Sfruttamento dei lavoratori della cultura: l’ultimo caso a Milano parla di un problema generalizzato
Per la cooperativa Fema, che corrispondeva ai suoi dipendenti stipendi da fame per prestare servizio presso eventi, teatri e musei, la procura di Milano ha disposto dopo mesi di indagine il controllo giudiziario. Ma i lavoratori della cultura, in Italia, versano spesso in condizioni simili
Si è concluso come auspicabile il primo step del procedimento giudiziario contro la società Cooperativa Fema, basata a Rho, che fornisce personale per eventi e servizi museali, e vanta tra i suoi committenti alcuni tra i più importanti enti culturali di Milano. Alla procura di Milano, nella figura del pubblico ministero Paolo Storari, l’onere di evidenziare la condotta criminale della cooperativa in questione, che finora ha corrisposto ai suoi dipendenti stipendi sotto la soglia di povertà, con retribuzioni nette in alcuni casi inferiori ai 5 euro l’ora (e mai superiori ai 6.50 euro). Una pratica che è bene identificare per quello che è: sfruttamento del lavoro assimilabile alle dinamiche del caporalato che persistono, evidentemente, in molti rapporti di prestazione di manodopera e servizi in Italia.
Sfruttamento dei lavoratori della cultura: il caso di Fema a Milano
Fema, si legge nel provvedimento della procura che dispone il controllo giudiziario e la nomina di un amministratore giudiziario della cooperativa, avrebbe infatti reclutato, fino al mese di luglio 2024, “manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori“. Tra i terzi citati, però estranei all’indagine, figurano anche il Teatro alla Scala, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, la Fiera di Milano, cui Fema forniva maschere, custodi, portieri, insieme ad altre due cooperative – Domina e Socoma – a proprio volta indagate per sfruttamento, ma “pentite”: dopo il blitz dei carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro, infatti, Domina e Socoma hanno adeguato gli stipendi con aumenti fino al 40%. Meno lungimirante la risposta di Fema, che secondo le deposizioni raccolte dal personale sfruttato costringeva i lavoratori – in mancanza di alternative di impiego più dignitose – a vivere in stato di prostrazione e al limite della soglia di povertà, con stipendi mensili di circa 600 euro netti, sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Ora l’amministratore giudiziario dovrà far rientrare questa situazione di illegalità, regolarizzando i rapporti di lavoro contratti dalla cooperativa.
Sfruttamento dei lavoratori della cultura: la situazione in Italia
Ma quante situazioni analoghe persistono nel settore culturale? Nel 2022, un’indagine di Artribune metteva a fuoco il problema, interpellando il Ministero, le associazioni di categoria, le istituzioni. Raccogliendo dati utili a inquadrare uno scenario fatto di precariato, esternalizzazioni mal gestite, volontariato culturale che rosicchia posti di lavoro (o fa scudo alla mancanza di personale, innescando un pericoloso meccanismo), confusione tra competenze e figure professionali, promesse non mantenute, paghe misere. Non troppo è cambiato, negli ultimi anni. L’ultima indagine dell’associazione Mi Riconosci risale al 2023, in concomitanza con i 30 anni della Legge Ronchey, ritenuta responsabile della precarizzazione del lavoro culturale in Italia per aver introdotto la pratica dell’esternalizzazione dei servizi di musei e biblioteche e la possibilità di utilizzare volontari a integrazione del personale. Un report, prossimo a compiere i due anni ma ancora tristemente attuale, che evidenzia come la tipologia di contratto più diffusa, nel settore, sia quella dei multiservizi (uguale: retribuzioni poco dignitose). Nel 2023, la metà degli intervistati dichiarava di guadagnare meno di 10mila euro l’anno; il 54% di loro di non ricevere compensi sufficienti per vivere.
L’anno che si è appena concluso non fa che confermare l’emergenza, tra nuove controversie – non ultimo il caso della cooperativa Fema – e prese di posizione che, d’altro lato, mostrano una consapevolezza del problema sempre più diffusa tra i lavoratori del settore.
Il 2024 dei lavoratori della cultura, tra scioperi e battaglie sindacali
A luglio 2024, un’inchiesta di SenzaFiltro riuniva le testimonianze di quattro dipendenti del MUSE di Trento, tra turni impossibili, stipendi non dignitosi e demansionamenti; mentre solo qualche settimana fa, a Milano, in concomitanza con l’inaugurazione della nuova sede della Pinacoteca di Brera a Palazzo Citterio, è scoppiato il caso di una carenza di personale ignorata dalla dirigenza, che ha costretto le parti a un tavolo di confronto per dirimere la questione. Nell’occhio del ciclone, negli ultimi mesi, sono stati anche i Musei Civici di Milano, con numerosi scioperi indetti dai lavoratori per rivendicare adeguamenti salariali promessi da Palazzo Marino e mai corrisposti, e l’applicazione del CCNL di Federculture per le prossime gare d’appalto, per limitare l’uso del contratto Multiservizi.
Sempre dal monitoraggio dell’associazione Mi riconosci emergono, poi, altri fatti salienti del 2024. Come lo sciopero a oltranza, su tutto il territorio siciliano, dei lavoratori ASU, che da oltre vent’anni prestano servizio presso i maggiori siti culturali della regione ma non vengono riconosciuti come dipendenti perché a carico del Fondo sociale di Occupazione e Formazione. O le proteste dei 300 dipendenti esternalizzati che a Firenze prestano servizio presso Uffizi, Bargello, Galleria dell’Accademia, Pitti, Officina delle Pietre Dure, a rischio di tornare al contratto Multiservizi dopo il cambio di appalto che ha visto vincere una nuova cooperativa. Ma “i casi di stati di agitazione, vertenze e scioperi sono stati tantissimi e per il 2025 ce ne aspettiamo ancora di più”, spiega l’associazione “Solo continuando a lottare insieme, condividendo le nostre esperienze, denunciando, potremo migliorare il settore culturale italiano”.
Livia Montagnoli
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