SPINELLI ‒ ARTISTA
Mi è venuta in mente un’immagine. Hai presente quando entri in una stanza affollata di gente già da ore e senti che l’aria è tremendamente viziata, e ti viene spontaneo dire “apriamo le finestre”? Ecco, penso che ci troviamo da millenni a respirare un’aria così viziata, sempre la stessa, che ci rientra in circolo e ci ottunde il cervello, che quando qualcuno vuole aprire la finestra ci stupisce, se non addirittura ci infastidisce.
#MeToo è una delle tante finestre che vengono aperte. È inevitabile aprirle e bisogna continuare. Per me la sostanza del movimento sta nel far uscire le persone dalla solitudine della propria esperienza e rendere tutti più consapevoli delle dinamiche di potere mascherate da libidine o da scherzo. Ascoltare i racconti di chi è stata abusata significa anche comprendere quante sfumature la violenza possa avere: non parliamo solo di corpo, ma di soggezione psicologica spesso indotta dalla situazione (di disparità di potere) o da una mentalità diffusa e introiettata. E capire che il problema riguarda tutti.
‒ Santa Nastro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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