Il Fondo Carla Lonzi sfrattato dalla Galleria Nazionale di Roma: reagiscono le associazioni
Una lettera congiunta della Consulta Universitaria Nazionale per la Storia dell'Arte e della Società Italiana di Critica di Storia dell'Arte chiede un urgente confronto con la direttrice della Galleria Nazionale dopo la decisione di rinunciare ai comodati
Il mondo italiano della cultura si sta sollevando contro la decisione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma di rinunciare, tre anni prima della scadenza, al comodato d’uso del Fondo Carla Lonzi. Gemmata dalla segnalazione della direttrice scientifica del Fondo, la professoressa e filosofa Annarosa Buttarelli, la richiesta di aiuto si è allargata al Parlamento – con l’interrogazione della deputata Luana Zanella di Alleanza Verdi e Sinistra – e alle associazioni come la storica Associazione Femminista e di Donne Orlando – gruppo che alla fine degli anni Settanta ha progettato il Centro di Documentazione, Ricerca, Iniziativa delle Donne (CDD) -, ma anche la Consulta Universitaria Nazionale per la Storia dell’Arte e la Società Italiana di Critica di Storia dell’Arte, che hanno rilasciato una dichiarazione congiunta di “profondo dissenso” rispetto alle affermazioni rilasciate dalla direttrice della Galleria Nazionale, Renata Cristina Mazzantini, ad Artribune e nel testo ufficiale ripreso da Repubblica.
La lettera congiunta sul caso del Fondo Carla Lonzi
I membri della CUNSTA e della SISCA hanno puntato il dito sulle giustificazioni addotte dalla direttrice, “che opponendo artificiosamente beni “pubblici” e “privati” e trattando la materia su basi meramente regolamentari e ragionieristiche, ignorano significati e ragioni dietro l’acquisizione di nuovi fondi archivistici e la grande importanza che questi ultimi rivestono per il museo, il suo personale scientifico, gli studiosi, gli studenti e il pubblico tutto“. A questo proposito gli studiosi hanno ripreso la definizione elaborata dall’International Council of Museums (ICOM), che vede il museo come “un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità“. I musei, sempre stando all’ICOM, “operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”. Alla luce di questo, prosegue la lettera, “il museo deve oggi estendere i suoi compiti oltre la tradizionale opera di conservazione ed esposizione delle opere d’arte, promuovendo la ricerca storico-artistica e acquisendo fondi archivistici il cui studio getta nuova luce sull’arte italiana del Novecento“.
Il museo come casa degli archivi e gli esempi italiani
Citando poi gli esempi virtuosi del Castello di Rivoli, del MART di Rovereto, del MAXXI di Roma e del Centro Pecci di Prato, la lettera sottolinea come diversi musei italiani abbiano in realtà già compreso e perseguito attivamente “la necessità di una lungimirante politica di acquisizioni di archivi di artisti, gallerie, studiosi, promuovendone la conoscenza in quanto parti integranti della loro missione culturale. Invertendo una tendenza che nei decenni scorsi ha provocato l’esodo dall’Italia di insiemi archivistici e documentari di inestimabile valore“.
Il comodato d’uso e il suo uso museale nella lettera CUNSTA -SISCA
C’è quindi una osservazione sul comodato, e sui possibili fraintendimenti della sua natura: “Il comodato, che la direttrice Mazzantini sembra quasi ritenere una forma di indebita intrusione nel patrimonio del museo da lei diretto, è invece uno strumento largamente utilizzato per garantire la fruibilità pubblica di opere e documenti altrimenti inaccessibili e la cui stessa conservazione materiale non è spesso assicurata. Non va inoltre dimenticato che il comodato è uno strumento indispensabile quando un’acquisizione per vie ordinarie, tramite acquisto o donazione, risulta difficoltosa o inattuabile a causa dei vincoli esistenti e della esiguità delle risorse generali a disposizione delle istituzioni museali. Molti se non tutti i comodati si trasformano a termine in donazioni, con una positiva ricaduta in termini di prestigio e visibilità per le istituzioni che le hanno accettate“. Al che arriva la doppia richiesta finale: un confronto pubblico con la direttrice Mazzantini sul ruolo e l’importanza degli archivi nella definizione della missione del museo e più fondi per la Galleria Nazionale dal Ministero della Cultura per garantire le misure di intervento e messa in sicurezza dell’edificio, inclusa la conservazione degli archivi dati in comodato. Ne abbiamo parlato con Stefano Chiodi, autore, professore e membro della CUNSTA.
L’intervista a Stefano Chiodi sulla questione del Fondo Carla Lonzi
Il punto della questione è principalmente uno: il ruolo dei musei oggi.
Sì: il museo non è più solo un deposito di opere d’arte e un luogo di esposizione, ma anche come centro di ricerca e formazione permanente. Per questi compiti occorrono risorse, strutture, finanziamenti, ma soprattutto una lungimirante e coraggiosa politica di acquisizione di archivi, collezioni, fondi di documenti e fotografie.
