La mostra su Guido Reni a Madrid. Intervista al curatore
La primavera del Prado si apre con un omaggio al pittore bolognese che fu considerato l’anti-Caravaggio. Quasi cento opere in mostra
L’evento espositivo della primavera, a Madrid, è la grande antologica che il Museo del Prado dedica a Guido Reni (Bologna, 1575 – 1642). Senza nessuna ragione celebrativa, tre grandi musei europei hanno deciso di allestire altrettante mostre per rileggere, alla luce della postmodernità, la figura e l’opera di uno dei grandi protagonisti della pittura italiana del Seicento. Dopo la Galleria Borghese di Roma e lo Städel Museum di Francoforte, il Prado dedica ora un’ampia riflessione intorno alla bellezza del corpo in Guido Reni, in dialogo con le arti plastiche del passato e con le opere degli artisti spagnoli del Siglo de Oro. Sono ventidue i prestiti provenienti dai musei di tutt’Italia. Di Guido Reni e della mostra al Prado – dal 28 marzo al 9 luglio – ci parla il curatore David García Cueto, direttore del dipartimento Pittura italiana e francese del museo.
INTERVISTA A DAVID GARCÍA CUETO
Sulla pagina web del Prado, Guido Reni è definito “artista ampiamente ignorato, che, malgrado ciò, alla sua epoca fu considerato uno dei pittori più importanti d’Italia”. Perché Guido Reni viene dimenticato tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento?
Nel XIX secolo la pittura della Scuola bolognese, in generale, perde credito, perché si considera priva di espressività genuina, incapace di trasmettere emozioni. È una questione di gusto e di scelte estetiche, soprattutto dei critici e dei direttori dei grandi musei. Al Louvre, per esempio, nel 1896 si sceglie di sostituire le opere della Scuola bolognese per esporre il lascito di Caillebotte.
Quando si comincia a rivalutare la pittura di Guido Reni?
È Cesare Gnudi, nel 1954, a proporre al Comune di Bologna una prima mostra dedicata all’artista, anche se il grande recupero critico dell’opera di Reni avviene negli anni Ottanta, con una serie di esposizioni importanti a Bologna, Francoforte, in Texas e a Los Angeles.
Perché una mostra dedicata a Guido Reni in Spagna?
La pittura di Guido Reni è in grado di trasmettere valori estetici e spirituali godibili anche nel XXI secolo. La mostra racconta anche il legame fra le opere del bolognese e la Spagna, sia dal punto di vista del collezionismo nel Seicento, sia dal punto di vista delle influenze che esercitò sui pittori spagnoli del Siglo de Oro. Al Prado conserviamo una ventina di opere di Reni, tra cui due capolavori come Ippomene ed Atalanta (1618-1619) e San Sebastiano (1661-1617), entrambi restaurati in occasione della mostra.
LA PITTURA DI GUIDO RENI
Negli anni Venti del Seicento la bottega di Reni era una autentica fabbrica d’arte a Bologna. La questione delle interferenze fra le mani degli allievi e quelle del maestro è risolta?
Le testimonianze dell’epoca dicono che avesse in un periodo quasi duecento collaboratori, divisi fra ufficiali, assistenti e studenti, per ottemperare all’enorme richiesta di produzione artistica. Ovviamente la qualità è molto diversa, ma oggi, grazie ai moderni studi tecnici, è possibile distinguere fra originali e copie, oppure tele sulle quali il maestro non interviene se non dal punto di vista concettuale. In mostra, comunque, esponiamo solo le opere autografe.
Trattandosi di un artista così prolifico e longevo, è corretto parlare di evoluzione nella sua forma pittorica? Cosa si intende per “seconda maniera”, come la definisce il biografo Malvasia?
Per seconda maniera si intende la fase matura, quando Reni si distacca dall’influenza del suo maestro fiammingo Calvaert e dell’Accademia dei Carracci, configurando un linguaggio proprio, che dopo aver guardato a Raffaello e al Caravaggio romano offre molte novità. Negli ultimi anni, però, la sua opera subisce una trasformazione radicale: si percepisce infatti che, a causa dei debiti per la ludopatia, il maestro dipinge con ansia, semplifica tecniche e procedure per produrre più rapidamente, lasciando anche spesso incompiute le tele.
LA FORTUNA DI GUIDO RENI
Dove sta il Guido Reni più autentico: nelle grandi pale d’altare o nelle opere “da camera”, ritratti soprattutto femminili di sante e di eroine?
La maestria di Guido Reni si apprezza osservando da vicino le sue tele: nei tratti dei volti, nelle minuziose pettinature, nella resa dell’incarnato dei giovani e della pelle rugosa degli anziani, come gli asceti. L’essenza della pittura di Guido Reni sta nei dettagli.
Semplificando, possiamo considerare oggi Guido Reni come l’anti-Caravaggio? Oppure come il Rubens italiano mancato, sempre citando il biografo Malvasia?
Direi di sì in entrambi i casi. Reni è senza dubbio il pittore italiano più celebre del suo tempo e un anti-Caravaggio, perché sviluppa un linguaggio assolutamente diverso, ma ugualmente affascinante rispetto al maestro lombardo. Come Rubens, invece, raggiunge fama e dignità sociale basate sulla professione di pittore.
Tra le 96 opere che saranno esposte a Madrid, manca qualche tela importante?
Tra i tanti prestiti richiesti, solo Il ratto di Elena del Louvre non è stato concesso per ragioni di conservazione. Si tratta di un quadro importante, commissionato da Filippo IV nel 1627 ma mai giunto in Spagna, perché l’ambasciatore spagnolo non pagò il denaro richiesto e l’acquisto ci fu “soffiato” dalla corona francese.
Quali sono i luoghi fondamentali per conoscere Guido Reni in Italia?
Innanzitutto Bologna, con la Pinacoteca Nazionale e la chiesa di San Domenico, dove dipinse la bellissima lunetta dell’abside e dove l’artista è sepolto. Poi Roma: il meraviglioso Reni profano del Casino dell’Aurora, a Palazzo Pallavicini Rospigliosi, e quello divino, sull’altare della Trinità dei Pellegrini, una chiesa poco visitata. E, infine, le tante opere sacre nelle chiese dell’Emilia Romagna, come Ravenna, Forlì e Pieve di Cento.
Federica Lonati
Guido Reni. A Madrid
Museo Nacional del Prado,
dal 28 marzo al 9 luglio
www.museodelprado.es
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