L’EDUCAZIONE DEL QUEENS MUSEUM
La call internazionale alla quale anche Artribune aveva contribuito ha portato i suoi frutti. Si è infatti appena concluso il weekend che il Queens Museum ha dedicato al ruolo dell’educazione artistica nelle scuole, nei musei e nella società.
Eventi per bambini, ragazzi e adulti; possibilità di incontro e dibattito per insegnanti e addetti ai lavori sul ruolo delle attività artistiche nelle scuole e nei musei; eventi dedicati a popolazioni speciali: il simposio lungo tre giorni è riuscito a offrire tutto questo, oltre a porre interrogativi sul concetto di normalità, sui suoi confini e sui mali delle etichette autoreferenziali nell’arte contemporanea.
BEST PRACTICE
All’evento hanno partecipato star del mondo educazionale americano, ma anche diverse e positive sorprese italiane.
Se Alice Wexler, presidente dell’USSEA – United States Society for Education through Art, ha saputo sottolineare che, se l’educazione artistica ha la cruciale capacità di migliorare il singolo individuo indipendentemente dal talento e dalla “salute mentale”, allora ha anche la capacità di migliorare la società in cui essa opera. Tom Di Maria, direttore del Creative Growth Art Center, partendo da esempi del suo vissuto californiano a contatto con esseri umani affetti da varie disabilità, è arrivato a porre interrogativi collettivi quali: cosa serve per essere un artista? Una matita, una scuola, una galleria, un collezionista, un museo? Chi decide chi è un artista e chi no?
DUE MOSTRE INCLUSIVE
Fra le attività previste, anche due mostre: An inclusive world, che ha unito artisti insider quali Will Kurtz a nuove interessanti conoscenze come Sun Young Kang, Jamie Martinez e Arlene Rush; A Diamond Called Outsider Art, group show curato da Alessandro Berni. Quest’ultima mostra è stata realizzata con l’intenzione di destrutturare il concetto tradizionale di Outsider Art. Il principio selettivo è stato la purezza del gesto creativo necessario per la realizzazione delle opere prescelte, tralasciando ogni definizione classica di art brut e quindi ignorando tutti i preconcetti e gli aspetti stigmatici che la accompagnano.
Solo un artista fra i prescelti può essere riconducibile come outsider artist al 100%. Tutti gli altri, pur essendo ben inseriti nel tessuto sociale e artistico che frequentano, hanno meritato di essere selezionati per la radicalità dei loro stili di vita e per la rivendicata originalità nella ricerca della realizzazione delle opere esposte.
GLI ITALIANI? PRESENTI
Fra gli artisti selezionati, gli italiani Pier Paolo Bandini, Franco Losvizzero e Paolo Pelosini.
Quest’ultimo è stato protagonista del dibattito di apertura della tre giorni, di cui riportiamo uno scorcio del suo intervento: “Il cinema riesce a parlare alla gente, la musica riesce a conquistare il grande pubblico, L’arte di oggi invece è sempre più lontana dall’uomo comune, quindi meno influente; è rimpicciolita dall’autoreferenzialismo che ne veicola l’accesso ai musei e le grandi città hanno cominciato a vivere senza di lei. Sono arrivato a Manhattan nel 1975. Allora era il centro del mondo dell’arte contemporanea. La guardo oggi e vedo una conchiglia vuota. Se si escludono i grandi spazi istituzionali, non succede più niente. Non ci abita più nessun artista. Sì, d’accordo, succedono ricchissime vendite, ma un’arte ridotta a strumento di mercato cessa di avere il suo ruolo storico e umano. Se l’arte può avere ancora un forte ruolo educativo? Senz’altro in Africa e in tanti altri posti del mondo, ma non più nelle costosissime metropoli di questo pianeta, dove è meramente usata come strumento di business e successo prima che come veicolo sociale di pensieri e emozioni”.
Ma la batteria degli artisti italiani coinvolti non è finita qua. Infatti la tre giorni ha ospitato anche il panel dedicato alla sovrappopolazione dei cani di Carlo Sampietro e il workshop per bambini di Michela Martello.
Francesco Lecci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati