Cambia tutto al museo M9 di Mestre. Intervista al neo direttore Luca Molinari sulla programmazione
“La tecnologia deve essere al servizio dell’innovazione e non il contrario”: il direttore scientifico del museo di Mestre ci racconta la sua visione del prossimo triennio, dando qualche anticipazione sulle mostre che vedremo
È il giro di boa per l’M9, museo di Mestre dedicato alla storia del Novecento e ai suoi cambiamenti demografici, sociali e politici. Inaugurato nel 2018, l’M9 ha vissuto un inizio tutto in salita: aperto dopo lunghi anni di lavoro e ritardi, ha riscontrato di lì problemi di sostenibilità economica, dati dalla costosa macchina di oltre 1300 metri quadrati di spazio espositivo e da un apparato multimediale importante. Non da ultimo ha infierito la pandemia, rendendo impossibile la fruizione di alcuni dispositivi interattivi su cui però il museo si basa. Necessaria una revisione profonda delle priorità del museo, un bisogno a cui la programmazione di Luca Molinari – direttore scientifico da ottobre 2020 – pare dare risposta. Nel prossimo triennio si procederà quindi con mostre tematiche che fungeranno da laboratorio del contemporaneo, attraverso percorsi interdisciplinari, coinvolgenti e orientati verso il racconto dell’Italia e della sua cultura a 360°. Ad alternarsi, inoltre, due trilogie – nazionale e veneta – per parlare del territorio che si sviluppa attorno al museo ma non solo. Il primo appuntamento è per il 25 marzo 2022 con la mostra GUSTO! Gli italiani a tavola, a cui seguirà a ottobre Il laboratorio del Design. Produzione e ricerca nell’area veneta dal 1945 e altri appuntamenti incentrati su sport, musica, paesaggio e tessuto, per arrivare fino a marzo 2025. Ma quali sono i punti cardine della nuova direzione del museo di Mestre? Lo abbiamo chiesto a Luca Molinari in questa intervista.
La pandemia ha portato delle problematiche anche per quanto riguarda il funzionamento della parte multimediale, rendendo difficile mettere in sicurezza la parte dei touch screen e di altri dispositivi digitali. In che modo siete riusciti a ripartire a fronte di tali difficoltà?
La pandemia ha ridotto l’uso di alcune installazioni, per cui stiamo facendo una riflessione riguardo alla loro riconversione. I dispositivi vengono regolarmene sanificati e ogni visitatore riceve all’ingresso una bag per visitare il museo in sicurezza; questo al tempo stesso ci pone ulteriori interrogativi, ad esempio come renderli fruibili per persone con determinate disabilità e quelle più fotosensibili, per le quali gli schermi potrebbero recare disturbo. L’obiettivo è rigenerare entro i prossimi due o tre anni la collezione permanente, in modo da mantenere la parte multimediale ma facendo coesistere anche una parte fisica.
Deve essere stato un grosso problema per un museo che era stato aperto dando principale risonanza alla tecnologia e alla parte multimediale.
Ne è stata data in misura quasi eccessiva, facendo figurare l’M9 più come un museo della scienza e della tecnologia che uno sulla storia del Novecento. In quel caso la narrazione era al servizio della tecnologia e non il contrario. Era scomparsa la narrazione ed era rimasta la tecnologia, il che è un paradosso.
Effettivamente fin dalla presentazione della nuova programmazione non vediamo menzionata la tecnologia.
Nella mia visione ogni tecnologia è al servizio della narrazione – che ne deve risultata rafforzata – e non il contrario.
Quindi cosa vedremo nelle due trilogie di mostre appena annunciate?
Mostre in cui l’apparato multimediale è utilizzato nella misura necessaria. Ad esempio, nella mostra sul gusto avremo fotografia, video, installazioni sonore, materiali fisici, pezzi di design, luoghi in cui cucinare e sentire gli odori… non avremo, ad esempio, gli ologrammi! Non voglio sostituire la realtà, bensì indicare il modo in cui godere al meglio della realtà.
Anche perché un simile museo ha anche un altro problema con cui confrontarsi, quello del rapido invecchiamento della tecnologia…
Esatto. Ora, invece, vogliamo cambiare la prospettiva, organizzando una serie di mostre satellite e dando sempre un motivo diverso ai visitatori per tornare nel museo.
Si tratta, tirando le somme, di un bel cambio di paradigma.
Sì ma non si tratta di un tradimento, bensì di un rilancio. L’obiettivo è riattualizzare la storia e dare anche alle nuove generazioni degli strumenti per riflettere sul presente e sul futuro. Io, che sono nato nel Novecento, mi rendo conto che il modo di vedere le cose è cambiato. E l’M9, pur essendo un museo che ha a che fare con la storia del secolo scorso, non vuole diventare un luogo per nostalgici.
Cosa mi dice invece di Mestre, città confinante con una Venezia dall’offerta culturale di alto livello e di grande attrattività?
Mestre è una cerniera, un luogo con una storia a se stante. È il luogo in cui tutti i veneziani sono scappati alla ricerca di una vita più moderna e ora quella stessa modernità è in crisi. È una città che dialoga tanto con il territorio circostante – da Ferrara a Trieste – e l’M9 non può essere da meno. Deve mantenere salda la propria identità, non si può rischiare di essere considerati un museo periferico di Venezia.
Dalla programmazione annunciata, infatti, l’M9 sembra molto orientato al territorio, ma immagino vogliate puntare anche al pubblico internazionale.
Certamente, ma sono consapevole che tra questo non ci sarà mai il crocerista che scende a Venezia per stare meno di 48 ore, quello del turismo mordi e fuggi. Solo Mestre ha 250 mila abitanti e nel tempo siamo riusciti ad attirare pubblico da tutto il Veneto, dal Friuli, dall’Emilia Romagna, ma anche da Germania e Austria. All’ultima mostra presentata abbiamo avuto un pubblico composto da studenti di Ca’ Foscari, mestrini, veneziani venuti appositamente e una comunità di cingalesi. Bisogna partire con una programmazione di qualità per far capire al pubblico che vale la pena vivere e frequentare il museo, tornando più e più volte.
-Giulia Ronchi
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