Si può insegnare a diventare artisti?
Prendendo spunto da due interventi di Louise Bourgeois, proviamo a ragionare su una domanda che in molti - specie in ambito formativo - considerano scontata nella sua risposta. Se la retorica del genio romantico è priva di fondamenti, come si può trasmettere l’esigenza di una espressione creativa?
In un breve ma incisivo intervento degli anni Novanta, Insegnare l’arte, Louise Bourgeois – artista tra le più eleganti del secondo Novecento – affronta la problematica scottante dell’educazione per evidenziare, con durezza e intransigenza, l’impossibilità di insegnare a diventare artisti. L’artista ha un Talento innato (1994), avvisa Bourgeois, “come lo si può insegnare? Non è possibile diventare artisti, si può solo accettare o rifiutare questo dono. Non è un mio potere, né è mia responsabilità, o tanto meno mia intenzione, perseguire l’impossibile obiettivo di insegnare a qualcuno a diventare artista”. Del resto, soltanto “l’opera può insegnare qualcosa, non l’artista” (“un buon numero di artisti sono molto stupidi”). Anche perché, sono sempre parole di Bourgeois, “nascere artisti è” solo ed esclusivamente “un privilegio”, “una maledizione”, una sensibilità, una gentilezza (Gentilezza è la disciplina che Heinrich Böll propone di insegnare nel progetto beuysiano di Libera Università Internazionale per la creatività e la ricerca interdisciplinare), una raffinatezza interiore.
“Penso che la brama rabbiosa di capire”, avverte Bourgeois, “derivi dal fatto che si sbaglia la domanda. Non troverai mai la risposta giusta se la domanda è impropria: è come provare ad aprire una porta con la chiave sbagliata. Non c’è niente che non vada nella chiave e tanto meno nella porta. Ci sono domande cui è troppo doloroso rispondere. E altre ancora cui è impossibile rispondere”. È impossibile, dunque, rispondere a una domanda generica e banale (è possibile insegnare a diventare artisti?) che perde di vista alcuni nuclei, di natura intellettuale e materiale, legati all’apprendimento, alla pratica, alla produzione. A tre modalità – tanto essenziali quanto diffuse della relazione con ogni attività umana – che permettono di dominare e governare le procedure e i metodi che possiamo in seguito applicare.
A distanza di tempo, ammorbidendo il tiro e ripensando alle proprie riflessioni sulla condizione interiore dell’artista, Bourgeois esprime un nuovo concetto legato, questa volta, non solo alla creatività umana in generale, ma anche – e soprattutto – al fare, all’agire, all’attività manuale. A una manualità mentale, più precisamente. Il “fare è”, rileva Bourgeois, “uno stato attivo”, una “affermazione positiva” che permette, attraverso l’esercizio continuo (e la continua verifica degli strumenti dell’arte), di raggiungere vette tecniche, controlli utili a modellare la materia del mondo per procedere “verso uno scopo o una speranza o un desiderio”. Detto in altri termini, l’artista, in quanto educatore, può offrire un beneficio di natura essenzialmente pratica e teorica. Può fornire, all’allievo, un orientamento fra le tecniche e i materiali dell’arte. Può trasmettere nozioni utili a costruire e raffinare un gusto, a erigere un’armatura in grado di parare i colpi dei fattoidi e a spingere lo sguardo verso i sentieri limpidi della veritas. Quello che si può fare è, allora, per Bourgeois, trasmettere la disciplina progettuale (l’elasticità del politecnicismo), la consapevolezza della direzione, la determinazione della posizione, la propensione, la tendenza, l’attitudine che si fa forma. E allenare lo studente (lo studente che sceglie una scuola d’arte), infine, a un sapere metodologico che sia, prima di tutto, saper collocare se stesso e il proprio lavoro nel mondo.
A questo stesso discorso, da un’angolazione simile, Yves Michaud ha dedicato, nel 1993, proprio nel bel mezzo della sua direzione alla Académie Nationale Supérieure des Beaux Art de Paris (1989-1996), una serie di analyses et réflexions sur les écoles d’art per orientare lo studente nell’olimpo dei linguaggi artistici e avanzare l’idea di concepire una scuola (“destinata a formare artisti”) aperta a una serie di percorsi in cui pratica e teoria, appunto, compartecipano alla creazione di una riforma che mira a “sostenere il ritmo dei cambiamenti”, a costruire una formazione permanente e continua, a riprendere in mano le funzioni primarie dell’educazione per ritornare alle tecniche, alle abilità pratiche, alle conoscenze mentali e manuali. A un viale progettuale che è, per Michaud (al quale dedicheremo il prossimo appuntamento), il primum movens dal quale nuovamente partire per rifondare, nel migliore dei modi, lo spazio scolastico legato all’arte.
Antonello Tolve
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17
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