L’errore secondo Marinella Senatore
Il termine educazione, legato a rimandi noiosi e scolastici per i più, può illuminarsi di nuove energie e potenzialità prendendo in prestito la forza coinvolgente del pensiero di Marinella Senatore. Un fare artistico e un metodo confluiti nella School of Narrative Dance. Ecco di cosa si tratta.
L’occasione per scrivere ancora – mai abbastanza in realtà – di Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977; vive a Berlino) è fornita dal suo sito. Un bel pretesto per mettere in parallelo il racconto dei temi fondamentali del suo fare arte con la prassi della pedagogia fenomenologica, basata sull’ascolto e sullo scambio a partire dal soggetto e non su una sterile trasmissione di contenuti, che può solo trarre nuova linfa dai presupposti di un’arte pensata come partecipata.
Il termine educazione, legato a rimandi noiosi e scolastici per i più, può illuminarsi di nuove energie e potenzialità prendendo in prestito la forza coinvolgente del pensiero di Marinella Senatore. Un fare artistico e un metodo confluiti nella School of Narrative Dance, “un grande contenitore assolutamente gratuito che gira per il mondo”, da lei fondata insieme a Elisa Zucchetti e Nandhan Molinaro nel 2013, dove non esiste errore, dove tutto è sempre sperimentazione collettiva che offre solo la preziosa consapevolezza della responsabilità personale di un io, come parte, che può riconoscersi ed esprimersi attraverso un noi.
Tra i video, nella sezione trailers, i risultati del suo lavoro e il racconto della school: non un luogo fisico, piuttosto una pratica nomade che di volta in volta diventa un potente catalizzatore capace ancora una volta di creare comunità. Ricucire i fili dell’essere-insieme attraverso il corpo, ascoltando, condividendo.
Alla School of Narrative Dance chiunque ha qualche cosa da insegnare è docente. Ai partecipanti non sono richieste abilità né grado di scolarizzazione ma il solo mettere a disposizione la propria esperienza. Vivere e condividere per trasformare un incontro in una narrazione performativa, diversa dall’evento o dallo spettacolo perché arte libera dai vincoli superficiali della perfezione formale, testimone coraggiosa e contagiosa della necessità di una onesta, reale pratica dell’autenticità.
Un moderno rito laico, dove il credo condiviso non è annullarsi nel sovrumano ma nella scommessa di essere contemporaneamente uno e parte di un tutto attraverso sceneggiature corali nelle quali il corpo strumento di “resistenza della condizione sociale”, parole dell’artista, privo di filtri o sovrastrutture, è interprete e narratore privilegiato di un’esperienza da riscoprire e tradurre.
Sul sito, altro progetto significativo, Estman Radio Project, babele di lingue e ambiti per una piattaforma aperta a scambi e contributi, accessibile a chiunque. Fra gli interventi, anche quello del filosofo Francisco Jaruta, del fisico Jorge Wagensberg o dell’architetto urbanista Santiago Cirugeda. Tanto altro in un fare arte non utopistico, segnato da un impegno sociale e politico, reso in opere di grande intensità, indicazione di metodo esistenziale praticabile.
Adele Cappelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23
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