La pandemia, la DAD e l’arte. Un’intervista immaginaria a Michelangelo
Al centro di accesi dibattiti, la didattica a distanza può anche avere risvolti utili e impensati. Come stimolare l’immaginazione degli studenti e portarli a realizzare una intervista “impossibile” a Michelangelo. È successo al liceo artistico di Tempio di Pausania.
Mai come in questi giorni il giudizio sulla DAD è stato così critico. Diverse voci si sollevano nel Paese, evidenziandone i limiti e i rischi, accresciuti da un prolungato utilizzo. Eppure, in mezzo a tanto avvilimento, esistono casi in cui la DAD è stata capace di regalare momenti di straordinaria intensità. Come è avvenuto, ad esempio, per un gruppo di giovani studenti del liceo artistico di Tempio di Pausania. Io sono la professoressa di storia dell’arte di questi ragazzi e ho deciso di raccontare quanto accaduto perché credo nel valore dei messaggi di bellezza, soprattutto in momenti di evidente difficoltà. La DAD è un percorso a ostacoli anche per i docenti. Nonostante le belle lezioni, nonostante i sorrisi, quando si chiude il collegamento rimane sempre la sensazione di un vuoto. Rimane addosso l’incertezza di aver davvero raggiunto i ragazzi. Le verifiche, poi, rappresentano il momento più complicato e non mi riferisco al pericolo di un copia e incolla. Sebbene attraverso una videocamera, le lezioni di storia dell’arte su Michelangelo ci hanno regalato delle piccole emozioni. Abbiamo discusso a lungo sul senso della vita raccontato dal maestro. Ho avuto la sensazione che le madonne muscolose, i fisici corpulenti e i colori accesi stessero affascinando, non poco, i ragazzi.
Alla fine delle ore di spiegazione volevo trovare un modo per non mortificare quella delicata empatia nata tra loro e Michelangelo. Così ho pensato di dare spazio alla fantasia, chiedendo loro di scrivere una “impossibile” intervista all’autore.
L’INTERVISTA IMMAGINARIA A MICHELANGELO
Se oggi potessi intervistare Michelangelo, andrei a cercarlo sicuramente nella Basilica di San Pietro in Vaticano e lo troverei in contemplazione davanti alla Pietà realizzata nel 1498. Come hai fatto a creare da un blocco di marmo freddo un’opera così sublime e ricca di sentimento?
Perché io quando guardo il marmo vedo già l’opera finita, vedo già le espressioni dei visi e dei corpi e le emozioni che escono dagli occhi. Immaginando la mia opera, la Pietà, vedevo già il corpo del Cristo abbandonato alla morte tra le braccia della madre. Se tu adesso osservi ogni muscolo del Cristo sembra di carne e ossa e non di marmo. È come se l’opera fosse già all’interno e dovessi solo eliminare il marmo in eccesso con lo scalpello.
Perché, nonostante tu sia anche un abilissimo pittore e architetto, ti ritieni principalmente uno scultore?
Io penso che la scultura, a differenza delle altre arti, dia la possibilità all’artista di vedere dentro il blocco di marmo la propria opera, è come se ciò che vuoi rappresentare fosse già all’interno del blocco, il tuo compito è solo quello di togliere l’eccesso di materiale che lo ricopre e liberarlo. È diverso, quindi, anche a livello mentale dalla pittura, dove sostanzialmente stai copiando qualcosa che già esiste nella realtà; scolpendo, la sensazione è completamente diversa. Quando cerco di liberare l’opera prigioniera nel marmo è come se stessi combattendo una lotta col destino, ed è questa sensazione ciò che più mi piace della scultura.
“Se la DAD, alla fine di tutto, dovesse essere ritenuta un disastro, vuol dire che abbiamo fallito noi, gli adulti, insieme al compito di instancabili guide”.
Queste sono solo alcune citazioni tratte dalle interviste create dai miei ragazzi. Ho riletto più volte le loro consegne e mi sono emozionata. Fra quelle righe, talvolta un po’ sgrammaticate, a parlare è stata la loro passione. La condivisione di questa esperienza credo possa essere importante. Soprattutto per noi adulti. Sicuramente renderà orgogliosi i miei ragazzi, capaci di superare i disagi della DAD. Loro, come tanti altri studenti, piccoli eroi di una didattica a distanza, svolta fra telecamere che non si accendono, microfoni che gracchiano e i quotidiani rumori domestici, vissuti come incursioni belliche contro l’attenzione.
E forse, poi, potrebbe indicare una via alternativa alla valutazione stessa della tanto criticata DAD. Il vero segreto perché non sia vanificato tutto il grande lavoro svolto potrebbe essere lasciare un segno delle cose avvenute. Lungo gli anni di insegnamento ho imparato che la migliore cosa che possa accadere a un docente è imparare insieme ai propri alunni, anno dopo anno. La DAD e il Covid-19 hanno sicuramente messo tutti noi, “grandi e piccoli”, davanti a una ignota scommessa, ma è sempre vero che i ragazzi vanno guidati. Se la DAD, alla fine di tutto, dovesse essere ritenuta un disastro, vuol dire che abbiamo fallito noi, gli adulti, insieme al compito di instancabili guide.
‒ Luana Aliano
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