A Bari la scuola è open source. Intervista ad Alessandro Tartaglia
Parola a uno dei fondatori de La Scuola Open Source, un modello di scuola innovativo, sorto nel delicato contesto di Bari vecchia.
Verso la fine del 2015 alcuni giovani ragazzi di Bari con la passione comune verso la sperimentazione tecnologica, le modalità di cooperazione e soprattutto con una particolare concezione della diffusione e dell’apprendimento del sapere, si sono aggiudicati uno dei tre premi messi in palio da cheFare, il bando di concorso per progetti d’innovazione culturale da attuare nel territorio italiano.
La scommessa era quella di dar vita, in un’area non priva di problematiche come Bari vecchia, a una scuola diversa dalle altre, con dinamiche educative che prevedono una condivisione totale di ciò che viene insegnato e un’attenzione specifica verso le nuove tecnologie e la pratica Do It Yourself. In poche parole: La Scuola Open Source.
Abbiamo conosciuto i fautori di SOS (acronimo del progetto) esattamente un anno fa, durante la preparazione del loro III laboratorio estivo: un tour de force di due settimane durante il quale, tra workshop e incontri con personaggi illustri del sottobosco culturale italiano, si sono disposte le basi per quella che poi, di lì a poco, sarebbe divenuta la vera scuola a tutti gli effetti.
Lo scorso gennaio infatti la scuola ha aperto ufficialmente le proprie porte proponendo un’offerta formativa all’avanguardia formata da professionisti dei settori più disparati: dall’informatica all’antropologia, passando per il design interattivo e la grafica.
A distanza di un anno SOS ci riprova e lancia una call, in scadenza il 25 giugno, per giovani creativi disposti a collaborare insieme dal 23 al 31 luglio.
Per l’occasione abbiamo incontrato Alessandro Tartaglia, docente e tra i fondatori de La Scuola Open Source, nonché co-fondatore dello studio di design della comunicazione FF3300, al quale abbiamo chiesto di raccontare sia l’intero progetto sia le iniziative future.
L’INTERVISTA
Ti andrebbe di parlarci un po’ dell’urgenza che vi ha spinto a dar vita a un progetto simile? Quali sono i punti di contatto e i processi di scambio che si possono instaurare con un contesto particolare come quello di Bari vecchia?
Ci sono almeno due risposte possibili a questa domanda: la prima ve la do come individuo: per me conta molto lavorare per cambiare il luogo dove vivo, e quindi vivo e ho sempre vissuto questa esperienza come la manifestazione di un bisogno. La seconda riguarda il progetto (La Scuola Open Source), questo nasce anche e soprattutto da mutamenti nelle condizioni culturali, sociali ed economiche che viviamo tutti: diffusione attraverso la rete delle informazioni, proliferare di nuovi modelli e paradigmi interpretativi, revival dell’artigianato in chiave digitale, post capitalismo, giusto per citarne alcune.
Cosa intendete fondamentalmente per open source? Ci illustreresti a grandi linee i punti principali del vostro manifesto, i ruoli e le competenze specifiche degli altri componenti del gruppo?
Open source, per noi, significa aperto, nel tempo e nello spazio, iterativo (non finito, opera aperta), adattativo (iterando migliora, e se le condizioni del contesto mutano, si adatta), non lineare (non esiste un disegno già dato, il disegno si compone iterando il processo, e non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi). È un concetto filosofico che trascende il dominio semantico dell’informatica e apre prospettive politiche, economiche e sociali, nuove. Il gruppo che ha dato vita a La Scuola Open Source rispecchia questa “tendenza alla molteplicità”: abbiamo ingegneri (di vario tipo), designer (di vario tipo), maker, informatici, ma anche economisti, linguisti, storici e videomaker. I ruoli che ci siamo dati sono abbastanza fluidi, non esistono gerarchie, ma esistono dei responsabili di “area” che hanno un compito più “politico”, ovvero che esprimono una certa “visione”. Ad esempio: io sono il responsabile didattico, esiste un responsabile per la ricerca (Alessandro Balena), uno per il fablab (Roberto Ladisa, che è anche Vice Presidente del CdA), uno per il programma di sviluppo della community (Lucilla Fiorentino, che è la Presidente del CdA). Poi abbiamo dei responsabili più “tecnici”: per l’amministrazione, per i bandi, e così via…). Infine esiste un CdA – la nostra “intelligenza collettiva” – composto da tutti e tredici i soci, che si riunisce ogni settimana da quando abbiamo fondato la società, ormai un anno fa, producendo sempre dei report condivisi.
