Breve storia della disparità di trattamento nelle Afam. L’intervento di Antonio Bisaccia
L’impossibile naturalizzato. Antonio Bisaccia, presidente della Conferenza Nazionale dei Direttori delle Accademie e direttore dell’Accademia di Sassari, interviene sulla mancata equiparazione giuridica tra Accademie e Università
“Previdenza e follia in me han fatto sempre tutt’uno, né ho mai rinunziato all’impossibile con la debole scusa che era, appunto, impossibile”. Gesualdo Bufalino maneggiava gli “impossibili” della narrazione come un dominus specializzato. E l’impossibilità qui ha le sue iniziali: EG.A. Equiparazione Giuridica di nome, Afam di cognome (Artribune ha già approfondito le problematiche del comparto Afam qui, ndr). In un mondo di uguali, trattamento da disuguali. Mancata Equiparazione Giuridica: ovvero, l’impossibilità vestita da sentenza, con argomenti cani da guardia di un’ingiustizia definitivamente matrigna. Specificità come scudo-feticcio per giustificare una disparità accecante e un pregiudizio che conduce verso un vicolo cieco e abitato da un’ideologia ormai avvizzita come macchina celibe. Bisogna andare dritti al punto: il tema dell’equiparazione giuridico-economica nelle Afam è un fatto – ormai storicizzato – non più accettabile che appartiene alla sfera delle disparità di trattamento istituzionalizzate. Questa asserzione e il mio tono assertivo sono figli di una storia che bisogna enucleare, anche se – per ora – in breve.
L’AGOGNATO INTERVENTO LEGISLATIVO
Uno sguardo al passato – quindi – non guasta per comprendere ciò che (non) si è fatto e ciò che si deve fare. Nel 2002 fondammo nelle Accademie il Cneged (comitato equiparazione giuridico-economica docenti). Come Cneged inviammo delle proposte alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica e al Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca di allora Letizia Moratti. La Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 24 Marzo 2003, in risposta alla diffida collettiva sullo status giuridico ed economico dei docenti ed assistenti delle Accademie di Belle Arti, ha testualmente sottolineato e scritto: “La riforma alla previgente disciplina normativa, attuata dalla legge n.508/1999, nel riconoscere una sostanziale omogeneità dell’insegnamento delle Accademie con quello della Facoltà Universitaria, non ha tuttavia previsto una equiparazione giuridico-economica dei rispettivi docenti. Si fa osservare a tal proposito, aggiunge, che il rapporto d’impiego contrattualizzato dei docenti ed assistenti delle Accademie di Belle Arti non può essere assimilato a quello non contrattualizzato dei docenti universitari, di cui all’art.3, comma 2 del D.Lgs 165/2001. Ciò posto, una equiparazione giuridica ed economica avanzata dagli interessati non può essere effettuata a livello amministrativo, ma richiede un intervento legislativo, non di competenza, pertanto, dello scrivente Dipartimento”. Anche la Ministra Moratti, sollecitata dall’allora sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta – sempre a partire da articolata missiva del nostro Cneged – m’inviò il 18 giugno del 2003 una lettera in cui sottolineava la medesima cosa. Dopo averci spiegato – con un quark di retorica – quanto fosse necessario salvaguardare la specificità delle nostre istituzioni, la Moratti ci scrisse che il problema “(…) richiederebbe pertanto uno specifico intervento legislativo, volto a modificare la 508/99”. L’involuzione para-logica della specificità delle Afam è stata (ed è) un sedicente alibi seduttivo e sedante. La “specificità” di Fisica non è forse diversa da Lettere moderne? E Biologia molecolare non ha una “specificità” diversa da quella della Letteratura inglese? Non possiamo che rispondere si, eppure esse condividono senza problemi lo stesso spazio delle norme universitarie e i loro docenti hanno il medesimo status giuridico-economico. Il punto è tutto qui: molto chiaro già 18 anni fa. Ovvero, gli anni che servono a un infante per raggiungere la maggior età: quindi il salto di una generazione intera.
