La modificazione necessaria. Il tema del cambiamento nell’Alta Formazione Artistica Musicale
Da un convegno si tirano le fila delle necessarie riforme al comparto AFAM. Artribune ne ha già lungamente parlato e torna a raccontare il tema. In attesa del cambiamento
“Si credeva che il tema fondamentale per governare il cambiamento fosse il sapere tecnologico, mentre in realtà la leva più importante del cambiamento è la creatività”. Così l’ex Ministro Gaetano Manfredi ha aperto la sua lectio magistralis, su Afam e Università, organizzata in collaborazione con la Siedas (Società italiana esperti di Diritto delle Arti e dello Spettacolo) il 28 maggio 2021. Il mondo Afam, prima delle misure intraprese da Manfredi, era dentro un processo lento, frammentato e controverso. Nel processo di trasformazione della società, il “più rapido e incisivo nella storia dell’umanità”, dice Manfredi, l’Afam deve avere un posto da protagonista, poiché funge da incubatore dei talenti. E questa attività costruisce una visione del mondo che non è solo estetica, ma funziona da catalizzatore dello sviluppo economico di un Paese. Si tracciano sempre le stigmate del Made in Italy come struttura portante del rapporto tra cultura, innovazione e produzione, senza considerare che le competenze del talento sono spesso educate, nel senso di essere tratte fuori e allevate. Qualcuno fa questo lavoro, e sono proprio le Accademie di belle arti, i Conservatori di musica, gli Istituti superiori per le industrie artistiche, l’Accademia nazionale d’Arte drammatica e l’Accademia nazionale di Danza. Un lavoro che è un vero e proprio trattamento del talento, nel senso che queste istituzioni offrono gli strumenti per consentire che esso sia consapevole e produttivo. Una missione di civiltà che aiuta a costruire, affondando le mani nell’esperienza, quel percorso complesso che va dall’ideazione primaria alla definizione di quei precipitati della creatività che chiamiamo opere. “Il vero valore dell’uomo”, aggiunge Manfredi, “ è la capacità di creare”, e questa facoltà è tanto più grande quanto più le scienze umane e sociali hanno la possibilità di rapportarsi con le arti e la tecnologia.
AFAM E FORMAZIONE TERZIARIA: FABBRICHE DI BELLO
Le condizioni – affinché questo avvenga – dipendono anche dal fatto che le istituzioni Afam devono diventare compiutamente un pezzo fondamentale della formazione terziaria. L’investimento strategico, cui ha dato la stura Manfredi, viene ora accolto dalla Ministra del MUR Messa e consentirà, se il progetto culturale avrà il suo contrappeso concreto nei processi di attuazione, di continuarne l’indirizzo riformatore. Adriano Olivetti, a proposito della sua idea di “fabbrica comunitaria” scrive: “La nuova economia che immaginiamo contribuisce al progresso materiale e accompagna l’individuo mentre perfeziona la propria personalità e le proprie vocazioni. E tuttavia non impedisce di volgere l’animo verso una meta più alta, non un fine individuale o un profitto personale, ma un contributo alla vita di tutti sul cammino della civiltà”. Ecco, mi piace pensare alle Afam come fabbriche comunitarie che funzionano – parafrasando Olivetti – come “fabbriche di bene”. Nel caso di specie, come fabbriche di bello. E questo in un livello in cui il bene è quasi sinonimo di bello. Un bello funzionale che è in grado di essere anche, dice ancora Manfredi, “strumento di trasformazione, urbana e sociale, delle città, con la costruzione di una efficace Rete dei Saperi: università, accademie, conservatori, enti di ricerca, musei, teatri, etc.”. Una visione – questa – che potrebbe avere il suo punto di forza, ad esempio, nella ricerca cooperativa tra gli enti, per dare un senso compiuto all’idea di contaminazione che produce nuova conoscenza e – quindi – nuove prospettive che dedichino all’esistenza il tratto della procreazione di civiltà. Senza fermare il passo e con l’intenzione percussiva di continuare a produrre beni artistico-culturali. Per fare questo, con successo, bisogna abbandonare lo sguardo commemorativo verso le glorie del passato (senza, ovviamente, negarle, ma anzi valorizzandole), osando – però – di più e in modo più strutturato nell’adesso e nelle forme realizzative che esso auspica.
L’AUTONOMIA E IL NESSUN-DOVE
Il tema della modificazione necessaria delle istituzioni Afam è incastonato nel bassorilievo delle norme esistenti. Norme che chiedono, a gran voce, di essere concepite con un gradiente culturale che determini un reale cambiamento all’interno di un orizzonte chiaro, funzionale ed efficace. Il tutto per uscire dal guado che identifica queste istituzioni come un ibrido disgregato tra modello secondario e modello terziario. Al momento si sta facendo un volenteroso e condiviso aggiornamento del sistema esistente ma – per quanto lo si stia facendo bene e con la collaborazione di tutti i soggetti (istituzioni stesse, amministrazione, politica, e altri soggetti coinvolti) – manca forse quell’idea di costruzione centrata sul nuovo: dalle fondamenta al tetto, che era il principio sancito da Manfredi quando ha messo in campo l’idea di una legge-delega. Dovremmo prendere l’abbrivio del PNRR per valorizzare nel quinquennio 2021-2026 (il quinquennio della “reductio ad unum”) l’idea che si possa porre rimedio a una riforma venuta male e invecchiata peggio. Non c’è bisogno di un’altra riforma, portiamo a conclusione la vecchia, si dice da più parti. Ma credo che, in parallelo al tentativo di bilanciamento dell’assetto della nave esistente per consentire comunque l’ineluttabilità del viaggio, sia necessario riprogettare e costruire una nuova nave che abbia strumenti di bordo efficienti per solcare il mare in tempesta della formazione terziaria e della produzione artistico-culturale. Sono certo che la Ministra Messa, che sostiene con forza il pensiero esplorativo dell’interdiscipliarietà della ricerca, saprà trovare lo strumento giusto per consentire all’Afam di custodire e alimentare l’anima dell’identità artistica e musicale del nostro Paese, attraverso il fondamentale principio dell’autonomia: per adesso solo sulla carta, anzi solo nel destino di un desiderio che vive nel vuoto di un moto perpetuo diretto verso il nessun-dove.
AVANTI TUTTA, CON BUSSOLA
Per comprendere meglio: si sta intervenendo per colmare i vuoti di cui soffre il sistema – a ventidue anni dalla legge di settore, la 508/99 – ma non si sta pensando a un radicale riassetto di esso. Quello che si sta facendo oggi, ovvero intervenire con modifiche sui regolamenti esistenti (governance, reclutamento, programmazione e valutazione, etc.), rischia di non sortire gli effetti che ci aspettiamo perché non è chiarissima la dimensione prospettica di una visione generale che dovrebbe guidare questi interventi di chirurgia vascolare sulle norme. Il corpo della 508 è purtroppo vecchio ed era già nato con vizi di sostanza non residuali. Possiamo certamente continuare nell’accanimento terapeutico che tenga in vita la 508/99 come legge–salmone risalente la corrente in direzione contraria alla ricerca di nuova vita, ma il rischio è che questa fatica, che mira alla rigenerazione, raggiunga solo lo scopo di sfibrare chi poi deve utilizzare – in corpore – quelle norme. Di contro, le serie incalzante e positiva di provvedimenti necessari (seconda fascia, precariato, ricostituzione del Consiglio nazionale per l’alta formazione artistica e musicale, ampliamento dell’organico – dopo 25 anni di fermo biologico – e altri interventi a favore dell’Afam) sono un importantissimo segnale concreto d’attenzione. Il settore registra, con grande entusiasmo, questo segnale nel grafico delle attività vitali. Il passo successivo dovrà, però, percorrere forme di costruzione e consolidamento che adottino del sistema universitario le migliori pratiche, nell’idea che l’arte e i suoi linguaggi debbano essere considerati asset strategici non solo per lo sviluppo culturale ma anche per quello economico ed occupazionale. Investire in didattica e ricerca, anche nel dominio delle arti, contribuirà a garantire l’esistenza in vita di quel surplus di immaginario funzionale alla crescita. La modificazione non è solo un flusso migratorio che articola il contenuto nell’impianto dialettico tra le parti, ma consiste nella determinazione che l’accidentalità del pensiero debba trovare la condizione salvifica di un passaggio di stato che per l’Afam non è più differibile.
– Antonio Bisaccia
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