Didattica museale e pandemia. L’esempio della Fondazione Sandretto di Torino
Con le nuove misure restrittive imposte dall’emergenza sanitaria, i musei chiudono nuovamente i battenti. Ma la didattica procede. Ne abbiamo parlato con la responsabile progetti educativi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.
Chiusi o aperti che siano i musei, i dipartimenti educativi non si fermano. Anzi a loro più che mai è richiesta una riflessione globale sul rapporto con i pubblici, fedeli e nuovi. Il tutto in un’ottica di accessibilità che finalmente gode di un respiro più ampio. Siamo andati alla Fondazione Sandretto a trovare Elena Stradiotto, responsabile progetti educativi.
Come avete gestito il vostro rapporto con il pubblico da marzo in poi? Come la vostra metodologia educativa è divenuta risorsa creativa per affrontare un evento di tale portata come la pandemia?
Le prospettive cambiano molto rapidamente, così come le misure adottate per far fronte all’emergenza sanitaria e le conseguenti azioni di una possibile resistenza culturale a questo complesso momento. Abbiamo riaperto le porte della Fondazione già a maggio, e con cura e attenzione ci siamo organizzati per poter accogliere il pubblico in sicurezza, proponendo sia attività in presenza, che a distanza, per mantenere vive le relazioni e i legami con le persone. Nella distanza le relazioni hanno retto: il fare insieme, le collaborazioni e il confronto sono state una grande ricchezza creativa che ha permesso di continuare a fornire un servizio e a fare ricerca.
Puoi farci un esempio?
Ne è un esempio il progetto VIE DI USCITA, frutto della collaborazione tra il nostro dipartimento educativo e Associazione “è”: un percorso dedicato alle persone con afasia seguite dalla Fondazione Carlo Molo, per tornare all’attività culturale e sociale dopo il periodo di distanziamento fisico. In questo momento ancora pieno di incertezze, vogliamo puntare insieme sul valore condiviso della cultura come indispensabile risorsa mentale. Sono stati così organizzati alcuni appuntamenti online a cadenza settimanale, durante i quali abbiamo condiviso con i partecipanti pensieri, gesti, risvegli corporei e creativi, facendoci ispirare da opere di importanti artisti contemporanei. Il percorso online ha portato il gruppo alla partecipazione a un workshop, svolto a luglio nel giardino di fronte alla Fondazione, ispirato al lavoro Legarsi alla montagna di Maria Lai. Questa sperimentazione è stata candidata successivamente a un bando per il sostegno alle politiche socio-culturali, con l’obbiettivo di garantirne continuità e crescita. Alla domanda “Qual è la via d’uscita?” le nostre risposte sono state: l’immaginazione, l’arte, una passeggiata, il bosco, l’acqua, gli altri.
DIDATTICA E ACCESSIBILITÀ
Qual è il rapporto del dipartimento educativo con gli altri settore della Fondazione, molto apprezzata anche per le sue strategie comunicative nonché per i suoi progetti di accessibilità?
C’è un buono scambio tra i vari dipartimenti: educativo, curatoriale, tecnico e di comunicazione. Il sistema di lavoro è piuttosto orizzontale, questo permette di dialogare e arrivare a delle soluzioni il più possibile condivise, che vengano incontro ai differenti bisogni e funzioni del museo: dalla scelta della didascalia alla produzione di materiale di comunicazione e divulgazione. Adottiamo delle forme di convivenza tra anime anche molto distanti, la complessità fa parte del gioco.
Come si traduce tutto questo nel concreto?
Al rientro dall’estate abbiamo organizzato un weekend speciale dedicato all’accessibilità con L’identità e il suo Doppio: mostra, laboratori e presentazione del volume TRANSIZIONI (evento in streaming). L’area bookshop della Fondazione ha accolto i lavori di Simone Sandretti, alias Adolfo Amateis, e di Maya Quattropani ed Ernesto Leveque, autori selezionati da Tea Taramino, curatrice della rassegna Singolare e Plurale 2018/2019, progetto di Città di Torino e Opera Barolo. Questo evento è stato una tappa importante di un percorso che si propone di offrire spunti di riflessione sulla trasformazione della psichiatria e dei servizi sociali indagandone le connessioni con l’arte contemporanea attraverso una rilettura critica, di potenti e differenti visioni artistiche, integrata da autorevoli contributi provenienti da diverse prospettive disciplinari ed esperienziali.
Come si evolverà questo lavoro?
Il lavoro con le scuole superiori proseguirà in questa direzione con Easy Pieces: interviste con gli artisti. Instaurare un dialogo inedito con gli artisti, che condividono il loro percorso, la loro ricerca, la loro esperienza di vita e la loro visione del mondo contemporaneo, è il valore aggiunto che vogliamo proporre. Per l’anno scolastico 2020/2021 ogni classe potrà partecipare a tre incontri: due verteranno sui temi di indagine specifica dell’artista coinvolto e sullo strumento dell’intervista come modalità di relazione e scoperta, mentre il terzo sarà l’incontro steso. Gli artisti coinvolti fanno parte della Collezione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e sono presenti con una loro opera nella nuova mostra Space Oddity. Tutti gli incontri del percorso Easy Pieces avverranno online.
