Perché è importante equiparare le AFAM alle Università. L’opinione di Antonio Bisaccia
Il destino dell’equiparazione giuridico-economica dei docenti dell’Alta Formazione, artistica, Musicale e Coreutica. La finanziaria ha introdotto delle novità, ma è necessario compiere un percorso più ampio. Le possibili soluzioni.
Un importante emendamento alla Finanziaria 2022, recante una misura di perequazione economica a favore dei docenti dell’Alta Formazione, Artistica, Musicale e Coreutica è stato dichiarato inammissibile, nonostante fosse un emendamento “segnalato” e malgrado fosse sostenuto dalla visione innovativa del MUR. Cerchiamo di capire il perché, sottolineando comunque che alcune misure sono state attuate.
QUELLO CHE DI NUOVO E BUONO C’È IN FINANZIARIA
C’è la rideterminazione dei compensi per le indennità spettanti al Consiglio di Amministrazione, Presidente e al Direttore. La novità è la reintroduzione del compenso per i Presidenti, tagliati in precedenza nella legge di stabilità del 2015. C’è anche il riconoscimento del diritto al compenso per i Nuclei di Valutazione delle AFAM che, nell’architettura del sistema, diventano professionalità molto importanti. Inoltre, è presente la rideterminazione del fondo per gli accompagnatori al pianoforte e al clavicembalo e tecnici di laboratorio, già previsto nella misura 15 milioni di euro e che adesso viene aggiornato in 19,5 milioni, da usare anche per i 17 ex istituti musicali pareggiati statizzandi e nelle 5 accademie storiche giunte all’ultimo miglio della statizzazione. Sono previsti anche 8,5 milioni di euro come quota per impegno aggiuntivo della docenza sui progetti, ovvero 8,5 milioni di euro come iniziale intervento compensativo ad integrazione dell’adeguamento contrattuale. Le AFAM da circa due anni sono all’interno di un processo di crescita accompagnato dal MUR con impegno. Le riforme normative in itinere (valutazione, reclutamento, governance, didattica, ricerca, etc.) dovranno allineare l’eccellenza della formazione artistica, musicale e coreutica con l’altra metà del mappamondo della formazione terziaria. Manca, comunque, un adeguamento congruo del fondo di funzionamento delle AFAM, il superamento delle vigenti facoltà assunzionali (soprattutto dopo il salto di qualità dell’ampliamento dell’organico finalmente attuato) e il passaggio della docenza al pubblicistico.
AFAM: COSA MANCA
Manca, comunque, un adeguamento congruo del fondo di funzionamento delle AFAM, il superamento delle vigenti facoltà assunzionali (soprattutto dopo il salto di qualità dell’ampliamento dell’organico finalmente attuato con DM del MUR) e il passaggio della docenza al pubblicistico. Nell’emendamento che ha interrotto il suo viaggio era incluso – soprattutto – un principio che indicava un iniziale cammino di allineamento progressivo verso gli standard retributivi della formazione terziaria. Il parere negativo reso dal MEF sull’emendamento in questione è un parere che parzialmente funziona sul piano tecnico ma è claudicante sul piano politico. In sintesi il MEF dice: “Al riguardo, nel premettere che i docenti AFAM sono compresi nel comparto di contrattazione Istruzione e Ricerca mentre per i professori universitari l’ordinamento giuridico e il trattamento economico sono disciplinati per legge ai sensi della ‘articolo 3 del dlgs 165/2001, e che la giurisprudenza consolidata depone nel senso di una differenziazione tra la due categorie di personale, si evidenzia che la relazione tecnica non contiene elementi idonei a verificare la congruità degli oneri della perequazione”. Il parere, nel negare il riconoscimento di invero modesto fondo perequativo a favore della docenza AFAM, conferma la correttezza della riflessione sottesa al proposto – doveroso – intervento finanziario, parzialmente correttivo di una manifesta ingiustizia. Ma veniamo però al dato tecnico. L’opinione espressa dal MEF richiama una presunta “giurisprudenza consolidata (…) nel senso di una differenziazione tra le due categorie di personale”. Tale riflessione, pur in parte corretta, è del tutto parziale. Dice la Corte di Cassazione che “non si può fare leva sull’equipollenza dei titoli di studio, rilasciati rispettivamente dagli istituti di alta formazione e dalle università, per sostenere la necessità di parificazione del trattamento economico del personale docente, giacché, da un lato, l’equipollenza è stata limitata dal legislatore “al fine esclusivo dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’accesso alle qualifiche funzionali del pubblico impiego”, dall’altro la stessa finisce per confermare la diversità fra istituti di alta formazione ed università e fra i titoli di studio dagli stessi rilasciati, equiparati solo a determinati fini” (Corte di Cassazione, Sez. lav. 10/01/2020, n. 303). Invero tale affermazione non è affatto condivisa dalla giurisprudenza amministrativa, di modo che appare evidente la parzialità dell’affermazione del MEF che afferma dell’esistenza di una granitica giurisprudenza, cosa anche inesatta per le ragioni meglio evidenziate di seguito.
