Didattica e musei. Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano
Parola alla responsabile del dipartimento educazione del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Come funziona la didattica in un museo scientifico?
Cosa vuol dire essere un dipartimento educazione storico, interno, insomma una vera e propria istituzione nel panorama italiano? Dove si trovano gli stimoli e come si resta al passo con i tempi e soprattutto le diverse tipologie di pubblico? Lo abbiamo chiesto a Maria Xanthoudaki, direttrice Education & CREI (Centro di Ricerca per l’Educazione informale) del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano
Quando è nato il dipartimento educativo?
Fin dalla nascita del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, nel 1953, il suo fondatore, l’ingegner Guido Ucelli, si è impegnato nella comunicazione scientifica con finalità specifiche: quella dell’alfabetizzazione scientifica e tecnica dei giovani in un Paese in trasformazione e quella dello sviluppo di una cultura scientifica. Ha immaginato un’istituzione al servizio della società e il museo “del divenire del mondo”.
E quali sono i suoi obiettivi oggi?
Oggi, la funzione Education & CREI porta avanti questa visione con rispetto cercando di capire come coniugare l’identità del museo con le caratteristiche e le esigenze dell’epoca contemporanea, ponendosi come obiettivo quello di essere leader in Italia e centro di eccellenza in Europa per l’educazione alle STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Negli ultimi quindici anni abbiamo lavorato in modo strutturato per il potenziamento dell’expertise in campo educativo basandoci su due strumenti fondamentali: da un lato sulla presenza di una funzione educazione interna all’istituzione e con una preparazione in diversi campi, quali le scienze, l’educazione scientifica, la pedagogia, l’educazione informale, le materie umanistiche, la ricerca educativa, che è responsabile dell’ideazione, della progettazione, dello sviluppo e dell’erogazione diretta di tutti i programmi e le attività che il museo offre ai suoi pubblici; dall’altro sulla ricerca metodologica educativa, compito principale del CREI il Centro di Ricerca per l’Educazione informale fondato al museo nel 2008, che aiuta a rimanere aperti ai cambiamenti e a essere pronti a cogliere stimoli e tendenze.
Quali sono le vostre proposte storiche e quali le novità 2019-2020?
Il nostro obiettivo è far crescere una nuova generazione di innovatori attraverso lo sviluppo delle competenze del XXI secolo e un rapporto positivo con le STEM; aiutare a costruire la cittadinanza scientifica e far vivere il museo come un luogo che appartiene a tutti, un luogo per la crescita personale e il benessere della comunità. Uno strumento fondamentale per fare questo sono i laboratori che fanno parte della storia del museo e sono in continua evoluzione.
Il primo laboratorio del museo è stato istituito addirittura nel 1955. Era il Centro di Fisica ideato per favorire la dinamicità e coinvolgere direttamente il visitatore in esperimenti appositamente allestiti. Da allora l’evoluzione di questa modalità di interazione e di coinvolgimento è stata continua, seguendo le tendenze del campo dei musei e dell’educazione, per arrivare oggi ad avere quattordici laboratori diversi, che oramai non sono soltanto spazi di apprendimento e di sperimentazione attiva, ma anche contesti di ricerca metodologica e il risultato di una armonica integrazione di contenuti, metodi, risorse e spazio.
Le nostre proposte “storiche” quindi sono i programmi educativi che il museo progetta e realizza per i suoi visitatori, che fanno parte dell’offerta permanente, rivolta a un pubblico di oltre mezzo milione di persone (nel 2018), ai 4500 gruppi scolastici all’anno, o a una comunità di 3000 insegnanti che segue il lavoro di formazione o i progetti speciali. Oltre il lavoro in o attraverso i laboratori, negli ultimi anni i punti di forza e campi di innovazione sono il Tinkering – approccio educativo di frontiera che il museo ha importato per primo dagli Stati Uniti in Europa attraverso la collaborazione con l’Exploratorium di San Francisco –, il Public Engagement, ovvero tutto il lavoro per creare un dialogo dinamico fra comunità di ricerca e i cittadini, e le numerose collaborazioni con musei e istituzioni educative e di ricerca a livello internazionale.
Ci sono progetti particolari o collaborazioni in atto di cui vuole parlarci?
Pensando ai progetti in atto ne sottolineare tre: Tinkering EU: Building Science Capital for all, un progetto finanziato dal Programma Erasmus+ dell’UE che utilizza l’innovativa pedagogia del Tinkering per sviluppare le competenze del XXI secolo e il capitale scientifico dei giovani in situazione di disagio e per migliorare l’educazione scientifica nelle scuole. Il progetto è il secondo in una serie di tre progetti europei nello stesso ambito.
Future Inventors, un progetto pioniere sviluppato con il supporto della Fondazione Rocca, con l’obiettivo di sviluppare un nuovo approccio che contribuisca alla trasformazione dell’educazione alle STEM a scuola attraverso la creazione di programmi e risorse sul tema della cultura digitale, incluso un nuovo laboratorio sullo stesso tema.
Infine STEM*Lab, progetto a livello nazionale per combattere la povertà educativa contribuendo al superamento di vulnerabilità personali, culturali, sociali e comportamentali attraverso la creazione di un contesto scolastico aperto che utilizzi metodologie e risorse innovative per l’educazione alle STEM. È sostenuto dalla Fondazione Conibambini, coordinato dal Consorzio Kairos e prevede la partecipazione di quaranta partner fra scuole e operatori in ambito educativo. Il museo è il coordinatore scientifico del progetto a livello nazionale, ma contribuisce anche allo sviluppo di risorse concrete progettando un nuovo laboratorio dedicato alle esplorazioni spaziali.
Qual è il rapporto del museo con la città di Milano? Anche voi avete negli ultimi anni registrato un trend positivo? Il rapporto con i vostri pubblici (storici e nuovi) come si è evoluto?
Il rapporto fra museo e città di Milano è un rapporto lungo e in (positiva) evoluzione. Il museo fa parte della vita di tantissimi milanesi che ancora ricordano le loro visite da bambini e, quindi, scelgono di portare le nuove generazioni a vivere delle simili emozioni; fa parte del quotidiano delle famiglie, che tornano per trascorrere una giornata insieme in un ambiente che offre tanti stimoli; fa parte della vita delle istituzioni milanesi, come quelle di ricerca, che trovano nel museo un mediatore competente per creare un rapporto diretto con la società; fa parte della crescita della città seguendo il ritmo e la voglia di appartenere a un contesto vivo, vivace, internazionale e accogliente. Negli ultimi anni stiamo registrando un trend positivo, per fortuna poco influenzato dalla crisi, sia nei visitatori che vengono a trovarci nel fine settimana sia nelle scuole che ogni anno aumentano. A oggi, nel 2019, abbiamo registrato un incremento di visitatori di oltre il 7% rispetto allo stesso periodo del 2018.
La mia percezione è che in Italia la didattica della scienza abbia un enorme potenziale inespresso. Condivide questa analisi? Quali possono essere le motivazioni e le eventuali ricette?
Posso dire che la scienza fa ancora paura e la didattica della scienza ha molta strada da fare. Faremo davvero un passo avanti quando diventeremo coscienti che scienza vuol dire non necessariamente un expertise disciplinare, ma un modo di pensare che fa parte di, e penetra, tutta la nostra vita. Solo allora cercheremo i modi per creare una cittadinanza scientifica che si basa sul pensiero critico, sulla consapevolezza e sul senso di responsabilità – che solo attraverso un’educazione scientifica, vista in modo interdisciplinare, attivo e consapevole si può ottenere.
‒ Annalisa Trasatti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati