Analisi degli effetti della pandemia su musei e teatri. Una ricerca della Bocconi
Il lockdown e la conseguente crisi economica hanno messo in discussione molti aspetti del sistema culturale, il quale potrebbe essere portato a riconsiderare i propri modelli di business. Ma c’è una differenza sostanziale tra l’andamento di musei e quello dei teatri…
In che modo le istituzioni culturali italiane hanno affrontato il lockdown? Quali sono le principali sfide e criticità che si aprono per loro, in questo momento della ripresa? Uno studio a cura dell’Arts and Culture Knowledge Centre, dell’Università Bocconi di Milano, ha analizzato la situazione, prendendo in considerazione due grandi soggetti: i musei, ovvero le istituzioni che operano in ambito museale e espositivo del patrimonio culturale e archeologico, e i teatri, comprese le arti performative e i festival. Ciò che ne è emerso è che il lockdown e la conseguente crisi economica hanno costretto queste realtà a cimentarsi in campi prima poco esplorati, ovvero quello del web e dello storytelling digitale. Dall’altro lato, però, ne hanno portato allo scoperto i punti deboli, evidenziando una necessità di revisione del proprio business model. Non da ultimo, la ricerca ha sottolineato come, mentre per lo svolgimento della vita del museo misure come l’ingresso contingentato e il distanziamento sociale non rappresentino un problema insormontabile, differente è la situazione dei teatri, le cui attività sono fortemente minate dalla diminuzione del pubblico in sala.
TEATRI E MUSEI DURANTE IL LOCKDOWN: LE ATTIVITÀ DIGITALI
Alla totale chiusura di ogni istituzione culturale, la gran parte dei musei e dei teatri si è riorganizzata per tenere viva la propria presenza attraverso iniziative svolte su siti e piattaforme social (qui trovate un compendio, preparato da Artribune, sulle principali attività divise per tipologia). Mentre i musei si sono concentrati per il 77% nello storytelling digitale (video e tour guidati) e per il 65% in attività social, i teatri hanno suddiviso la proposta in spettacoli provenienti dagli archivi (73,5%), interviste a professionisti dello spettacolo (50%) e infine un 20% di performance in diretta. Si è poi rilevato che i social più utilizzati sono Facebook e Instagram; per quanto riguarda Twitter, questo canale pare andare in funzione dei due precedenti. LinkedIn si configura come quello meno utilizzato: dato comprensibile, in una prima fase, ma che potrebbe rivelarsi utile in un successivo passaggio di riorganizzazione di risorse umane. Nonostante un buon riscontro di interesse da parte degli utenti, però, sappiamo che la programmazione digitale – interamente gratuita – non ha inciso sulle casse del teatro o del museo, che nel frattempo hanno perso mesi di entrate per la mancata vendita di biglietti.
MUSEI E TEATRI: UN MODELLO DA RIDEFINIRE
Ma veniamo alla spirale negativa che ha investito queste realtà una volta che è stata imposta la chiusura: oltre ai mancati ricavi, si è aggiunto l’azzeramento quasi totale delle sponsorizzazioni private e delle occasioni di fundraising, rimpiazzate da raccolte fondi più urgenti, come quelle rivolte a ospedali o a Croce Rossa. Questo ha influito sui lavoratori del settore, che hanno subito diverse sorti: il personale di istituzioni pubbliche – musei nazionali o civici ad esempio -, non ha avuto bisogno di ammortizzatori sociali; nel caso delle fondazioni, il dipendente pesa direttamente sul bilancio della stessa ed è stato costretto a rivolgersi al FIS (Fondo integrativo salariale). Critiche sono, invece, le condizioni di quei lavoratori intermittenti, dimenticati durante la crisi dai primi provvedimenti emergenziali del Governo. In generale, è emerso che senza un apporto di denaro pubblico il settore culturale non può sopravvivere. Necessario in molti casi è anche un ripensamento radicale del modello di business dell’istituzione. “Se il museo o il teatro rappresentano di fatto un servizio pubblico a beneficio della collettività, importante per la crescita culturale del Paese, questi devono essere in grado di operare senza una dipendenza costante e vitale dalle attività di biglietteria (quindi dal mercato)”,si legge nell’analisi dell’Arts and Culture Knowledge Centre. “La sopravvivenza delle istituzioni quindi non può essere solo lasciata alla capacità di reperimento di risorse dei singoli istituti”.
MUSEI E TEATRI: UNA DIFFERENZA SOSTANZIALE
Riaprire non sarà una misura risolutiva per tutti. I musei sono ripartiti gradualmente dal 18 maggio, chi riaprendo le mostre temporanee, chi facendosi forte della sola collezione permanente. Tra innumerevoli difficoltà legate a programmazione, tempi, costi assicurativi, di mantenimento e scadenza dei prestiti. Variabili non trascurabili che si scontrano con accessi contingentati e la perdita del grande turismo (ve lo raccontavamo qui). Tuttavia per le loro caratteristiche strutturali questi luoghi sembrano non risentire troppo della riapertura in ambiente controllato. Destino totalmente diverso per i teatri, ai quali verrà concessa la riapertura non prima del 15 giugno, a condizioni non vantaggiose (200 persone nei luoghi chiusi, 1000 all’aperto, mascherine e distanziamento sociale tra pubblico e tra artisti). Inoltre, è corale da parte dei teatri l’insoddisfazione nei confronti della gestione dell’emergenza del loro settore da parte del Governo, vissuta come una “mancanza totale di interesse da parte delle istituzioni pubbliche” e una “mancanza di lungimiranza e chiarezza nei decreti”.
– Giulia Ronchi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati