La prossemica rovesciata. Gli studenti al tempo del Coronavirus
Silvia Burini, docente di Storia dell’arte russa presso l’ateneo di Ca’ Foscari, a Venezia, cita Jurij Lotman, il padre della semiotica della cultura, per descrivere le nuove forme di didattica che stanno prendendo forma nell’attuale situazione di emergenza.
Ci sono dei momenti in cui tutto quello che fino a un attimo prima ci era sembrato scontato, normale, addirittura noioso, diventa imprevedibile. Nulla di più abitudinario per un professore universitario che entrare in un’aula, fare un frettoloso saluto e svolgere la lezione. Con più o meno passione, con più o meno empatia. Spesso senza conoscere gli studenti, soprattutto quando sono tanti e gli esami sono scritti: a meno che tali studenti non vogliano chiedere una tesi o delle delucidazioni, il rapporto finisce qui, con un voto. Tutto in realtà piuttosto asettico, con una prossemica diretta ma di falsa vicinanza.
Eppure non ritrovare più questa routine ed essere obbligati a cercare un’altra strada, come è stato più volte scritto in questi giorni, è difficile, ma anche stimolante e mi ha fatto riflettere. Insegnando Storia dell’arte russa, tendo a considerare la letteratura e in generale la cultura come qualcosa di taumaturgico, perché si sa che in Russia – come ha scritto Evgenij Evtušenko – “un poeta è più che un poeta” e che Dostoevskij sta poco di sotto al Cristo Pantocratore… Ma quello che sta succedendo a tutti è difficile da comprendere soprattutto perché ci mancano le categorie teoriche. Allora chi mi è venuto in aiuto, come molte altre volte, per cercare di dare un senso a ciò che sta capitando è Jurij Lotman, il padre della semiotica della cultura. Un uomo dalla forza intellettuale così forte da essere accomunato agli artisti, come disse Maria Corti. Uno che ha scritto che l’originalità è una forma di coraggio.
Jurij Lotman ha elaborato, tra molte altre cose, una celebre teoria dell’esplosione (che troviamo in due suoi libri pubblicati in italiano: La cultura e l’esplosione, Feltrinelli, 1993, e Cercare la strada, Marsilio, 1994). I temi sono l’imprevedibilità e l’esplosione, collegati al cataclisma sociale e alla semiotica della paura… Profetico.
Lotman indaga la presenza dell’“altro”, del nemico, del diverso, di chi è esterno al sistema della cultura e non sotteso a esso. La funzione culturale dell’“altro” è immensa e consiste nel fatto di essere collocata al di fuori di tutte le funzioni e di irrompere nel “consueto”.
Ogni cultura crea un proprio sistema di marginali, di reietti, che sono coloro che non si inscrivono al suo interno. Il loro irrompere nel sistema fa sì che ciò che è extra-sistematico costituisca una delle fondamentali fonti di trasformazione di un modello, da statico a dinamico. La dinamicità della cultura è frutto della coesistenza, all’interno di un medesimo spazio culturale, di diverse lingue legate a gradi diversi di traducibilità o intraducibilità: quanto più denso e affollato è lo spazio culturale, tanto più complesso sarà il sistema che ne deriva. Ma la coesistenza è un processo regolare, segnato anche da una certa prevedibilità: i processi esplosivi hanno tutt’altra natura.
IL RUOLO DELLA IMPREVEDIBILITÀ
L’imprevedibilità irrompe nella storia e scardina il modello. È proprio quello che ci sta succedendo. Non abbiamo nemici concreti da combattere e quindi abbiamo ancora più paura. In un altro suo testo (rintracciabile in rete nella rivista E/C, La caccia alle streghe. Semiotica della paura, da me curato) Lotman scrive: “Il problema della paura mette lo studioso davanti a questioni di carattere non soltanto psicologico, ma anche semiotico. In questa circostanza vengono svelati meccanismi culturali che, in altri contesti socio-culturali, rimangono celati allo sguardo e non si appalesano con tale evidenza. […] Esaminando una società vittima della paura di massa, possiamo distinguere due casi. 1) La società è minacciata da un pericolo evidente a tutti (per esempio ‘la morte nera’, cioè un’epidemia di peste, oppure l’irruzione dei turchi in Europa). In questo caso, la fonte del pericolo è chiara, la paura ha un destinatario ‘reale’, e l’oggetto che la genera è il medesimo sia per la vittima stessa sia per lo storico che studia la situazione. 2) La società è in preda a un attacco di paura di cui ignora le reali cause (che talvolta sono sconosciute anche allo storico, il quale è obbligato a ricorrere a studi appositi per poterle far emergere). In questa situazione sorgono destinatari mistificati, costruiti semioticamente: non è la minaccia che suscita paura, ma la paura che crea la minaccia”.
