Dieci anni di galleria milanese Luca Tommasi. Il suo fondatore si racconta
Ha lavorato nelle case d’asta, nei canali televisivi, nella curatela. Poi ha deciso di mettersi in proprio, mettendo in pratica come gallerista tutte le esperienze acquisite nel tempo. Quest’anno la galleria Luca Tommasi compie dieci anni e, nonostante l’emergenza sanitaria non permetta di celebrare a dovere tale anniversario, vi raccontiamo qui la sua storia.
È il momento di un meritato festeggiamento per un gallerista “che si è fatto da solo”. Luca Tommasi, la cui omonima galleria sorge attualmente in zona Isola a Milano, dopo una carriera in ascesa cavalcata ricoprendo vari ruoli del sistema artistico (e imparando tante mansioni) ha deciso di diventare il capo di se stesso, mettendosi in proprio e aprendo un’attività che rispondesse ai suoi gusti e al suo personale percorso. E, in occasione dei dieci anni, ci racconta com’è andata questa scommessa, intrapresa senza l’aiuto di particolari finanziatori o sostanziosi aiuti dall’alto. Senza darci la ricetta di nessun miracolo, bensì raccontandoci come stanno le cose con schiettezza: il mondo dell’arte oggi non è né facile né impossibile, ma per starci dentro è fondamentale una buona dose volontà e determinazione (ovvero di “fame”, come la chiama Tommasi). È una conquista lenta e faticosa, ma dopo dieci anni di impegno si sorride constatando i risultati. Come è accaduto a lui.
La galleria Luca Tommasi compie dieci anni: è tempo di bilanci. Come descriveresti questo percorso? In salita, in discesa e perché?
In progressione direi. Mi sono conquistato il mio spazio cm dopo cm, non avendo ereditato la galleria e non avendo potuto contare su finanziamenti di familiari o soci. Quindi tutto quello che ho fatto è stato possibile grazie alla fiducia di tantissimi collezionisti che in questa decade mi hanno seguito, apprezzando evidentemente la grossa mole di lavoro svolta che in numeri si traduce in 30 mostre personali, 11 mostre collettive e 35 cataloghi pubblicati.
Cosa ti ha spinto dieci anni fa ad aprire una galleria?
Sono partito da Monza, la mia città natale, con un piccolo ma grazioso spazio nel salotto buono del capoluogo brianzolo, di fronte al maestoso Duomo. Dopo otto anni a lavorare nel mondo dell’arte per conto terzi, volevo essere padrone di me stesso e volevo provare a mettere in pratica le mie idee.
La tua visione, il tuo progetto di partenza, coincide ancora con quello di oggi?
Si è via via evoluta e formata con il tempo. All’inizio le priorità erano altre: Primum vivere deinde Philosophari. Ho iniziato dal secondo mercato, per poter vivere da subito del mio lavoro ma diciamo comunque che già dall’inizio non cercavo di tutto, ma operavo delle scelte provando ad orientare il gusto dei miei clienti.
Prima di fare il gallerista hai affrontato altri ruoli disparati, come direttore all’interno di una casa d’aste quale Finarte, il curatore di uno spazio pubblico e l’animatore di telepromozioni d’arte. Ci sono delle competenze specifiche che ti porti dietro da queste esperienze?
Lavorare a Finarte mi ha insegnato tutto (o quasi) circa le regole del mercato dell’arte: i provvedimenti di notifica, la regolamentazione dell’IVA a margine, le previsioni normative del diritto di seguito, le regole per l’importazione e l’esportazione di beni culturali. La qualifica di curatore mi ha dischiuso gli studi degli artisti e l’esperienza di Telemarket mi ha permesso di far emergere quella spigliatezza che mi ha aiutato ad entrare in empatia con molti collezionisti. Sicuramente la mia esperienza televisiva mi ha dato molta notorietà in quegli anni. Mi capitava anche che mi fermassero in Autogrill per farmi fare la foto con i bambini (e allora i selfie non esistevano!).
Quali pensi che siano, dopo tutto questo tempo, i punti di forza della galleria Luca Tommasi?
