Musei ed educazione. Il Castello di Rivoli
Invitato alla prima edizione dell’Arts Learning Festival di Melbourne, il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli si distingue ancora una volta per l’approccio aperto e trasversale che caratterizza le sue attività. Ne abbiamo parlato con la responsabile, Anna Pironti.
Dal 3 al 7 maggio a Melbourne si terrà la prima edizione dell’Arts Learning Festival, una manifestazione organizzata da ISV Independent Schools Victoria di Melbourne che coinvolgerà oltre duemila scuole dello Stato di Victoria. Selezionato come unico partner museale italiano, il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli volerà in Australia per portare le proprie “best practice”, progetti realizzati in Italia e in Europa, frutto di ricerche teoriche declinate in progetti per la comunità. Ne abbiamo parlato con Anna Pironti, Responsabile Capo del Dipartimento Educazione del Museo, che si è espressa anche in merito alla situazione dei Dipartimenti Educazione museali nel nostro Paese.
L’essere stati selezionati per una manifestazione internazionale di tale livello è una conferma significativa sull’efficacia degli studi e delle proposte educative del Castello di Rivoli. Con quali argomenti il vostro Dipartimento Educazione è riuscito a stimolare un tale interesse?
La ISV di Melbourne studia l’impatto delle arti sulla coesione sociale e sulla trasformazione delle comunità e dei territori, e ha preso in considerazione i progetti del Dipartimento perché rispondenti alla sua visione. Un team di osservatori è venuto in Europa per studiare “sul campo” varie realtà. Conoscevano i nostri progetti e sono venuti al Castello di Rivoli in occasione di una tappa de Il Cantiere dell’Arte [dal 2012, progetto di arte partecipata finalizzato all’umanizzazione degli ambienti di cura in collaborazione con Fondazione Medicina a Misura di donna, N.d.R.] presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, potendo così confrontare progetti e metodologie. Noi operiamo permettendo alla persona di compiere esperienze significative per sé e per la comunità, attraverso l’approccio alle dimensioni simboliche e materiche del linguaggio dell’arte. È questo l’aspetto che ha colpito lo staff australiano.
In passato vi siete confrontati anche con altre realtà internazionali.
Alle spalle abbiamo già molte esperienze internazionali, come la partnership con il Louvre, nel 2013 a Parigi, o la partecipazione alla Biennale di Bordeaux nel 2011 con Michelangelo Pistoletto, ma erano progetti che nascevano dall’Italia. Questa volta è particolarmente significativo come la scelta si sia focalizzata sul Dipartimento dall’esterno. Anne Smith, Arts Program Manager ISV e i ricercatori del gruppo hanno anche incluso i progetti del Dipartimento Educazione nella Ricerca svolta con Project Zero per la Harvard Graduate School of Education di cui è Senior Director il Prof. Howard Gardner, il celebre teorico delle Intelligenze multiple.
Ha parlato di Abi-tanti La moltitudine migrante, che verrà proposto a Melbourne all’Immigration Museum. Altri progetti che presenterete sono Tappeto Volante e una tappa del Terzo Paradiso di Pistoletto. Lascerete segni eloquenti in città…
Questi progetti sono fortemente voluti dall’organizzazione. Non presenteremo solamente interventi teorici, ma progetti educativi tout court che portano l’arte contemporanea all’interno delle comunità agendo sulle grandi questioni e le criticità del tempo presente. L’arte non è in grado di cambiare la società, ma può essere al servizio della comunità e agire all’interno di essa. In questo ci siamo sentiti compresi dagli organizzatori di Melbourne. Il progetto Tappeto Volante, da cui deriva direttamente Abi-tanti, nasce per il quartiere di San Salvario, a Torino: siamo stati chiamati nel lontano 1996 dalle educatrici della scuola dell’Infanzia, dove il 70% degli alunni sono stranieri e il problema della comunicazione, anche tra gli stessi bambini, si pone in maniera molto forte. L’arte è stata uno strumento di dialogo per un tessuto sociale bisognoso di una base comune. Anche Terzo Paradiso, operazione promossa da Cittadellarte e di cui il Castello di Rivoli con il nostro Dipartimento è Ambasciatore, è stata scelta non solo perché Pistoletto è uno degli artisti presenti nella nostra collezione, ma anche perché con lui condividiamo la stessa idea dell’arte come motore di trasformazione sociale responsabile.
Educare all’arte con l’arte è il principio cui si ispirano contenuti, metodi e attività della vostra azione pedagogica al Castello di Rivoli. In che maniera viene applicato?