Nel caso odierno il nemico è uguale per tutti, non c’è una parte della società “al sicuro”, non c’è una polarizzazione, non ci sono opposizioni e alleanze, ma soprattutto il nemico è invisibile, anzi si annida nel gesto più naturale e necessario che tutti facciamo: respirare. Non abbiamo un nemico reale o costruito, un capro espiatorio da combattere, quell’“altro” che irrompe nel sistema della nostra cultura in realtà può essere dentro di noi. Oggi Jurmích, come lo chiamavano affettuosamente i suoi studenti, avrebbe scritto qualcosa di geniale a riguardo. Io mi accontento di riportare un’altra citazione facendo qualche ulteriore considerazione:
“Dalle situazioni prevedibili”, scrive Lotman, “non scaturisce alcunché di radicalmente nuovo. Potremmo dire che la novità è il risultato di situazioni imprevedibili per principio. […] Il momento dell’esplosione interrompe la catena delle cause e degli effetti […]. Il momento dell’esplosione si colloca nell’intersezione di passato e futuro in una dimensione quasi atemporale. […] L’esplosione di possibilità diverse introduce nello spazio culturale la casualità […]. Il momento dell’esplosione non crea soltanto nuove possibilità ma anche un’altra realtà, uno smottamento e una risemantizzazione della memoria”.
LA FORZA DELL’ESPLOSIONE
Naturalmente tutto dipende dalla forza dell’esplosione: a volte si tratterà di fatti isolati, altre volte ne saranno segnate intere epoche, come nel nostro caso. Rileggendo queste righe ho capito che questa terribile “esplosione” ha cambiato radicalmente e per sempre anche il mio rapporto relazionale con gli studenti. Si è è creata una sorta di “prossemica rovesciata”.
Attraverso i mezzi virtuali si è aperta una nuova prospettiva, in cui tutti ci siamo sentiti uguali nell’affrontare il pericolo comune che non è “altro da noi”, ma è subdolamente dentro il sistema della nostra cultura. Questo ci ha fatto divenire solidali. Così è nata, tra le altre nuove forme relazionali di questi giorni, anche un tipo di lezione diversa: a distanza fisica ma di più intima vicinanza. Ritorno ancora a Lotman, che scrive a riguardo del suo operato come docente, a cui teneva sopra ogni cosa: “Le quattro-sei ore di lezione giornaliere non mi stancavano, e l’avere inaspettatamente scoperto che nel corso della lezione ero capace di pervenire a idee sostanzialmente nuove e che verso la fine delle lezioni venivo formulando concetti interessanti e prima a me ignoti, era letteralmente esaltante”.
UNA NUOVA FORMA DI COMUNICAZIONE
In queste righe di Lotman sembra riecheggiare nella pratica ciò che un altro grande pensatore russo, Pavel Florenskij, aveva affermato nel 1910, introducendo uno dei suoi corsi universitari, e, descrivendo agli studenti che cosa intendesse per una lezione universitaria, precisava la differenza tra lectio e lekcija. Se il primo termine indica una vera e propria lettura del docente, il secondo si avvicina di più a una “sorta di conversazione” (sobesedovanie), di dialogo in una cerchia di persone spiritualmente affini – scrive Florenskij: solamente in questo modo la lezione non si riduce a una sterile esposizione, ma diviene veramente un dialogo, uno scambio, un arricchimento.
Mi piace la tecnologia, ho usato da subito la piattaforma che Ca‘ Foscari, dove insegno, utilizza da qualche anno, per caricare i materiali dei corsi. Ma ora si tratta di altro, non di un supporto, ma dell’unico modo che abbiamo per stare in contatto, di una nuova forma di comunicazione sia intellettuale che emotiva.
È bastato mandare un messaggio di conforto e di vicinanza agli studenti e fare una proposta di approfondimento dei temi del corso, perché cominciassimo “una vera conversazione”, come la intende Florenskij, a distanza fisica e anche per questo libera e paritaria. Non solo utile per loro, gli studenti, ma per noi docenti, tutti spiritualmente più affini.
Senza essere “in cattedra”, ma davanti a un monitor, in questa linea così diretta – di “prossemica rovesciata” vorrei dire – abbiamo davvero avviato uno scambio, abbiamo ritrovato un nuovo stile di comunicazione. Esplosivo, appunto.
‒ Silvia Burini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati