Didattica museale. Focus sulla mostra di Marina Abramović a Firenze
Ci sono mostre, nella vita di un educatore museale, in cui tutti sognano di lavorare e una di queste è “The Cleaner” di Marina Abramović. La buona sorte è toccata gli operatori di Palazzo Strozzi e noi siamo andati a trovare Irene Balzani per sentire come sta andando, a pochi giorni dalla conclusione della rassegna.
Sul vostro sito vi presentate con queste parole: “Il punto di partenza di ogni progetto è la relazione con l’opera d’arte, il confronto con la storia e la cultura di ogni epoca, per suggerire un nuovo modo di osservare il passato e riflettere sul presente”. Che proposte avete ideato in occasione della mostra-evento su Marina Abramović? E a quali e quanti pubblici vi rivolgete?
Lavorare in una mostra che ha il corpo e la performance come protagonista è un’esperienza molto stimolante. Insieme al direttore della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra Arturo Galansino e ai colleghi del Dipartimento Educazione Alessio Bertini e Martino Margheri ci siamo interrogati sulle possibili reazioni dei visitatori di fronte al nudo – reale, non filtrato dalla rappresentazione pittorica o scultorea o video. Per ogni mostra creiamo un’ampia offerta educativa e la scelta è stata di mantenere tutte le proposte, da quelle dedicate alle famiglie con bambini alle scuole di ogni ordine e grado, ai ragazzi con disturbi dello spettro autistico alle persone con demenza, ovviamente di volta in volta calibrando tempi e modalità della visita. Consapevoli della portata emotiva delle opere di Marina Abramović, ci siamo confrontati con altre figure professionali come pedagogisti per costruire proposte adeguate e abbiamo organizzato per tutti gli educatori che avrebbero poi svolto le attività in mostra una formazione con un’artista performativa, Chiara Mu. A partire da questa mostra abbiamo inoltre iniziato un nuovo progetto dedicato all’inclusione delle persone con Parkinson e che si basa proprio sull’espressione del corpo, sviluppato grazie alla collaborazione con il Fresco Parkinson Institute.
Il Dipartimento Educazione della Fondazione sta percorrendo da tempo anche un interessante filone di ricerca intorno al tema dei musei e l’Alzheimer. A quando risalgono i primi progetti e quali quelli in corso?
A più voci è il progetto dedicato alle persone che vivono con l’Alzheimer e ha una lunga storia. È nato nel 2011 e si rinnova per ogni mostra: tutti i martedì si svolge uno degli incontri.
Come tutti i nostri progetti di accessibilità, è progettato e condotto insieme ad altre figure professionali (in questo caso Luca Carli Ballola e Michela Mei, educatori geriatrici), indispensabili per creare una proposta adeguata e stimolante. Da qualche anno abbiamo iniziato un dialogo con alcune artiste che, con la loro pratica, hanno intensificato e potenziato il progetto. Nel 2016 abbiamo lavorato con Virginia Zanetti, nel 2017 con Cristina Pancini e adesso con Marina Arienzale. Con lei stiamo sperimentando una pratica partecipativa nella quale l’artista diventa l’oggetto della cura da parte degli anziani e dei loro carer.
Educare con l’arte vuol dire anche progettare in rete. Quali le istituzioni italiane con cui sono attive, o nel cassetto, collaborazioni?
In primo luogo è fondamentale la collaborazione a livello del territorio locale con il Comune di Firenze e la Regione Toscana, in dialogo con le altre istituzioni e associazioni che operano nel settore. Stiamo inoltre portando avanti una formazione legata ad A più voci dedicata ad altre istituzioni e abbiamo così dato vita a una rete di musei e professionisti con i quali siamo in contatto: Palazzo Grassi a Venezia, Musei Civici di Verona e Associazione Familiari Alzheimer, Pro Senectute di Lugano e recentemente la GAMeC di Bergamo. Il confronto con altre realtà permette di ampliare conoscenze e prospettive, interrogarsi su quello che stiamo facendo, per poi trasformarlo continuamente. Anche per questo ogni anno organizziamo un convegno internazionale dal titolo Arte Accessibile.
Di cosa si tratta?
L’ultima edizione si è volta il 29 e 30 novembre 2018 ed è stata l’occasione per conoscere meglio le proposte di musei come la Tate Modern di Londra, il Kunstmuseum di Bonn o il Museion di Bolzano, creando un’opportunità di arricchimento non solo per noi ma per tutto il territorio. Durante le due giornate c’è stato uno specifico focus sull’inclusione delle persone con il Parkinson. Grazie alla collaborazione con il Fresco Parkinson Institute che citavo prima e Dance Well, che da anni ha un programma attivo a Bassano del Grappa, abbiamo dato vita a una prima esperienza già a partire da questo autunno. L’intenzione è quella di creare una proposta che si rinnova di mostra in mostra e che si concentra sulle possibilità di utilizzare il corpo, attraverso la danza, come modalità di espressione in relazione alle opere d’arte.
Lavorare solo su mostre temporanee vuole dire soprattutto studiare e progettare continuamente. Un impegno ma anche uno stimolo continuo…
La forza e il valore di un luogo come Palazzo Strozzi sta nel rinnovare continuamente le attività sulla base di mostre, artisti e opere diversi, che offrono opportunità di scambio e confronto sempre nuove ma che si inseriscono in una continuità di offerta e di rapporto con il nostro pubblico. Tutto ciò implica un grande lavoro (di studio, progettazione, organizzazione di ogni attività) che permette anche un’ampia mobilità di pensiero e possibilità di sperimentazione. Data la temporalità delle esposizioni, il nostro impegno si concentra sul costruire percorsi e proposte che si basano sulla continuità, così che, anche se le opere cambiano, i progetti rimangono.
‒ Annalisa Trasatti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati