Il destino dei docenti di serie B. L’editoriale di Renato Barilli
Il critico bolognese riflette sull’accessibilità alla docenza negli atenei e nelle accademie italiani. Sottolineando la mancanza di criteri coerenti e che premino il talento.
Questa volta, invece di occuparmi dei modi secondo cui nel nostro Paese si organizzano le mostre, risalgo a monte, andando a esaminare i sistemi di reclutamento del personale docente. Qui incontriamo subito una riforma che si è fermata a metà strada, pur essendo stata attesa per decenni: quella che ha riguardato le Accademie di Belle Arti, e anche i Conservatori, equiparati sì al sistema universitario, ma mantenendo una intercapedine di distacco produttrice di esiti molto dannosi.
Questa mancata totale confluenza è dovuta a due ordini di sospetti opposti. I docenti delle Università hanno temuto di venire affiancati da colleghi di preparazione più sommaria, questi ultimi a loro volta hanno temuto di perdere la loro autonomia. Il triste effetto è che attualmente se un docente delle Accademie, pur inserito nei due livelli che si trovano anche nelle Università, di associato o di prima fascia, volesse passare a insegnare negli Atenei, non godrebbe di un semplice trasferimento, ma dovrebbe presentarsi appena come cultore della materia, passibile solo di ottenere un contratto, con una remunerazione di non più di due o tremila euro all’anno, corrispondenti a poco più di una sola mensilità. Questo anche se i docenti delle Accademie si trovassero a essere in soprannumero, e invece quelli dell’altra sponda scarseggiassero. Ovvero, non c’è osmosi tra i due blocchi.
“Basterebbe che i governi destinassero tante quote retributive di chiamata di questi idonei quanti sono coloro che superano le prove d’esame”.
Ma anche all’interno delle Università incontriamo un aspetto molto spiacevole. Finalmente è stato trovato un buon metodo per la selezione dei docenti, comprese le materie che ora ci interessano, di storia dell’arte nelle quattro scansioni, medioevale, moderna, contemporanea e critico-metodologica. Esiste una abilitazione nazionale ai due livelli, di associato e di prima fascia, che procede anche a scremature abbastanza sollecite e puntuali, ma poi i dichiarati idonei sono abbandonati a se stessi, ovvero alla possibilità che i vari dipartimenti abbiano davvero i soldi per chiamarli, cosa non facile, sia perché le erogazioni governative sono sempre più ridotte, sia perché i dipartimenti riservano le loro dotazioni per attendere che i propri allievi raggiungano quel grado di riconoscimento, mentre sono assai poco proclivi a chiamare degli idoneati di provenienza esterna, che dunque questi stentano assai a essere chiamati, fino al rischio di veder decadere i titoli che pure hanno conseguito.
Quale il rimedio? Basterebbe che i governi destinassero tante quote retributive di chiamata di questi idonei quanti sono coloro che superano le prove d’esame, magari con invito rivolto alle commissioni giudicatrici di essere un po’ più restrittive, meno di manica larga. Sarebbe un ottimo modo per dare lavoro sicuro a giovani qualificati e per evitare la fuga dei cervelli, dei tanti validi elementi che, disperando di essere assunti presso di noi, cercano una sistemazione negli Atenei stranieri.
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48
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