A Firenze il primo summit delle Capitali Europee della Cultura. Il report dell’incontro
Che cosa vuol dire per una città essere stata capitale europea della cultura? Quali percorsi virtuosi, promossi dalle varie amministrazioni, possono essere messi in comune, in un’ottica di crescita dell’intera Unione Europea? Se ne è discusso a Palazzo Vecchio, sede di un evento inedito al quale hanno aderito le città europee “detentrici del titolo” dal 1985
“Stabilire una rete di Sindaci delle Capitali Europee della Cultura che si riuniranno ogni due anni in una diversa Capitale della Cultura per valutare i progressi fatti e discutere nuove idee e proposte”. È questo uno dei principali obiettivi contenuti nella dichiarazione finale sottoscritta dai sindaci che hanno preso parte, il 5 e 6 novembre scorsi, alla prima conferenza delle Capitali Europee della Cultura. A più di trenta anni dal debutto di un’iniziativa contraddistinta da un crescente successo, che ha contributo a valorizzare e far conoscere il patrimonio culturale dell’Europa, nella sua eterogeneità, Firenze ha accolto un summit senza precedenti. Mai prima d’ora, infatti, era stata promossa un’iniziativa finalizzata a “mettere in rilievo l’istituto delle capitali della cultura, che a mio avviso è molto più importante di quanto non sia comunemente riconosciuto, per il processo di integrazione europea”, come ha indicato il sindaco Dario Nardella, accogliendo delegazioni provenienti da Porto, Dublino, Turku, Santiago di Compostela San Sebastian, Matera, Sibiu, Cork e Bruxelles, per citarne alcune. Inaugurato dal Ministro per i Beni Culturali Alberto Bonisoli dal Commissario Europeo per la Cultura, Istruzione Gioventù e Sport Tibor Navracsics, l’appuntamento si è svolto nell’anno del Patrimonio Culturale Europeo; trae origine dal primo G7 della cultura, che si svolse nel marzo 2016, sempre a Firenze. Il capoluogo toscano, del resto, nel 1986 è stata la prima città italiana a ottenere lo “speciale status”, esattamente un anno dopo Atene, dove il “format” iniziò a muovere i primi passi. Una condizione, quella di capitale della cultura, che non si esaurisce di pari passo con il termine prefissato: “le città sono le custodi di questi valori e li fanno crescere col lavoro quotidiano. Questo è il loro compito: non essere solo per un anno ma rimanere per sempre capitali della cultura, per mandare un messaggio di coesione, di solidarietà, di crescita e di pace”, ha aggiunto ancora Nardella, che ha scelto di associare l’appuntamento alla nuova edizione di Unity in diversity, la riunione dei sindaci di varie città del mondo promossa nel nome della cultura e della pace.
PREMIATO LO SPIRITO DI SOLIDARIETÀ E DI RESILIENZA DI GENOVA
Unity in diversity ha coinciso con l’anniversario della morte di Giorgio La Pira, avvenuta il 5 novembre 1977. Proprio al politico che per due volte fu sindaco del capoluogo toscano – dal 1951 al 1957 e dal 1961 al 1966 – sono intitolati i riconoscimenti legati al forum dei sindaci. Nell’edizione 2018 i premi sono stati assegnati a Nuevo Cuscatlà, nello stato di El Salvador, a Matera e a Genova. Della Capitale Europea della Cultura 2019, protagonista di una delle sessioni di confronto della conferenza e di una trascinante presentazione a cura di Paolo Verri, è stata messa in evidenza “la sua capacità di proiettarsi nella comunità internazionale, per la sua determinazione e apertura al cambiamento, la tenacia nel capovolgere stereotipi culturali”; particolare enfasi è stata posta “sull’impegno congiunto di cittadini, associazioni e istituzioni a favore di iniziative e progetti inclusivi che ne fanno una delle città simbolo di un sistema culturale integrato”. Del capoluogo ligure, Capitale Europea della Cultura 2004 – in tandem con Lille, in Francia -, è stato invece sottolineato “lo spirito di solidarietà e di resilienza che ha contraddistinto il capoluogo ligure all’indomani della tragedia del viadotto Morandi che ha causato lutto, sofferenza e devastazione. In particolare per il coraggio, la forza e la dignità delle famiglie colpite, dei cittadini e dei soccorritori, per la dignità e la capacità di reazione della comunità e per l’impegno delle istituzioni locali nel fronteggiare un grave evento cittadino e nazionale”.
ANCHE UNA NUOVA OPERA DI EMILIO ISGRÒ
Oltre al dibattito tra Eike Schmidt, Direttore delle Gallerie degli Uffizi, James Bradburne, Direttore della Pinacoteca di Brera, e Cristiana Collu, Direttrice generale della Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, coordinato da Tommaso Sacchi in occasione dell’apertura della conferenza, l’arte ha accompagnato l’intera durata dell’appuntamento fiorentino. Per l’occasione Emilio Isgrò ha concepito la grande installazione Nine Words for the World and Twenty for the Clouds. A cura di Marco Bazzini e Sergio Risaliti, l’opera segue le due Mappe di Alighiero Boetti presentate nella precedente edizione di Unity in diversity, ed è stata posizionata sulla Tribuna dell’udienza del Salone dei Cinquecento, a Palazzo Vecchio. Su due pannelli, ciascuno di circa 30 metri quadrati, l’artista originario di Barcellona Pozzo di Gotto ha reso leggibili ventinove parole: “Nove per il mondo e venti per le nuvole, ovvero per un modo diverso di vedere la realtà fuggendo, così, dai luoghi comuni o dagli stereotipi.” In merito a Nine Words for the World and Twenty for the Clouds, Isgrò ha raccontato: “tanti anni fa, quando cominciai a cancellare i primi libri, non immaginavo assolutamente che quel mio gesto così “distruttivo” – almeno all’apparenza – sarebbe diventato con il tempo un gesto di ricostruzione e di salvezza. Ero e sono convinto, infatti, che una società mediatica come la nostra, di impianto eminentemente visivo, avrebbe spinto a poco a poco la parola umana nell’angolo buio del silenzio e della chiacchiera. Vanificando con ciò stesso la nostra capacità di riflettere e di pensare: che è poi la più democratica delle attitudini umane, essendo la parola alla portata di tutti, indipendentemente dal censo, dal sesso o dalla religione. (…) Così, quando mi è stato chiesto di creare un’opera che celebrasse questo incontro di sindaci in uno dei luoghi canonici della cultura mondiale – la strabiliante Sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio –non ho esitato a scartare quelle parole obbligate come “verità”, “fraternità”, “giustizia”, con le quali gli uomini sperano di illuminare il loro percorso di vita. Ho preferito scegliere parole più semplici e trasversali come “avido”, “malinconia”, “scendere”, “salire” e perfino “gallina”. Insomma parole di tutti i giorni e quasi ovvie: perché è la naturalezza del vivere che dobbiamo riconquistare, la possibilità di vivere tutti insieme scambiandoci le parole come doni. Io ne ho scelte per il mondo e per le nuvole (cioè per voi) appena ventinove. Le altre le sceglierete voi assieme ai vostri popoli.” L’opera è stata donata alla città di Matera.
– Valentina Silvestrini
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