Consumi culturali in Italia: a che punto siamo?

I dati raccolti da ISTAT sono sconfortanti: le spese per i consumi culturali in Italia sono davvero basse. Ma di chi è la responsabilità?

Il tema dei consumi culturali in Italia è sempre un argomento delicato e con molteplici insidie, siano esse di tipo metodologico, di natura ideologica o una combinazione delle precedenti.
Eppure analizzare, secondo i dati disponibili, come le famiglie italiane decidano di spendere i propri soldi, e comprendere quale porzione delle disponibilità economiche venga destinata all’acquisto o alla fruizione di prodotti e servizi culturali, può senza dubbio aiutare a comprendere come incentivare tali consumi, e come quindi strutturare delle azioni che possano contribuire alla diffusione della cultura nel nostro Paese.
È però necessario subito delimitare il campo delle indagini, così da avere piena contezza degli obiettivi di questa riflessione e scongiurare potenziali polemiche tanto valide quanto sterili.
Iniziamo dal metodo: non sono attualmente disponibili indagini censuarie e longitudinali che analizzino i consumi di tutti gli italiani e come questi consumi si modifichino nel tempo. Sono disponibili numerosissime indagini settoriali, che illustrano gli andamenti di differenti mercati, come il settore audiovisivo, il settore artistico o quello editoriale. Indagini importantissime, ma che ovviamente, hanno un oggetto di indagine differente da quello di interesse. In questo senso, l’indagine che più di tutte può fornire una visione complessiva del fenomeno è l’indagine sui consumi degli italiani, che è un’indagine campionaria ed è realizzata dall’ISTAT. Sono i dati di questa indagine a essere presi in considerazione in questa sede.

La sala del Cinema Barberini a Roma

La sala del Cinema Barberini a Roma

CONSUMI CULTURALI, PREZZI E GRATUITÀ

Smarcato il tema metodologico, affrontiamo quello ideologico: affermare che sia importantissimo incrementare il livello di consumi culturali non vuol certo dire che bisogna guardare alla cultura come qualsiasi altra tipologia di mercato, né tantomeno implica come necessario un processo di mercificazione della cultura, ivi includendo tutti i sinonimi possibili. Ancora, qualificare come desiderabile un incremento dei consumi culturali non equivale a ignorare che molte delle attività culturali vengono fornite gratuitamente e men che meno equivale ad affermare che tali gratuità debbano essere eliminate nella loro interezza.
Per quanto ci siano, a parere di chi scrive, alcune condizioni che potrebbero essere migliorate nell’applicazione della gratuità, questa opinione non è correlate in alcun modo agli argomenti qui in esame.
C’è infine da chiarire un altro punto che si pone probabilmente a metà tra l’ideologico e il metodologico. In genere si tende a essere compatti nel definire positivo l’incremento della quantità dei consumi, ma c’è molta più perplessità nel valutare la variabile prezzo.
Eppure anche il prezzo ha un proprio valore simbolico, e il fatto che persone siano disposte a pagare un dato prezzo non è, di per sé, un fattore negativo.
Fare un esempio può portare chiarezza. Come detto, sono principalmente due gli elementi che concorrono a un incremento totale dei consumi: la quantità e il prezzo. A loro volta questi due elementi possono essere il riflesso di moltissime altre variabili, che tuttavia qui non è necessario considerare.
Prendiamo le spese per il cinema. L’incremento dei consumi può derivare da due fattori principali: il numero di volte in cui si va al cinema e il prezzo del biglietto. Ora, sebbene ci sia concordanza d’opinione nel preferibile auspicare un incremento dei consumi imputabile alla quantità e quindi al numero di volte in cui una famiglia decide di andare al cinema in un mese, la variabile prezzo è pur sempre un indicatore di scelta.
Detto in altri termini, se una famiglia decide di andare tutte le domeniche al cinema, pur sapendo che le tariffe in genere sono più elevate, decide in ogni caso di rinunciare ad altre tipologie di spesa pur di andare al cinema. E questo è un dato in ogni caso positivo. Questa scelta può dipendere da tantissimi fattori, che possono essere la disponibilità economica della famiglia, o un rituale familiare domenicale. Quello che è certo è che, qualunque siano le reali motivazioni, questa famiglia decide di spendere dei soldini ogni settimana per il cinema piuttosto che destinare quei soldini ad altro.
E ciò che è altrettanto certo è che, guardando i dati sui consumi, di famiglie come queste, in Italia, ce ne sono ben poche. Secondo i dati ISTAT, infatti, la spesa media mensile che le famiglie italiane destinano alla categoria ricreazione, spettacoli e cultura è pari a 99,05 €, vale a dire il 4,1% della spesa media totale. Meno di quanto si spenda in servizi ricettivi e di ristorazione, in mobili e servizi per la casa o in abbigliamento.

CHE COSA RIENTRA NEI CONSUMI CULTURALI

Tutto sommato, però, visto così in aggregato, potrebbe anche risultare soddisfacente. Peccato che però la realtà sia molto meno rosea. L’aggregato, infatti, mette insieme le spese più disparate, e fin qui risulta anche piuttosto intuitivo, ma la realtà supera l’intuizione quando si scopre che all’interno della spesa media per ricreazione, spettacoli e cultura ci sono voci come aeroplani, velivoli ultraleggeri, alianti e mongolfiere (codice COICOP 09212). Per carità, la media di spesa per questa categoria di acquisto è 0, però è comunque indice di quanto estesa sia questa categoria. Senza riportare l’elenco per intero, in questa categoria di spesa rientrano tanto i caravan quanto le imbarcazioni, tanto gli apparecchi audiovisivi, fotografici e informatici quanto le spese per l’acquisto e la cura di animali domestici, tanto le spese per il giardinaggio quanto i pacchetti vacanza.
Disaggregando i dati, voce per voce, è dunque più che lecito chiedersi quanto in realtà gli italiani spendano per quei prodotti e servizi che per primi ci vengono in mente quando parliamo di consumi culturali. Ebbene, questi sono i dati condivisi da ISTAT per singole categorie di spesa, riportate come media per famiglia in euro correnti per gli anni 2019, 2020, e 2021.

I consumi culturali degli italiani. Fonte ISTAT

I consumi culturali degli italiani. Fonte ISTAT

Cerchiamo di capire dunque cosa significano questi dati: immaginiamo un nucleo familiare di due persone. Immaginiamo che, a gennaio, un membro della coppia decida di acquistare, da una bancarella, per 1 euro, un libro di saggistica. Due persone. 1 libro. 1 euro. E già quel nucleo familiare è sopra la media.
Non è che con gli altri consumi si vada meglio. La spesa per cinema, teatri e concerti nel 2021 è stata, per famiglia, per mese, 1,57 €, che, all’anno, fa più o meno 18 euro.
È forse il caso di parlare chiaramente: è evidente che le riduzioni e le gratuità c’entrino fino a un certo punto. È sicuramente probabile che moltissime persone siano entrate nei musei in giorni gratuiti, che abbiano assistito a tantissimi concerti in piazza e che abbiano letto tantissimi libri in biblioteca. Ma se ami i concerti, almeno un biglietto l’acquisti. Se ti piace guardare un film, non dico una volta al mese, ma una volta all’anno, al cinema ci vai.
Non è una questione di disponibilità economica. È una questione di scelte. Di priorità.
Di capacità di un settore di far percepire il bisogno di fruire cultura.
Ed è evidente, che qualcosa, qui, stia funzionando male.

Stefano Monti

http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=17912

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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