Con l’inizio del 2017 la Scuola è ufficialmente partita, quali sono stati finora i feedback e cos’è cambiato nel frattempo?
Abbiamo dato vita a 9 tra corsi e laboratori e 15 eventi (gratuiti e aperti a tutti) in 6 mesi.
Dal punto di vista dell’audience, per ora stiamo lavorando in prevalenza con un segmento di persone tra i 18 e i 40 anni. Molti arrivano a Bari da tutta l’Italia. In particolar modo Milano e Roma. La community online nei primi 6 mesi – pur considerando che dobbiamo ancora rendere operativo il gestionale e aprire il programma di membership e il fablab – è cresciuta del 25%, in gran parte grazie al lavoro fatto sulla didattica (corsi e workshop).
Nel frattempo abbiamo sperimentato formati e modalità per i moduli didattici e ci siamo resi conto che organizzare attività a ridosso delle date degli esami universitari o delle tesi di laurea è problematico, soprattutto fintanto che lavoriamo principalmente con questo segmento di pubblico (25 – 35 anni). Per questo lavoreremo nei prossimi mesi per allargare l’audience di riferimento agli studenti delle scuole secondarie, puntando ad abbassare l’età minima d’ingaggio fino ai 14 anni.
Quali altre strategie state mettendo a punto?
Allo stesso tempo stiamo lavorando per migliorare la nostra comunicazione, sganciandola da Facebook, dove è avvenuto il grosso dello sforzo di comunicazione fino a oggi, e implementando altri canali, come ad esempio Telegram. Infine stiamo per completare il gestionale, che diverrà il fulcro della community, permettendoci di aprire al programma di membership, che era stato messo in stand by fino a ora. Grazie ad Asimov, il prototipo del sistema di accesso, che è anche il primo output di un nostro progetto di ricerca, siamo in grado di rendere operativo questo luogo H24 in totale sicurezza.
Prima della partecipazione al bando cheFare avete comunque lavorato in senso comunitario all’organizzazione di workshop estivi. Ci fai un breve excursus sugli esperimenti passati?
Nel 2013 abbiamo organizzato X – una variabile in cerca d’identità, nel castello baronale di Castrignano dei Greci, in Salento, per 15 giorni. Il tema centrale era il design generativo.
Nel 2014 abbiamo organizzato, assieme a un gruppo che nel frattempo cresceva sempre più, XYLAB, stessa durata, stesso castello, questa volta però il doppio dei docenti, dei partecipanti e dei temi: New Publishing e Videomhacking.
Infine nel 2015, dopo la vittoria del bando cheFare, XYZ, il laboratorio che ha co-progettato La Scuola Open Source.
Se l’anno scorso con XYZ avete cercato di fissare le basi per la realizzazione effettiva della scuola, quali sono il target e la mission di questo nuovo laboratorio estivo? Come mai avete scelto proprio “Problemi comuni, soluzioni connettive” come titolo dell’attività?
Continueremo a sviluppare alcuni degli output della passata edizione, evolvendoli: ASIMOV: il sistema d’accesso progettato durante XYZ 2016 e sviluppato durante i mesi successivi.
FREAK GROTESK: il carattere tipografico di SOS progettato durante XYZ 2016 e attualmente in uso, su cui abbiamo intenzione di lavorare per sviluppare serie di glifi e features di manomissione tipografica. Ma ci sono anche delle novità:
La piattaforma SOS, sulla quale faremo un lavoro di ottimizzazione (algoritmi e interfaccia), messa a valore dei dati (visualizzazioni di dati e servizi web based); un sistema di crediti / scambio che possa essere scalabile e quindi adottato da più centri di produzione culturale indipendente in tutto il Paese, con la finalità di collegare idee, progetti e persone.
Infine lavoreremo su due temi centrali per il futuro di SOS e di tutti i centri di produzione culturale indipendente: la costruzione della community e sviluppo dell’audience e la governance, sia interna che esterna.
Come affronterete questi temi?
