Didattica, pedagogia e digitale durante il contagio. Intervista a Cristina Francucci
Docente presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e fondatrice del Dipartimento educativo del MAMbo, Cristina Francucci ha unito teoria e pratica per dare una nuova veste alla didattica dell’arte. Qui racconta la sua esperienza e fornisce alcuni utili consigli agli insegnanti che devono affrontare l'emergenza – anche didattica – dettata dal Coronavirus.
Ci sono dell’interviste per cui vale la pena aspettare, ci sono maestri che non puoi non consultare, soprattutto in questi giorni, se vuoi riflettere sui metodi e gli strumenti della didattica dell’arte. E finalmente abbiamo parlato con Cristina Francucci, da oltre vent’anni protagonista della scena italiana della pedagogia dell’arte tra musei e l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove insegna.
Com’è e quando è scoppiata la scintilla e poi la consapevolezza che la didattica e la pedagogia dell’arte fosse la tua strada?
Ho scelto di iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Bologna perché volevo fare l’artista, ho partecipato ad alcune mostre e ho terminato questo percorso con ottimi risultati. Poi mi sono resa conto che sentivo l’esigenza di approfondire alcune discipline già intraprese durante gli studi, al liceo classico, e che a quel tempo mancavano nel percorso accademico e allora mi sono iscritta al DAMS. Le lezioni di estetica di Luciano Nanni mi hanno rapito e lì ho maturato la convinzione di cercare un’attività che unisse le due formazioni: quella teorica e quella pratica. L’incontro poi con Marco Dallari, che aveva incominciato a insegnare Pedagogia e didattica all’Accademia, i viaggi all’estero e la scoperta delle attività educative all’interno dei musei mi hanno fatto comprendere che la teoria e la pratica artistica erano le basi fondamentali per occuparsi di didattica dell’arte e che quella sarebbe stata la mia strada. L’occasione per mettere in pratica questa scelta si è concretizzata quando ho fondato l’attuale Dipartimento educativo del MAMbo ‒ Museo d’Arte Moderna di Bologna.
Quanto ha contato studiare a Bologna negli Anni Settanta?
Sono arrivata a Bologna nel 1976, poco prima dell’inizio delle manifestazioni studentesche che ho vissuto in pieno. Una realtà esaltante per me che venivo da una piccola città di provincia, mi sembrava di essere al centro del mondo. Politica e cultura si intrecciavano in una scelta esistenziale “impegnata”. Mi ricordo che dopo un’assemblea cittadina, con un gruppo di amici, siamo partiti per Firenze per vedere, in una galleria privata, Io sono un autarchico di Nanni Moretti.
Che valore aggiunto ha insegnare pedagogia dell’arte a studenti dell’Accademia di Belle Arti, in uno dei pochissimi bienni specializzati attivi?
Il Dipartimento di comunicazione e didattica dell’arte prevede un percorso di studi di primo livello, Didattica e comunicazione dell’arte, e uno di secondo livello, Didattica dell’arte e mediazione culturale del patrimonio artistico. Il valore aggiunto di questa realtà formativa è che, nonostante questa sia la proposta più “teorica” all’interno dell’Accademia di Belle Arti, mantiene una caratteristica specifica di questa istituzione: la pratica del laboratorio. Alla conoscenza della storia dell’arte, della museologia si affianca “il fare”, sperimentare in prima persona le poetiche degli artisti. L’obiettivo è quello di far acquisire competenze professionali e artistiche al fine di saper fornire conoscenze e metodologie didattiche e di comunicazione delle modalità di realizzazione delle opere d’arte, della loro interpretazione e fruizione. Chiaramente una proposta di questo genere può essere rivolta a pochi studenti, ecco perché ogni anno ne vengono selezionati un massimo di trenta. Questo inoltre permette di ampliare la nostra attività di docenti, proponendo delle esperienze sul territorio come l’attività di mediazione che anche quest’anno abbiamo realizzato per la Biennale Foto/Industria per la Fondazione MAST, per la Fondazione del Monte, per tanti altri eventi importanti in città.
Il tuo è un ambito caratterizzato da una continua progettazione, un continuo nutrimento fatto di stimoli artistici, sociali e umani. Su cosa stai lavorando con i tuoi studenti in questo anno accademico?
Da qualche anno, insieme a un mio collega, proponiamo agli studenti la realizzazione di progetti destinati alla mediazione di opere d’arte, utilizzando le nuove tecnologie. Una sfida interessante che mi ha permesso di sperimentare una metodologia, fino a ora adottata all’interno dei musei, nella realtà comunicativa dei media. Abbiamo già prodotto diversi video per la collezione del MAMbo, un e-book e uno speciale allestimento multimediale per la Pinacoteca Nazionale di Bologna. Ora stiamo lavorando su un progetto dal titolo Emergenze, si tratta di tre proposte didattiche su temi che meritano attenzione in questo momento. È già stata realizzata una mostra dal titolo La casa nel piatto coinvolgendo direttamente degli homeless, allestita all’interno dell’Antoniano dove esiste una mensa destinata a queste persone: un’esperienza molto forte che ci ha permesso di conoscere emozioni e ricordi di individui che spesso sono ai nostri occhi invisibili. Ora stiamo preparando un e-book destinato agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado che utilizza l’arte come strumento per indagare, parlare e riflettere sul dramma della violenza sulle donne. Opere del passato come quelle di Artemisia Gentileschi e le più recenti manifestazioni del gruppo delle Guerrilla Girls diventano materiale per sensibilizzare ragazzi e ragazze su questo tragico tema.
Ci fai qualche altro esempio?
L’ultima attività prima dell’emergenza sanitaria era rivolta agli studenti della scuola secondaria di primo grado e prevede la creazione di brevi video destinati a stimolare un uso consapevole e responsabile dei social, utilizzando proprio la rete come strumento di comunicazione. Abbiamo ideato un nuovo super eroe, Istaman, che agisce direttamente sul web.
Il tuo nome è anche legato come pochi altri in Italia all’editoria. Le tue pubblicazioni sono da sempre testi imprescindibili. Cosa hai in cantiere ora?
Da poco e per caso, mi sono trovata a lavorare alla realizzazione di testi scolastici di Arte e immagine, anche questa è stata una bella sfida. È stato difficile tradurre l’esperienza di anni, vissuta all’interno dei dipartimenti educativi nei musei, in materiale da utilizzare nella scuola. È ancora arduo abbattere i tradizionali metodi di insegnamento della storia e della pratica dell’arte. È fondamentale invece far scoprire ai ragazzi come avvicinare l’arte alla vita, utilizzando le poetiche degli artisti come materiale prezioso per guardare alla realtà in modo personale e critico. Alla fine sono stata soddisfatta del lavoro svolto. L’ultimo testo pubblicato è Il corpo delle meraviglie. Laboratori e attività creative per l’infanzia. È il secondo libro che ho curato, pubblicato sempre con Lapis edizioni, riferito a questa realtà con cui collaboro dal 1995. È un volume per insegnanti, educatori e genitori per condurre i bambini alla scoperta del proprio corpo attraverso l’arte e la scienza. Sono tanti i percorsi laboratoriali proposti, ma il “fare” è sempre unito al “sentire” e le attività pratiche precedute da esperienze sensibili guidano il bambino alla conoscenza, sperimentando come le emozioni e le sensazioni modifichino la propria corporeità.
Questa pausa forzata che scuole, accademie e musei stanno vivendo come inciderà sulla didattica tradizionale? Quali strumenti possono essere utilizzati o creati per studenti?
Una delle riflessioni che questa situazione mi ha portato a fare è che sicuramente senza gli strumenti tecnologici di cui siamo dotati ci sentiremmo molto più soli e non potremmo vivere l’importanza del senso di appartenenza a una collettività che, unita, può salvarci. Da una parte quindi si sta vivendo una rivalutazione della comunicazione nel web e, nello stesso tempo, la privazione di rapporti reali ci fa capire quanto sia limitata la vita nei social e come l’abitudine ci porti a sottovalutare gesti, abbracci e baci. Questo spero possa essere di aiuto ai nostri giovani che spesso si rifugiano nel mondo virtuale per paura di vivere reali sentimenti e emozioni. Per quanto riguarda la didattica a distanza, dopo un momento di difficoltà nell’organizzare la tecnica e la metodologia di un nuovo modo di insegnare, siamo partiti, soddisfatti di potercela fare anche noi che non siamo più giovani. Poi la “cultura” sta dando il meglio di sé; è veramente strabiliante come musei, case editrici, artisti, scrittori abbiano saputo velocemente modificare il loro intervento rendendolo, nel web, disponibile a tutti. Questo diventa prezioso materiale da utilizzare nelle nostre lezioni e utile da consigliare per approfondimenti.
Quali altri materiali sono utili ora?
È anche il momento per usare i progetti didattici prodotti con gli studenti dei corsi del Dipartimento di comunicazione e didattica dell’arte che ho citato prima: l’e-book sul paesaggio nell’arte, riferito alle opere della Pinacoteca Nazionale di Bologna, i video che sono stati creati per la lettura e interpretazione di alcune opere della collezione del MAMbo. Sono proposte rivolte agli studenti delle scuole secondarie di primo grado e al biennio di quelle di secondo grado. Sono prodotti che possono essere utilizzati anche se non si è davanti alle opere. Pensati dagli studenti per i loro colleghi più giovani, permettono di incontrare l’arte, stimolando una riflessione sulla vita. Riporto qui i link dei progetti che possono essere utili per insegnanti e studenti in un momento in cui è importante apprendere stando a casa: Il paesaggio racconta, un e-book dedicato al paesaggio con un percorso realizzato per la Pinacoteca Nazionale di Bologna; ArtClip, pillole di video per leggere e interpretare alcune opere d’arte presenti nelle collezione del MAMbo; Laboratori di Fondazione Modena Arti Visive Modena, destinato a insegnanti e ragazzi delle scuole terza, quarta, quinta e prima e seconda media.
‒ Annalisa Trasatti
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