Versus. Il dibattito tra formazione accademica e didattica sperimentale
Decimo capitolo per il ciclo di interviste doppie “Versus”: Alessandra Pioselli e Pietro Gaglianò mettono a confronto le diverse opportunità e i possibili percorsi di formazione artistica, dentro alle accademie e fuori. Fra i temi del dialogo, anche l’importante ruolo di mediazione svolto dalle istituzioni educative.
Le competenze necessarie per fare arte contemporanea (ma anche per comprenderla e amarla) non sono più limitate a quella miscela di capacità tecnico-pratiche, di conoscenze storiche e di criteri estetici la cui trasmissione è sempre stata tradizionalmente affidata alle accademie. Oggi tutti i centri di formazione, pubblici e privati, devono fare i conti con un universo stratificato di linguaggi e di media, che le nuove generazioni padroneggiano in maniera intuitiva e spontanea, spesso anche senza l’aiuto degli insegnanti. D’altra parte, musei e accademie potrebbero sembrare ambienti chiusi e impersonali a quelle sensibilità artistiche che ricercano il contatto diretto con i contesti di vita e con un pubblico non specializzato. Esperienze come workshop e residenze tentano di fornire risposte alternative alle nuove esigenze formative, ma l’ampliamento dell’offerta non garantisce di per sé l’eccellenza dei risultati. In un clima di generale impoverimento culturale, gli studenti sono esposti al rischio di intraprendere percorsi improvvisati, senza solide basi. Il direttore dell’Accademia di Belle Arti G. Carrara di Bergamo Alessandra Pioselli e il critico e curatore indipendente Pietro Gaglianò intervengono sul tema dell’educazione in questa doppia intervista.
Mi piacerebbe iniziare la nostra conversazione con una riflessione sul ruolo della scuola dell’obbligo e dell’istruzione liceale nell’indirizzare i talenti artistici e nel favorire lo sviluppo delle loro potenzialità. In tal senso, quale opinione avete del sistema scolastico italiano?
Alessandra Pioselli: Penso all’educazione artistica come mezzo, come pratica di crescita della persona, perché l’arte è il terreno di coltura di un’immaginazione critica che accede alla profondità e alla complessità del mondo. La scuola deve portare i ragazzi e le ragazze a desiderare e a sperimentare la libertà e il rischio del pensiero, e l’arte è uno strumento di allenamento. Per questo, avverso la rigidità degli indirizzi disciplinari e le inclinazioni professionalizzanti dei licei artistici. Le istituzioni, tuttavia, sono fatte dalle persone, che a volte fanno camminare le scuole in modo non allineato.
Pietro Gaglianò: Entro raramente in contatto con le scuole dell’obbligo, ma nel corso degli anni ho osservato il progressivo smantellamento di un sistema che ha costituito nei primi decenni dell’Italia repubblicana un elemento fondamentale per la formazione dei cittadini. Si sono comunque aperte nuove aree di azione dove anche l’arte, da sempre ancella pure nelle migliori condizioni, trova spazio grazie a programmi di collaborazione con professionisti esterni. Ma senza la passione dei docenti di ruolo…
C’è spazio, all’interno delle istituzioni, per lo sviluppo di modelli formativi strutturati, ma non convenzionali? La sperimentazione didattica può avvenire solo in contesti caratterizzati dalla massima autonomia e indipendenza oppure è conciliabile con i percorsi accademici?
Alessandra Pioselli: La ricerca ha bisogno di libertà. È un equivoco, però, ritenere che percorsi formativi non ordinari nascano solo fuori dalle istituzioni o che siano davvero tali perché esterni. Peraltro, sarebbe opportuno vagliare i margini dell’autonomia di ogni contesto. Il senso della responsabilità verso la collettività qualifica per me il fare sperimentazione al cospetto dell’istituzione, riflettendo sulla formazione in questa cornice di valore data dalla missione pubblica. I problemi di una riforma incompiuta non aiutano le accademie, ma anche in questa situazione la pratica istituzionale può creare le condizioni affinché si sperimenti, gli studenti siano motore d’invenzione didattica, siano coinvolti docenti che fanno ricerca.