AFAM: MA COSA È STATO FATTO NEL FRATTEMPO?
Da allora si sono succeduti diversi disegni di legge che hanno diffuso in parlamento una forte sensibilità sul tema purtroppo maiconcretizzata. Di fatto Governi e Parlamenti passati hanno sempre volto lo sguardo verso altre direzioni o hanno semplicemente ostacolato l’ingresso dell’Afam nel sistema universitario (come, invece, succede nel resto del mondo). Questa, ovviamente, non è una mia opinione, ma è quello che è accaduto, altrimenti non saremmo qui a parlarne. Il 28 febbraio del 2003 veniva emanato il dpr 132, regolamento che includeva la governance e che già da subito sembrò nato male. Tanto che poco più di tre mesi dopo, il 10 giugno del 2003, il disegno di legge n. 4049, di modifica della 508 veniva presentato alla Camera, il quale sottolineava nella sua relazione introduttiva: ”(…) I regolamenti previsti nella medesima legge hanno subìto lungaggini inspiegabili e sono stati e sono oggetto di contrastatissimi iter. Infatti, appare in simili atteggiamenti una quasi volonta` pervicace di voler tradire le intenzioni del Parlamento e pertanto lo spirito della legge (…) È altresì necessario riconoscere il ruolo dirigenziale, per i direttori durante la loro funzione e per i direttori amministrativi, ciò dovrebbe avvenire per la identificazione di queste figure con la funzione di vertice di rappresentanza in coerenza con il parallelo sistema universitario”. Una consapevolezza più che cristallina che individuava anche (e non di sfuggita) il vero nodo scorsoio della governance. Nello stesso periodo in Senato, neanche due mesi prima veniva presentato il DDL 2216 comunicato appunto alla Presidenza del senato il 18 aprile del 2003. Si legge nella Presentazione di questo ddl in Senato: “Il presente provvedimento che va ad integrare lo spirito e le volontà delle leggi n. 508 del 1999 e n. 268 del 2002, qualora approvato, concluderebbe il dovuto iter del riconoscimento alle istituzioni di alta cultura della spendibilità dei propri titoli a livello nazionale nonché allo stesso livello di similari istituzioni europee. Infatti, le istituzioni europee, e non solo, sono tutte considerate di gradouniversitario, e quest’alta dignità universalmente riconosciuta all’arte non ha trovato eccezione nella stesura della Costituzione italiana ove all’articolo 33 veniva stabilito il principio della pari dignità tra le università e accademie e conservatori ovvero la parità: tra arte e scienza, definendole entrambi il punto più alto della cultura italiana.” Il dualismo acido tra le “due culture” – umanistica e scientifica – era stato già risolto in realtà da Charles Snow nel suo omonimo volume. Nessuna aporia, dunque, ma solo possibile integrazione. Del resto, William Blake, lo aveva già capito scrivendo una frase importantissima: “Ciò che oggi è dimostrato fu un tempo solo immaginato”. Frase che potrebbe ben rappresentare lo strumento per rimuovere – con un atto di chirurgia balistica – quella massa tumorale gigantesca che si chiama “Pregiudizio” nei confronti dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica. Pregiudizio che esiste dai tempi di Flaubert quando scriveva ironicamente nel suo Dizionario dei luoghi comuni: “Artisti: il loro non si può considerare lavoro”. E il disegno di legge citato superava questo pregiudizio e diceva: “L’incardinamento previsto dalla legge n. 508 del 1999 delle istituzioni di alta formazione nel sistema dell’istruzione superiore universitaria, e pertanto di pari livello con quello universitario, e` un atto quindi risolutivo e necessario per l’utenza italiana ma questo processo non puo` dirsi definitivamente compiuto se il legislatore non provvedesse anche all’adeguamento, seppur graduale, economico del personale delle istituzioni di alta cultura con l’attuale personale delle università. Non a caso detti docenti ormai rilasciano titoli di pari grado ed identica spendibilità con i titoli rilasciati dalle università Similmente va completato il quadro istituzionale e funzionale delle Accademie e Conservatori con il riconoscimento dei ruoli dirigenziali e con la identificazione delle funzioni di vertice e di rappresentanza in coerenza con il parallelo sistema universitario” Da notare che in un solo articolo veniva risolto il tema dell’equiparazione giuridico-economica docenti e il tema travagliato della governance. Ma ci fu, anche qui, un nulla di fatto! Sei anni dopo, il 16 marzo 2009, si aggiunge il ddl 1451, il quale ribadiva quanto detto dai due ddl sopra citati. Repetita iuvant, ma anche in questo caso il ddl non vide né luce, né ombra.