TORINO E LA FONDAZIONE SANDRETTO
Quali caratteristiche ha il contesto torinese in termini di educazione museale, rapporto con i pubblici e sul fronte delle politiche territoriali?
Torino è storicamente un contesto che ha investito nella cultura e nei musei, in particolare l’area educativa ha da sempre avuto un ruolo centrale nella vita dei musei torinesi, distinguendosi per varietà dell’offerta e metodologie: dalle esperienze partecipative nelle piazze all’applicazione del modello della mediazione culturale d’arte nell’incontro con l’opera; dal lavoro territoriale nelle scuole alla ricerca per rendere sempre più accessibile il patrimonio culturale; dal coinvolgimento diretto degli artisti nella pratica educativa alla co-progettazione con i pubblici. Questo panorama così complesso e ricco ha prodotto politiche territoriali attente e innovative, che soffrono oggi dell’attuale incertezza socio-economico-sanitaria. Proprio per questo sono stati promossi in questi mesi tavoli di lavoro orientati a mantenere salde le relazioni territoriali: enti del terzo settore, enti pubblici e scuole in dialogo per valutare la fattibilità dei Patti Educativi di Comunità. In questo momento le nuove indicazioni ministeriali e regionali sono molto restrittive a causa della nuova ondata di contagi, quindi non è facile l’applicazione dei Patti per una didattica diffusa e fuori dalla scuola. Credo sarà un anno di aperture e chiusure, di dialogo online, di sperimentazione per nuovi modelli. Mi viene in mente la riflessione di un maestro di scuola molto speciale, Franco Lorenzoni, sul concetto di vuoto, elemento necessario per accogliere e far germogliare le idee e le relazioni. “È importante pensare che la più antica traccia di democrazia sia nel vuoto. Perché il vuoto, uno spazio vitale non figurato, è anche quello che noi dobbiamo creare se vogliamo provare a instaurare un rapporto democratico con i ragazzi. Siamo in un mondo in cui c’è sempre un po’ di troppo pieno e, invece, l’ascolto si fonda sul vuoto”. Forse è il momento di ascoltare.
Qual è la mostra su cui avete lavorato più di recente?
Space Oddity. Opere dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo, mostra nata dal confronto tra curatori, mediatori culturali d’arte e staff del dipartimento educativo durante il lockdown. Un processo partecipativo di riflessione intorno ai temi della corporeità e spazialità in un’epoca di virtualità e distanziamento. L’idea è quella di una mostra-palestra per testare nuovi formati e strumenti di mediazione e narrazione dell’arte che possano funzionare anche online. Il lavoro di allestimento delle 32 opere della Collezione che compongono la mostra procede parallelamente a quello di produzione di nuovi contenuti audiovisivi che documentano e tracciano storie inedite tra le opere e sulle opere. Il titolo della mostra è un’esplicita citazione dell’album Space Oddity di David Bowie del 1969, dove l’artista, attraverso un gioco di parole, rimanda a 2001, Space Odyssey di Stanley Kubrick. Lo straniamento e la perdita di una direzione certa è una condizione esistenziale che le persone stanno vivendo a livello collettivo.
Sono cambiate la nostra nozione ed esperienza dello spazio con il lockdown?
La nostra nozione di spazio è cambiata in conseguenza della pandemia. Lockdown, distanziamento sociale, contingentamento sono parole che descrivono i modi in cui si articola e si disciplina oggi la relazione tra corpi e spazi, a livello individuale e collettivo. Una serie di anomalie che caratterizzano la nuova normalità, definita da una stringente coreografia di gesti e movimenti, e che ci obbligano a riprendere le misure di spazi e relazioni.
La mostra Space Oddity proporrà [quando sarà possibile inaugurarla, N.d.R.] un percorso attraverso una serie di opere che riflettono sui concetti di spazialità, corporeità, esterno e interno, architettura e psicologia, offrendo lo spazio espositivo come contesto in cui mettere in atto esercizi di prossimità, distanza e mappatura. Questa presa di consapevolezza del modo in cui abitiamo lo spazio trova nella pratica della danza un’immagine chiave, fortemente simbolica, in particolare nell’articolazione tra partitura coreografica e libertà interpretativa, tra regola ed espressione, tra stasi e movimento.
Quali sono le vostre proposte di formazione 2020/21 e gli strumenti di e-learning ideati?
Continua il nostro ciclo di incontri di formazione dedicati a insegnanti, professionisti e operatori del settore, ricercatori e studenti universitari. L’idea alla base della proposta è quella di sfruttare le potenzialità e le specificità dello spazio museale, proponendo un percorso formativo a più voci. Per questa prima sessione di appuntamenti online tra novembre e dicembre abbiamo coinvolto Gianluca De Serio (regista e artista) per esplorare con noi il linguaggio cinematografico, ed Enrico Gabrielli (compositore, direttore d’orchestra, polistrumentista e arrangiatore) in dialogo con Francesca Togni, in una riflessione sulle possibilità del suono. Il percorso formativo toccherà anche il tema dell’accessibilità culturale attraverso un incontro a due voci: Annamaria Cilento nel racconto dell’opera d’arte ed Elena Maria Olivero, arte terapeuta e danzatrice, nel lavoro sul corpo.
‒ Annalisa Trasatti
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