L’impatto dell’epidemia sui musei. Il sondaggio del Network of European Museum Organisations
La rete delle organizzazioni museali europee sta conducendo un sondaggio che permette di capire che tipo di impatto il lockdown sta avendo sui musei. E i risultati oscillano tra crisi economica e potenziamento delle attività digitali
Perdita delle entrate, congelamento delle attività e dei progetti a lungo termine, potenziamento della presenza online e sui social network: sono questi, in estrema sintesi, i dati emersi dal sondaggio (ancora in corso) condotto da NEMO – Network of European Museum Organisations, la rete delle organizzazioni museali europee fondata nel 1992. Il sondaggio, di cui riportiamo i dati aggiornati al 3 aprile, è stato finora condotto su 650 musei, e anche se non fornisce risultati definitivi su tutti i musei europei, permette di comprendere che tipo di impatto il lockdown da Coronavirus sta avendo sulle istituzioni museali di numerosi paesi, soprattutto dal punto di vista economico.
L’IMPATTO DEL CORONAVIRUS SUI MUSEI. IL SONDAGGIO DI NEMO
“La maggior parte dei musei in Europa e nel mondo sono chiusi. Chiudere le porte al pubblico si traduce in una drastica perdita di entrate per molti musei. Mentre alcuni musei hanno ancora avuto un impatto minimo sul budget, alcuni musei, in particolare i musei più grandi e quelli nelle aree turistiche, hanno registrato una perdita di entrate del 75-80%, con perdite settimanali che ammontano a centinaia di migliaia di euro”, si legge nella parte introduttiva del sondaggio condotto da NEMO. Chi più chi meno, tutti i musei stanno subendo le conseguenze della pandemia, costretti a tenere chiuse le proprie porte al pubblico. Uno stop forzato le cui conseguenze si risentiranno nei prossimi mesi, quando il lockdown sarà concluso: “non è possibile tornare rapidamente alla normalità; piuttosto che fare del ritorno alla normalità il nostro obiettivo, dobbiamo imparare da questa crisi per darci risposte, adattarci e integrarci in modo efficace. Esortiamo i governi a investire in futuro nel patrimonio culturale europeo, a sostenere ciò che ci unisce, mentre tante altre cose ci separano. I musei potrebbero non cambiare il mondo, ma i musei nel loro meglio possono mostrare ciò che l’umanità può fare nel suo meglio”, è l’invito rivolto dal network europeo ai governi.
I DATI EMERSI DAL SONDAGGIO DI NEMO
Sono 650 i musei che finora hanno risposto al sondaggio di NEMO (per partecipare c’è tempo fino al 17 aprile): il 92% di questi attualmente sono chiusi. Le istituzioni partecipanti al sondaggio si trovano nei 27 stati membri dell’Unione Europa e nei 9 stati membri del Consiglio d’Europa, ma anche negli Stati Uniti, nelle Filippine, in Malesia, nella Polinesia francese e in Iran, e molti di essi dicono di non sapere ancora quando riapriranno al pubblico. Tra le prime conseguenze della chiusura è senza dubbio quella economica, e riguarda sia i grandi sia i piccoli musei: il Rijksmuseum, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Museo Stedelijk stanno perdendo tra i 100.000 e i 600.000 euro a settimana, per non contare poi che i musei che si trovano in aree turistiche stanno registrando una perdita delle entrate pari al 75-80%, a causa dell’interruzione del turismo e della potenziale prosecuzione delle restrizioni nel periodo estivo.
Il lockdown, la crisi economica ma anche l’incertezza su come evolverà la pandemia ha portato i musei ad annullare le mostre internazionali in programma nel 2020, non essendo in grado di pianificare con anticipo i prestiti e il trasporto delle opere (a ciò bisogna aggiungere anche l’incapacità di prevedere quali paesi nei prossimi mesi avranno ancora le frontiere chiuse e se ci saranno o meno risorse umane per gestire i prestiti).
Un altro punto affrontato dal sondaggio è quello che riguarda il personale dei musei: la maggior parte delle istituzioni afferma di non aver licenziato dipendenti, e il 70% dice di aver modificato le attività del personale alla luce della situazione attuale, prediligendo quindi lo smart working. Allo stesso tempo però sono stati sospesi i contratti con i lavoratori freelance e i programmi di volontariato.
SUPERARE L’EMERGENZA
“Per quanto riguarda le fonti di reddito alternative”,continua il report, “molti musei fanno riferimento all’accesso attuale o futuro a piani nazionali di finanziamento da emergenza Coronavirus”, principalmente per “la copertura degli stipendi e / o della perdita di introiti”. Nello specifico, i musei di 12 paesi riferiscono che sono in corso discussioni per un fondo d’emergenza per la cultura, i musei di 8 paesi segnalano invece che il fondo di emergenza è già in atto. I musei di 15 paesi affermano che non esiste un piano di finanziamento di emergenza disponibile nel loro paese.
I MUSEI E IL CORONAVIRUS. LA PRESENZA SUL WEB
Ciò che è stato registrato nelle ultime settimane è senza dubbio il potenziamento della presenza dei musei sul web, e soprattutto sui social network. Quella virtuale è una soluzione adottata per sopperire alla chiusura dei musei, ma sta si sta rivelando piena di potenzialità da tenere in considerazione anche in futuro. Oltre il 60% dei musei infatti ha aumentato la propria presenza online da quando sono state adottate le misure restrittive anti-contagio, mentre solo il 13,4% ha aumentato il proprio budget per le attività online. La maggior parte dei musei ha affermato di utilizzare i social network più di prima, coinvolgendo il pubblico attraverso tour virtuali, mostre online, contenuti live. E i risultati di questo “nuovo” modo di fare comunicazione sono evidenti: il 40% dei musei infatti ha notato un aumento delle visite online da quando sono chiusi al pubblico.
Per quanto riguarda i social network, infine, oltre il 70% dei musei ha affermato di avere aumentato le proprie attività sui social media: quasi l’80% di loro utilizza principalmente Facebook e quasi il 20% utilizza Instagram come piattaforme per le proprie attività.
– Desirée Maida
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