Metti un sabato al museo con mamma e papà. La didattica al Mann di Napoli
Quanto funziona la didattica nei musei italiani? Le opinioni dei bambini, dei loro genitori e degli operatori museali. Un sabato pomeriggio al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, fra statue antiche, bambini vocianti, cazzuole di carta e palloncini colorati. E così inizia una nuova inchiesta di Artribune.
La collezione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli è di quelle che, quando te le trovi davanti, quasi ti viene giù una lacrimuccia di commozione. Perché rivedi la statua, il mosaico o l’affresco che erano sul tuo libro di storia alle medie o sul sussidiario delle elementari, alla voce Antica Grecia e Impero Romano. Ma i bambini, per fortuna, mancano di senso nostalgico e perciò visitare un museo assieme a loro acquista un valore diverso: sembra sempre una spedizione esplorativa.
Sabato pomeriggio, nel bel mezzo delle feste di Natale, il Mann è nel pieno centro della città e così la prima grande emozione la si prova a trovare parcheggio, che è quasi sempre artistico, ai limiti della legalità. Ma la difficoltà è ben compensata da una fermata della metropolitana dedicata, che porta direttamente dentro il museo. Una trentina di bambini, dai sei ai dodici anni, con tanto di genitori a carico.
Prendiamo parte a due laboratori didattici gratuiti. Il primo, più ludico, intitolato la Vacanza di Atlante, è riservato ai piccoli. L’altro, La casa di Marcus Terentius, è una specie di caccia al tesoro tra le sale e i reperti, che trasforma i ragazzi in archeologi con tanto di mappe e cazzuole di cartoncino. Questi due laboratori sono ideati, organizzati e condotti dal personale del Dipartimento Educativo del museo napoletano. La didattica, il rafforzamento dell’offerta dei musei verso l’utenza di bambini, adolescenti e dei loro genitori, il raggiungimento di un rapporto più organico con il mondo della scuola sembrano ormai direttive unanimemente accettate dalle strutture culturali italiane. Nel caso del Mann, questo è tanto più vero, perché il patrimonio conservato comprende opere e argomenti sui quali, almeno una volta nella vita, una interrogazione a scuola ti tocca da contratto. Ma ai bambini pure questo importa poco.
La prima cosa che sfruttano del museo è lo spazio. I saloni immensi dell’Archeologico, ex caserma di cavalleria del Cinquecento, così diversi dai bilocali o dalle villette in cui normalmente si abita, sembrano fatti apposta per correre. E difatti corrono. Gli operatori museali sanno quanto sia importante, e li lasciano fare. Naturalmente con cautela, in piena sicurezza per le opere e i visitatori, ma se le statue e i bassorilievi hanno resistito a un paio di millenni di storia, certo non se la prenderanno se un bambino gli sfreccia davanti o nel peggiore dei casi li sfiora con la mano. E i bambini toccano quelle superfici perché la materia, le forme, li attraggono. Non sanno bene perché, ma le sentono già cosa loro.
In entrambi i laboratori a cui partecipiamo, l’approccio didattico mira essenzialmente a proporre una visita guidata drammatizzata. I bambini e i ragazzi sono invitati a recitare un ruolo, a impersonare un “altro-da-sé” a cui è demandato il compito di esplorare, scoprire, capire, imparare. Questo tipo di drammatizzazione è prassi comune e assai efficace nella didattica museale. Significa deresponsabilizzare il bambino: aiutarlo a sentire meno il peso del giudizio degli adulti che lo accompagnano e la fatica di immagazzinare dati, immagini e concetti.
Per ogni sala è predisposta un’attività diversa. Un cruciverba da compilare dopo aver ascoltato la spiegazione (opportunamente semplificata) di un mosaico. La ricostruzione di un testo scrittorio per comprendere quanto sforzo è occorso agli studiosi per decifrare gli antichi papiri di Ercolano. Un piccolo laboratorio manuale in cui i bambini forgiano monili di rame come quelli che portavano i loro coetanei di 2mila anni fa. Per i più piccoli, l’adesione filologica alle opere è più permissiva. In fondo a che serve spiegare lo stile monumentale dell’Ercole Farnese se Ercole nemmeno sai bene chi è? Allora è più valido puntare a familiarizzare con i personaggi, con i loro attributi simbolici e con le loro voci tonanti, presentate ai bambini con appositi registratori portatili.
Nella fascia di età dai 6 ai 10 anni la mente e le gambe non fanno ancora vite separate. L’uso del corpo nell’esplorazione delle sale espositive è perciò incoraggiato e guidato dal personale didattico. Così facendo, da un lato si incanalano positivamente le energie, evitando che il bambino entri in modalità scheggia impazzita rimbalzando senza sosta da tutte le parti, dall’altro si veicola il concetto – non secondario – che il museo non si esaurisce solo nelle opere che ospita, ma è anche e soprattutto uno spazio. Uno spazio spesso dotato di una propria autonomia estetica e significativa. Le sale immense dei musei storici, infatti, così come i cubi bianchi dei musei contemporanei, spesso inibiscono il visitatore nel processo di naturale appropriazione dello spazio. Soprattutto se è un bambino. È una specie di agorafobia mista a un innato timore reverenziale. Ma è una difficoltà, questa, che fa parte del gioco, perché segna l’alterità del museo e delle opere che espone dalla spazialità comune e quotidiana.
Portare progressivamente i bambini a interagire con quello spazio, a gestirlo con tutto il proprio corpo, significa anche introdurre un altro assunto fondante e reiterante nella storia dell’arte occidentale e che nessuno meglio di un bambino può afferrare istintivamente: grande è bello. Nonostante quest’epoca di miniaturizzazione lasci credere il contrario, le dimensioni nell’arte contano. Non fosse altro che, per guardare una scultura monumentale, o una immensa parete affrescata, tanto un bambino quanto un adulto sono costretti ad assumere la medesima prospettiva, quella di alzare gli occhi al cielo.
Ma a conti fatti, quanto apprende realmente un bambino dopo una visita didattica in un museo? Cioè, quanto un laboratorio didattico ben confezionato, come quelli del Mann, appaga davvero i bisogni di un ragazzino e non solo l’orgoglio del genitore illuminato, che decide di trascinarlo in mezzo alle opere d’arte antica invece di lasciarlo scorazzare al parco o a casa di un amichetto? Difficile giudicarlo. L’apprendimento attiene primariamente alla sensibilità del singolo e all’umore del momento. Ma questo poco importa. Ciò che conta per valutare la bontà delle attività museali rivolte ai bambini è che passi l’idea di un museo come luogo altero sì, ma non per questo meno accogliente e confortevole. Un luogo dove si possa correre e giocare, in una dimensione architettonica ed estetica alternativa a quella della casa o della scuola, ma con la medesima sicurezza di sé e dei propri mezzi.
Giulio Carlo Argan scriveva alla fine degli Anni Settanta: “I Musei italiani hanno il pregio di essere antichi ed il torto di essere vecchi”. Oggi, riempire le sale di un museo di bambini vocianti servirà certamente a quei bambini. Ma ancor di più serve al museo come miglior rimedio contro i malanni della vecchiaia.
Emanuele Leone Emblema
MANN – MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI
Piazza Museo Nazionale 19
081 4422149
http://cir.campania.beniculturali.it/museoarcheologiconazionale
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