Pietro Gaglianò: “Chi insegna senza emancipare abbrutisce”, scrive Jacques Rancière, e in questa semplice verità giace il grande paradosso di ogni percorso formativo. Le istituzioni sono concepite per uniformare più che per emancipare. È indispensabile un esercizio di intelligenza (alla lettera, di comprensione) da parte del “maestro” per non operare colonizzazioni intellettuali, un’impresa ardua ma possibile, che va sempre demandata ai singoli (pedagoghi di qualsiasi età, con qualsiasi retroterra, e sempre indipendentemente, se non in deroga, rispetto alle istituzioni).
Proviamo a fare qualche esempio concreto di best practice: quali sono le azioni educative e i progetti che vi sembra siano riusciti a coniugare successo formativo e innovazione?
Pietro Gaglianò: Nel mio pantheon ci sono tutti gli esperimenti di pedagogia libertaria: da La Ruche di Sébastien Faure, al Centro Educativo di Partinico, di Danilo Dolci. Nel campo dell’arte insuperato, e negletto, rimane il caso Black Mountain College, fondato nel 1933 in North Carolina. Joseph Albers, che lo diresse fino al 1949, riteneva che l’apprendimento dell’arte (scollegato dal suo insegnamento) dovesse essere una combinazione di interesse e invenzione. Una strada perseguita da tante esperienze del femminismo statunitense: valga come esempio il primo Feminist Art Program, diretto da Judy Chicago nel 1970 alla Fresno State University.
Alessandra Pioselli: In Italia l’approccio che si fonda sulle possibilità espressive come metalinguaggio sviluppato da Reggio Children, che informa il sistema pubblico e civico di nidi e scuole per l’infanzia di Reggio Emilia. Un modello totalmente fuori dal sistema dell’arte ma che propone riflessioni pedagogiche importanti. Ogni pratica (educativa), però, è un’ipotesi contestuale che non può radicarsi in certezze e format, e necessita di una lunga estensione temporale. I termini successo e innovazione sono scivolosi.
Vorrei concludere con una riflessione sulle esperienze personali e sul vostro contributo professionale nel settore della formazione. Quali sono gli ambiti di ricerca che più vi hanno stimolato e coinvolto? Come si declina il vostro impegno in campo didattico?
Pietro Gaglianò: Il mio rapporto con la pedagogia è sempre teso alla decostruzione dei rapporti di controllo e gerarchia. Accade nei progetti tra arte, formazione e antidiscriminazione, della rete europea Roots&Routes, di cui sono coordinatore per l’Italia, tutti ispirati a pratiche peer to peer e mutual learning. Accade nei corsi di Performance Art che tengo in istituzioni universitarie italiane e americane (dove ho ampio margine di autonomia), e accade naturalmente nella Nuova Didattica Popolare, storia dell’arte in piazza per gli abitanti di un piccolo paese abruzzese, nell’ambito di Guilmi Art Project.
Alessandra Pioselli: Nel 2016 l’Accademia di Bergamo ha aperto Giacomo, uno spazio in un quartiere critico della città, entrando a fare parte della rete sociale di zona. Ci siamo interrogati su come fare in modo che Giacomo sia un luogo di autoformazione per gli studenti, generando relazioni con l’intorno in maniera non prescrittiva. Divido con i colleghi una visione che domanda come un’accademia, assieme a giovani persone, possa contribuire a un’idea di città, e che spinge verso il confronto con la pluralità dei saperi e degli ambiti socioculturali odierni. Anche il progetto Artist-in-residence Kilometro Rosso sposa questo intento.
– Vincenzo Merola
Versus#1 Christian Caliandro vs Ivan Quaroni
Versus#2 Sergio Lombardo vs Pablo Echaurren
Versus#3 Vincenzo Trione vs Andrea Bruciati
Versus#4 Chiara Canali vs Raffaella Cortese
Versus#5 Antonio Grulli vs Chiara Bertola
Versus#6 Sabrina Mezzaqui vs Giovanni Frangi
Versus#7 Alice Zannoni vs Matteo Innocenti
Versus#8 Gian Maria Tosatti vs Luca Bertolo
Versus#9 Lorenzo Bruni vs Giacinto Di Pietrantonio
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