Paesaggi sonori e manici di scopa. Un workshop al Maxxi
“Fields II”, ovvero un workshop e una performance dedicati alle sonorità contemporanee. L’organizzazione è del dipartimento educativo del Maxxi, insieme ai musicisti Simone Pappalardo e Gianni Trovalusci.
Decine di bottoni e interruttori. Congegni sonori a metà tra il futuribile e gli asciugacapelli Anni Sessanta. Sulle orme di Butch Morris, il jazzista americano ideatore dell’improvvisazione pilotata, ma con un umore più confortevole, quasi casalingo. Il variegato pubblico della domenica pomeriggio al Maxxi si è trovato, un paio di settimane fa, di fronte a Fields II – conduction per campi elettromagnetici e strumenti autocostruiti – la performance ideata dai musicisti Simone Pappalardo e Gianni Trovalusci. Il titolo, Fields, allude naturalmente ai campi: quelli elettromagnetici, ma anche quelli “veri”, ambientali, architettonici, attraversati in questa anomala esplorazione sonora.
La performance in realtà è l’esito corale del laboratorio d’artista Scolpire il suono, organizzato dal dipartimento didattico del museo di via Guido Reni in occasione della mostra Open Museum Open City. L’idea di fondo del progetto è di costruire per tappe successive un’orchestra in grado di generare ambienti sonori gravidi di variabili e interferenze, partendo da una strumentazione che fonda elettronica, strumenti tradizionali e oggetti sonori assemblati a partire da materiali di scarto e di riciclo.
Ibrido è anche l’organico degli orchestrali, che coniuga musicisti di professione a principianti assoluti, che nei laboratori del Maxxi si sono avvicinati alle sonorità contemporanee partendo dalla stessa costruzione del proprio strumento. Tuttavia, il lavoro svolto da Pappalardo e Trovalusci con il Maxxi non si esaurisce nella sola sfera dell’uditivo. “I laboratori di ‘Scolpire il suono’ e poi la performance finale sono stati un’indagine che, per forza di cose, ha dovuto abbracciare più discipline. Non era solo questione di sonorità. Si trattava di capire come il suono si appropriasse dello spazio e come lo spazio reagisse al suono. E per spazio intendo non solo quello architettonico, ma tutto ciò che nello spazio può prendere posto: musicisti, pubblico, variabili ambientali”: così spiega Simone Pappalardo, la cui gestualità mimica e teatrale dava forma all’evoluzione sonora.
Gli fa eco Gianni Trovalusci: “In realtà il nostro lavoro qui al Maxxi va considerato nel complesso. ‘Scolpire il suono’ è stata anche e soprattutto un’esperienza didattica volta ad analizzare concetti che ormai appartengono con pari diritto tanto alle arti visive che a quelle performative. Una scultura sta nello spazio esattamente come ci sta un oggetto sonoro. Sonoro può essere anche un paesaggio. È questo, alla fine, che abbiamo cercato di affrontare nei vari incontri in cui si articolava il progetto. E siamo stati sopresi dalla naturalezza istintiva con cui i partecipanti si appropriavano dei meccanismi e dei linguaggi della musica contemporanea”.
Emanuele Leone Emblema
MAXXI – DIPARTIMENTO EDUCAZIONE
Via Guido Reni 4a
06 3201954
[email protected]
www.fondazionemaxxi.it/2014/10/21/proposte-educative-omoc/
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