Scenaristi di ritorno (dalla classicità). L’editoriale di Irene Sanesi
Il principio di precauzione è uno strumento utile nel campo delle imprese culturali? Fra prudenza e rischi, una riflessione su scenari e conseguenze.
La gestione delle imprese culturali è questione complessa, lo sappiamo. È anche questione di tempo, perché “presto e bene non stanno insieme”, recitava un saggio proverbio popolare, non lasciando sottinteso come i risultati, quando arrivano, sono il frutto di visione, strategia e azione. Tra i fondamentali del management che stanno assumendo particolare valore strategico v’è il principio di precauzione. Un principio che si ispira alla prudenza, tra le quattro virtù cardinali della morale occidentale, secondo cui l’intelletto deve disporsi a un’analisi accorta e circostanziata dell’ambiente esterno (non resti deluso colui che si sentiva pioniere della swot analysis) e la ragione (o meglio la mente) tendere al discernimento. Prudenza come saggezza platonica, da Aristotele poi ripresa nella sua praticità: valutare “ciò che è bene per l’uomo”, che l’Aquinate ci restituirà più avanti come auriga virtutum (cfr. Stefano Zamagni, Prudenza, Il Mulino, Bologna 2015).
Una virtù, la prudenza, che nella parabola spazio/tempo deve necessariamente accompagnarsi alla propensione al rischio, bilanciandosi adeguatamente (negli aspetti quantitativi) e armoniosamente (in quelli qualitativi): si pensi ad esempio alle profonde differenze tra un’impresa del settore pubblico rispetto a una del settore privato.
Chiamati, oggi come siamo, a pensare e pianificare continui forecast (leggasi budget, bilanci di previsione, rendiconti prospettici, simulazioni, valutazioni di impatto, e l’elenco potrebbe continuare), a interrogarci preventivamente sugli esiti attesi, che si tratti di una mostra o di una stagione teatrale o di un restauro, sappiamo che molti di questi stessi esiti saranno il frutto della capacità di introiezione vigilante del principio di precauzione. Introiezione personale e singola, ma anche aziendale e collettiva, come pervasività nel team di quella sana prudenza poc’anzi citata.
“Una virtù, la prudenza, che nella parabola spazio/tempo deve necessariamente accompagnarsi alla propensione al rischio, bilanciandosi adeguatamente”.
Simulare e allenarsi a simulare le conseguenze delle nostre scelte prima, delle nostre azioni poi, diventa una forma di apprendimento predittivo permanente, una palestra di pensiero che irrobustisce i nostri anticorpi contro l’azzardo, aiutandoci a prevenire l’incertezza (fattore ben diverso dal rischio, quest’ultimo più facilmente misurabile e ponderabile).
Così, dopo anni nei quali i numeri erano i protagonisti di qualsiasi modello o template, quasi in un nomadismo di ritorno forzato, siamo chiamati a essere nuovi scenaristi di conoscenze. E a farlo ben oltre i numeri e al di là di essi. Come? Facendo nostro il principio di precauzione, appunto. Provando a immaginare cosa accadrà “se”, a mettere insieme competenze trasversali, a lavorare in rete, a coltivare una comunità di apprendimento all’interno delle imprese culturali (e – perché no? – anche al di fuori).
A fare memoria del nostro passato che, come sempre, ci svela alternative.
‒ Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48
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