Affronteremo questi temi secondo più prospettive, in parallelo dal tavolo di lavoro sulla propaganda (X), da quello sulle economie alternative (Y), da quello sulla community e da quello sulla governance (Z).
Possiamo immaginare questi laboratori come una fase di “debug”, durante la quale la community si raduna per discutere e confrontarsi. La grande novità è l’intuizione di una rete nazionale di centri di produzione culturale indipendenti, che condividono pratiche e processi: immaginate se Macao, che sta sviluppando un sistema di crediti (para-valuta) allargasse la propria riflessione, condividendo il risultato (lo strumento) e usandolo per circuitare altri centri di produzione culturale indipendente, facendo così muovere e circolare idee, persone e progetti. Poi immaginate che questo sistema venga adottato qui a SOS, ma anche da Rural Hub, all’ExFadda, a Mare Culturale, al Clac di Palermo e così via.
Ecco, crediamo che il punto sia questo: problemi comuni – soluzioni connettive.
Oltre a essere affiancati da tecnici e da figure professionali di vario genere si denota comunque un’attenzione particolare verso la creatività in tutte le sue sfaccettature. Emblematica è stata la vostra collaborazione con un protagonista del ‘900 come Giovanni Anceschi. Ce ne puoi parlare?
Anceschi è un uomo straordinario. Abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo lungo il cammino e ce ne siamo innamorati sia umanamente che professionalmente.
Siamo molto tristi di non averlo con noi quest’anno, come siamo tristi di non avere con noi altri amici e colleghi illustri, però abbiamo dovuto fare delle scelte legate a obiettivi del laboratorio, durata, budget e necessità in termini di know how specifici. Con lui però, come con gli altri, l’amicizia e la collaborazione andranno avanti, contiamo di organizzare altre attività (corsi, laboratori, eventi) coinvolgendolo nuovamente il più presto possibile.
Il valore generato dalla sua partecipazione alle nostre attività è stato straordinario, un patrimonio inestimabile. Una cosa bella da ricordare, che voglio condividere con voi, è stata quando, di recente, durante una pausa nel suo corso di Basic Design, dopo aver assistito a un incontro (casuale) con alcuni ragazzi che erano venuti a visitare SOS, e ci stavano raccontando i loro progetti, mi ha preso in disparte e mi ha detto che l’atmosfera che si respirava, lo stato d’animo che stava vivendo, gli riportavano alla mente la sua gioventù, quando era studente a Ulm. Ecco, questa cosa credo che la conserverò dentro di me come una delle più grandi soddisfazioni della mia vita.
Dando invece un’occhiata al corso da poco concluso di Visual studies tenuto da Tommaso Guariento, e a Sistemi e tecnologie della sound art che vorreste far partire da settembre con la conduzione di Roberto Pugliese, mi viene da chiedervi quale sia la vostra posizione nei confronti dell’arte contemporanea e come può una scuola riuscire a implementare la sperimentazione tecnologica all’interno di una personale ricerca artistica.
L’arte è importantissima, così come la cultura umanistica in generale. Nelle nostre attività cerchiamo sempre di tenere entrambi gli elementi culturali (umanistico e scientifico) assieme, facendoli lavorare in modo che si valorizzino a vicenda. La ricerca artistica è un percorso personale, quello che può fare la SOS è fornire a chi intraprende questo percorso un luogo che accolga progetti e idee, all’interno di uno spazio condiviso, stimolando la nascita di interazioni e relazioni, lo scambio di know how e l’osmosi di esperienze.
Che differenza ci può essere oggi tra un artista e un artigiano?
Una cosa non esclude l’altra, credo, come esprime la comune radice.
Seppur apparentemente condividano molto, però, io intravedo una sfumatura di senso divergente: ”artista” presuppone un modello creazionistico (e un po’ elitario), in cui l’artista (uno) “crea”. “Artigiano” esprime una visione “egualitaria” (un po’ più proletaria) in cui chiunque (tutti), volendo e sapendo, “fa”.
Un’ultima considerazione sul futuro de La Scuola Open Source e sul destino della didattica italiana?
La parola destino è un brutto virus. Non esiste il destino, e una parola che esprime l’idea che le cose sono già scritte non può che essere una parola da rimuovere dal vocabolario. Quindi la mia risposta è no: niente da aggiungere e nessun destino.
– Valerio Veneruso
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