Sono entrato nel mondo dell’arte nel 2002. Nei 10 anni precedenti avevo lavorato nel mondo dell’industria come sales manager. Ecco, da quell’esperienza mi sono portato una spiccata professionalità che, debbo dire, mi viene riconosciuta sia dagli artisti che dai collezionisti con cui lavoro. E poi sicuramente la mia forza sono gli artisti con cui lavoro che sono inderogabilmente i più bravi e più belli (sorride)!
E al contrario, guardandoti indietro hai qualche rimorso?
Devo dire di no perché sono riuscito, sino a d’ora, negli obiettivi che mi ero prefissato. E ho sempre cercato di alzare progressivamente l’asticella stando ben attento a non fare il passo più lungo della gamba. Ho visto delle partenze a razzo concludersi, ahimè, troppo prematuramente.
Nel frattempo, c’è stato un trasferimento della galleria da Monza a Milano. Cosa ha comportato questo passaggio?
È stato il momento di passaggio definitivo dal secondo al primo mercato. Mi rendevo conto che per quel mondo, soprattutto di artisti internazionali, a cui puntavo, la provincia risultava meno attrattiva e quindi ho deciso di abbracciare la metropoli, occupando un piccolo spazio nel cortile di Giorgio Marconi in Via Tadino. Dopo 4 anni di consolidamento, ho avuto l’esigenza di trasferirmi nell’attuale spazio di Via Cola Montano, in zona Isola.
Parliamo degli artisti, fondamenta del sistema artistico. Come hai costruito nel tempo la tua “scuderia”? Come scegli gli artisti da promuovere, cosa ti deve colpire? Che tipo di relazioni intessi?
L’ho costruita seguendo coerentemente il mio gusto, fedele al motto che non avrei potuto vendere opere che non fossero innanzi tutto piaciute a me. E, siccome sono abbastanza rigoroso con me stesso in primis, credo che la mia cosiddetta scuderia abbia una grande coerenza con una predilezione per le esperienze astratte e processuali. Alcuni degli artisti, con cui lavoro oggi, all’inizio mi hanno “rimbalzato”, altri flirtavano ma non volevano impegnarsi. Un famoso artista agli inizi mi fatturava solamente a fine anno in modo che il suo principale gallerista, dal numero progressivo della fattura, non potesse accorgersene. La maggior parte mi hanno dato fiducia da subito. Tendo a intessere relazioni serene e molto amichevoli. Lo stress è nemico della creatività, non solo per l’artista ma anche per il venditore.
Si parla tanto di un invecchiamento del sistema delle gallerie. Un altro fatto che vorrei aggiungere è che gli artisti, che sono diventati forse più bravi ad autopromuoversi, spesso sono i venditori di sé stessi, aiutati da canali semplici e efficaci come Instagram. Qual è il suo punto di vista su questo fenomeno?
Unicuique suum. Il gallerista, se capace, deve fungere da interprete e da facilitatore. Credo che la maggior parte dei miei collezionisti smetterebbero di comprare gli artisti che rappresento se cominciassero a fare da soli. L’artista è lo chef, il gallerista deve saper preparare bene la tavola e servire la pietanza.
Te la senti di dare un consiglio a un giovane gallerista che oggi intraprende questa strada?
Deve farlo se ha “fame” e deve contare sulle proprie forze. La galleria d’arte ahimè è una partita IVA, non un circolo ricreativo. Non è difficile partire, ma è difficile durare. Chi spesso parte con un piccolo tesoretto rischia di dilapidarlo in breve tempo se non è animato da quella “fame” a cui accennavo. Io ho una visione quasi calvinista del lavoro e agli inizi mi sono scontrato con quella snobberie, tipicamente Italiana, che vedeva nella vendita uno sgradevole effetto collaterale della missione salvifica del gallerista. La mentalità per fortuna negli anni si è parzialmente modificata e qualcuno si è ricreduto.
– Giulia Ronchi
Galleria Luca Tommasi
Via Cola Montano 40, Milano
+39 335 242433
[email protected]
http://www.lucatommasi.it/
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