Come è messa l’Italia ad apertura degli archivi?
In Italia c’è stata una diffusa distrazione, quando non un colpevole disinteresse, nei confronti della modernità: abbiamo lasciato andar via dall’Italia – verso il Getty, Yale, il Centre Pompidou e altre benemerite istituzioni – l’archivio di Marinetti, o quelli dell’Architettura Radicale, per fare due esempi. Fino ad anni recenti non siamo riusciti a conservare un patrimonio inestimabile che non è banalmente un’ingombrante pila di carte “private” ma è già un patrimonio comune da conservare e rendere accessibile dal momento che riflette l’azione pubblica di personalità straordinarie: artisti, gallerie, storici dell’arte, curatori. E contengono non solo carte ma tutti quei documenti come opuscoli, inviti, libri rarissimi e materiali grigi – cioè per esempio pubblicazioni confidenziali o non ufficiali -, che arricchiscono grandemente il contesto delle opere d’arte, spesso esposte nel museo stesso.
Perché è importante acquisire gli archivi?
Quando si riceve un archivio questo non è solo incamerato, “tesaurizzato”, ma viene soprattutto riportato nel pubblico come “oggetto vivente”: questi non solo scartafacci che fanno rischiare gli incendi, ma una fondamentale risorsa storico-artistica, antropologica, sociologica, storica, e un punto di riferimento per la formazione delle nuove generazioni di studiosi. La Galleria Nazionale è l’unica istituzione nazionale con la missione di salvaguardare, collezionare e proteggere la memoria della modernità italiana, fino all’ottavo o nono decennio del Novecento. Per questo mi sorprende molto che il primo atto ufficiale della nuova direttrice sia stato restituire i fondi affidati in comodato al museo. Dalle sue dichiarazioni sembrerebbe che ciò sia avvenuto oltretutto senza passare dal comitato scientifico, organismo istituzionale consultivo essenziale proprio in questi frangenti. La motivazione addotta è legittima, ma non si dovrebbe contrapporre contrapporre la “messa in sicurezza” a una meritoria politica di acquisizione di nuovi archivi. La formula del comodato, per quanto limitata, permette proprio di salvaguardare gli archivi – soprattutto laddove non c’è garanzia che possano essere fisicamente preservati – e di renderli accessibili. Il museo non sostituisce gli Archivi di Stato, ma li affianca e ne integra tempestivamente le funzioni.
Perché non basta la “semplice” scansione dei documenti?
Prima di tutto bisogna chiarire la natura giuridica di questa operazione. La scansione dei fondi deve prevedere i diritti di consultazione e pubblicazione, perché se per esempio ci fosse l’offerta di acquisto da parte di un altro museo, magari all’estero, quello potrebbe includere in alcuni casi anche il diritto di far leggere in esclusiva i documenti. Se anche ci fosse una scansione “aperta” – ammesso che sia integrale, cioè recto e verso di ogni foglio di ogni pubblicazione e in alta definizione -, nulla garantisce la sopravvivenza fisica degli originali abbandonati per così dire, al loro destino. Mi sembra che si riponga troppa fiducia nelle supposte “virtù” della tecnologia.
Qual è il rischio per la Galleria Nazionale?
Aver rinunciato agli archivi già consegnati mette a mio avviso l’istituzione in cattiva luce, scoraggia nuove donazioni e ci riporta indietro a cattive pratiche del passato in materia di tutela della storia dell’arte recente. E proprio dall’istituzione che dovrebbe essere battistrada in questo senso.
Avete espresso una richiesta di confronto pubblico: cosa sperate di ottenere?
Che sia convegno o tavola rotonda, non importa, ciò che serve è un confronto sul ruolo dell’archivio contemporaneo dentro il museo di arte contemporanea: farebbe emergere una fondamentale incomprensione, nonché una forte disparità di opinioni tra la nuova direzione della Galleria Nazionale e la comunità delle storiche e degli storici dell’arte. Non sorprende affatto che la neodirettrice voglia imprimere la sua cifra personale al museo, ma sconcerta che una decisione così drastica e dagli effetti così ampi sia stata presa apparentemente senza alcun dibattito. Soprattutto perché, se confermata, si comprometterebbero delle possibilità che si stavano appena aprendo, dopo decenni in cui era pratica comune lasciare che gli archivi venissero dispersi o nei casi fortunati acquisiti all’estero, soprattutto in quei casi in cui, proprio per via della loro natura “recente”, non fosse possibile provvedere alla loro tutela. È essenziale proteggere gli archivi per mantenere il rapporto con la storia e per proporne nuove interpretazioni. La nostra richiesta è a favore di un confronto più generale su questi temi, perché quest’azione fa temere un’inversione di tendenza anche su altre politiche del museo: serve un dialogo senza infingimenti e senza remore, anche per preservare in futuro donazioni o acquisizioni.
Giulia Giaume
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