L’esperienza dell’arte deve essere significativa, importante. Chi la fa deve avere la possibilità di utilizzare strumenti e materiali adeguati per conseguire un risultato appagante, anche estetico, senza per questo pensare di essere artista. I prodotti delle nostre attività non sono opere, ma oper-azioni, non sono creazioni, ma esperienze. Chi partecipa non rifà l’opera, ma attinge dall’opera come apparato polisemico che, attraverso una serie di elementi materici e simbolici, si traduce in un’operazione di senso e significato. È gratificazione personale e collettiva.
Il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli è stato istituito nel 1984, ha al suo attivo più di un trentennio di ricerca pedagogica. Può raccontarci brevemente la sua storia e la sua evoluzione?
Nel 1984 era semplicemente “Ufficio Scuola”, una microdimensione in cui ero io da sola. Nel tempo si è creato un team di persone, si sono aggiunte Paola Zanini, Barbara Rocci, Brunella Manzardo e tutte le “artenaute”: non insegnanti, ma viaggiatori capaci di condurre altre persone insieme a loro nel viaggio attraverso l’arte. Collaborano con noi figure professionali differenti, provenienti da percorsi di studi in Architettura, dal DAMS, dalle Accademie. Dall’Accademia proviene Manuela Corvino, che ha progettato i primi Abi-tanti. Ora il Dipartimento Educazione è un team di professionisti diversi con in comune l’idea dell’arte al servizio delle persone.
I programmi educativi oggi attivati sono rivolti non solo a famiglie e scuole, ma si riferiscono al modello del Lifelong Learning e dell’accessibilità totale per i disabili, fornendo un esempio di quello che dovrebbe essere il museo del presente: inclusivo, democratico, aperto. Ritiene che la cultura museale italiana si stia evolvendo in questo senso?
Tutti possiamo assumere il ruolo dell’insegnante e tutti siamo in costante apprendimento. Tutti possono avere il desiderio di comunicare e di ricevere il sapere. Quello del museo dovrebbe essere un percorso orizzontale in cui il visitatore viene accompagnato. Il museo è fatto per comunicare, non solo per conservare, quindi il ruolo educativo dovrebbe essere importante tanto quanto quello curatoriale. Oggi il museo è perlopiù “verticale”, le funzioni espositive sono ritenute principali e assorbono la gran parte delle risorse anche in termini economici e di comunicazione. Si dovrebbero cambiare i parametri di valutazione, non far valere solo quello demoscopico, quello che si basa sul numero dei visitatori. Facciamo l’esempio di Rivoli, considerato sempre un museo “non vicino”, non comodo da raggiungere. Il museo non deve essere “vicino” in termini di praticità, perché registri una grossa affluenza, ma deve essere vicino al visitatore e impostato sulla qualità della fruizione per generare riscontri postivi rispetto all’esperienza.
Come valuta la situazione dei Dipartimenti Educazione dei musei italiani? Chi lavora bene nel nostro Paese?
In Piemonte abbiamo l’esempio di ZonArte, network sostenuto da Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT che riunisce i Dipartimenti Educazione dei musei della Regione in progetti comuni di avvicinamento del pubblico. Ne fanno parte, oltre a noi, Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, GAM, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Fondazione Merz e PAV. ZonArte coinvolge soggetti esterni al circuito museale come Artissima, per far emergere gli aspetti e i “valori” dell’arte non solo commerciali, ma anche sociali, relazionali, culturali. In Italia ci sono dei buoni esempi, come il MAMbo a Bologna… C’è bisogno di riscrivere un lessico comune che dia solidità e punti fermi per chi fa educazione. La sensibilità e la competenza delle persone che lavorano nei Dipartimenti Educazione sono molto alte, ma bisogna lavorare, a livello comunicativo, sull’immaginario che riguarda questo ruolo, e, a livello legislativo, sulle norme che lo regolano e che lo definiscono. Il lavoro che i Dipartimenti Educazione portano avanti, soprattutto nell’arte contemporanea, sta dando buoni esiti. È tempo che a esso venga riconosciuta la giusta importanza e funzione, in nome del principio etico dell’accessibilità del sapere e del valore pedagogico del museo. In altre parole occorre rispettare sia quanto è già scritto nei testi di Museologia sia quanto è già definito da norme e leggi: i musei sono (dovrebbero essere) luoghi della gente e non solo “mostrifici”.
– Valeria Carnevali
www.castellodirivoli.org
www.artslearningfestival.org.au
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