Fu, infatti, assorbito il 30 novembre 2011 dal ddl 1693 che era anch’esso stato presentato nello stesso periodo – il 16 luglio del 2009 – sul tema della “Valorizzazione del sistema dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale”. Nella relazione di presentazione il relatore scriveva: “Sarebbe altresì necessario affrontare il problema dello status giuridico del personale di dette istituzioni in rapporto con il personale universitario, atteso che la legge di riforma n. 508 del 1999 si era posta il fine di applicare alle istituzioni di alta cultura artistiche e musicali il dettato costituzionale di cui all’articolo 33 senza però sciogliere tale nodo cruciale”.
Assorbito e (naturaliter) affondato.
UNIVERSITAS + AFAM? IMAGO MUNDI
A questi esempi – brevemente elencati – credo non ci sia molto da aggiungere, se non la sottolineatura di una recente ordinanza della Cassazione, la n. 303 del 10 gennaio 2020 che non ha riconosciuto – “sulla base della vigente normativa” – la disparità di cui sopra. Ma non l’ha riconosciuta, appunto, “sulla base della vigente normativa”. Non altro.
Gli “ermellini” della Cassazione, hanno dunque sottolineato con grande chiarezza a caratteri cubitali che per via amministrativa nonè possibile giungere alla soluzione del problema.
E questo chiude il cerchio con quanto scriveva il dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2003.
Bisognerà, allora, a mio parere, procedere all’inquadramento dei professori Afam, attraverso apposita norma di legge, in regimedi diritto pubblico, secondo il modello utilizzato per l’inquadramento dei professori universitari: unico sistema in grado di assicurare quelle garanzie che sono poste a presidio della libertà di ricerca e di insegnamento, nonché atto concreto che sottolineerebbe una piena appartenenza realmente compiuta del settore Afam a quello dell’alta formazione, che invece al momento risulta – per ciò che concerne il dato contrattuale e giuridico – appiattito sul versante della scuola secondaria.
AFAM: DIECI RIGHE
Questo atto di riconoscimento sostanziale – da tutti atteso ma nei fatti disatteso da tutti – è un atto dovuto verso Istituzioni che fanno grande l’immagine del nostro Paese nel mondo, come si vede anche dalle percentuali di attrazione dell’utenza straniera che non ha eguali negli altri ambiti della formazione terziaria. Il ritardo, alla luce dell’importante e imponente sforzo fatto dagli ultimi due governi per allineare il sistema, non è più giustificabile. E mi riferisco non solo alle cose fatte “addito salis grano” – come la razionalizzazione del precariato, la trasformazione delle cattedre di seconda fascia in prima, l’imminente statizzazione delle istituzioni storiche e l’ampliamento dell’organico che era fermo da 25 anni – ma anche ai regolamenti in arrivo: reclutamento, didattica, governance, programmazione e valutazione). Bisogna mettere in campo ogni sinergia per arrivare al risultato dell’”allineamento perfetto” che rappresenta ormai l’ultimo miglio per il necessario parallelismo col sistema universitario, atteso che anche il tema della ricerca e dei dottorati è in via di risoluzione. La caratteristica genetica dell’Universitas appartiene di fatto anche all’Afam e i tempi sono ormai maturi affinché essa gli appartenga anche di diritto. “Bisogna volere l’impossibile perché l’impossibile accada”. Eraclito lo sapeva, noi dobbiamo ricordarlo. Possibile in sole dieci righe.
–Antonio Bisaccia
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