La casta, in India
Questa lettera di Maria Rosa Sossai è indirizzata a Sahana Manjesh, studentessa di Mysore, incontrata nello scorso mese di agosto durante la mia residenza alla Krishnamurti Foundation, vicino a Bangalore.
Cara Sahana,
l’incontro con te è stato importante per più ragioni: per l’impegno pieno di entusiasmo da te dimostrato nella lotta contro le ingiustizie sociali nell’India di oggi e per la competenza con cui porti avanti questa lotta. Penso che il Kranti Festival, di cui sei una delle organizzatrici (kranti vuol dire ‘rivoluzione’ nella lingua del Karnataka), sia per voi un’iniziativa altamente formativa, perché organizzata esclusivamente da studenti per altri studenti in varie città del Paese (Bangalore, Delhi, Mysore, Kolkata) con una serie di attività nei campi più diversi: documentari, canzoni, spettacoli, mostre fotografiche, storie e conversazioni con personaggi della controcultura indiana.
Una delle esposizioni organizzate dal Kranti Festival nello spazio indipendente di Bangalore Shanti Road è una mostra di foto scattate da Priyanka Borpujari nello Stato del Bilhar, nell’India centrale, che ha come protagoniste le donne della comunità Dom, le quali non appartengono a nessuna delle quattro varnas del sistema di caste indiano. Mi hai raccontato che l’invisibilità sociale impedisce loro di avere terra e lavoro e che devono spesso lottare contro i cani randagi per strappare il cibo scartato dagli appartenenti alle caste di qualsiasi livello. A causa della loro infima condizione sociale non possono avvicinarsi al Gange, il fiume più sacro dell’India. Da alcuni anni, però, grazie agli sforzi di una onlus locale, viene organizzata una funzione religiosa durante la quale cinquecento donne Dom si recano sulle rive del Gange e si immergono nel fiume in segno di protesta contro la discriminazione razziale di cui sono vittime e per rivendicare la loro uguaglianza con le altre caste. Quindi portano via con sé dell’acqua del fiume.
Una delle foto in mostra racconta la storia di Amita Bai, della tribù Bareli di un villaggio dello Stato del Madhya Pradesh. Sposata ancora molto giovane e illetterata, per tre anni ha seguito un corso di formazione insieme ad altre donne per imparare a riconoscere le piante curative che crescono spontanee nella foresta e curare i membri della sua comunità. Ora il programma si è interrotto per difficoltà di ordine politico ed economico. E questa interruzione l’ha riportata alla condizione precedente di inferiorità.
Ora che sei tornata a Mysore dopo aver studiato a Bangalore, la tua scelta di lottare a favore delle donne delle zone rurali dell’India che vivono una condizione di emarginazione e violenza è indicativa. Se la conoscenza è anche al servizio degli altri, oltre che del nostro successo personale, sarà una conoscenza libera e capace di espandersi. Il sapere e la libertà viaggiano insieme, perché l’atto dell’apprendere è tale solo a condizione che avvenga in uno stato di libertà interiore. Anche se sei cosciente che la soluzione non è a portata di mano, capire e condividere i problemi delle persone svantaggiate è già in parte la soluzione dei problemi.
Maria Rosa Sossai
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #16
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