AFAM: IL DATO CONTESTABILE
Infatti, come le università sono sedi primarie della ricerca scientifica e operano nel rispetto della libertà di ricerca dei docenti e dei ricercatori, anche il legislatore del ’99 considera le istituzioni dell’ Afam “sedi primarie di alta formazione, di specializzazione e di ricerca nel settore artistico e musicale”, svolgendo “correlate attività di produzione” (art. 2 comma 4). Come noto, la distinzione fondamentale tra scuole di istruzione secondaria superiore e università degli studi risiede nel fatto che le prime «si limitano» a trasmettere un sapere da altri elaborato e non ad elaborarne, criticamente, uno nuovo; per contro, nelle università il sapere viene insegnato con metodo critico, e viene altresì formato attraverso l’attività di ricerca: la cosiddetta attività scientifica, valevole sia in campo tecnologico che umanistico. Ebbene, stante le nuove funzioni attribuite dalla l. n. 508 del 1999 ai Conservatori, agli ISIA e alle varie Accademie (di arte drammatica, danza e belle arti), non più solamente didattiche, ma altresì di ricerca, appare evidente come il riconoscimento di una sostanziale urgenza della piena equiparazione dello status del personale impiegato nelle AFAM rispetto alle Università risieda nel fatto che essi sono chiamati a svolgere non mera attività didattica ma piuttosto di ricerca. Ricerca applicata verrebbe da dire – non solo nel settore tecnologico (i linguaggi artistici si nutrono di processi tecnologici anche complessi) ma anche umanistico, poiché l’arte (in senso ampio) e la musica sono a tutti gli effetti dentro la grande area umanistica (come letteratura, poesia, filosofia, storia, cinema, etc..).
Al fine di dimostrare la fondatezza di quanto affermato basti leggere la nota decisione n. 1500/2019 del TAR Lazio che così si esprime: “Dalla legge 21 dicembre 1999 n. 508 discende una serie di indici sintomatici di una piena equiparazione delle Accademie di Belle Arti, come gli Enti di Alta Formazione e Specializzazione Artistica e Musicale, alle Università. (…) Sostanzialmente il Collegio ritiene che gli istituti Afam, svolgendo al pari delle Università, attività didattica e di ricerca, sono stati illegittimamente esclusi dal novero degli enti destinatari del sostegno alla ricerca di base”. Veniamo così all’ulteriore argomento, impiegato da ultimo nella decisione della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione 303/2020 sopra citata. Dice la Suprema Corte che “i docenti degli istituti di alta formazione, di specializzazione e di ricerca nel settore artistico e musicale (AFAM) non hanno diritto allo stesso trattamento economico e contrattuale dei docenti universitari, in quanto la L. n. 508 del 1999, pur inquadrando detti istituti tra le istituzioni di alta cultura riconosciute dall’art. 33 Cost. e garantendone l’autonomia statutaria e organizzativa, affida tuttavia la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti alla contrattazione collettiva nell’ambito di un apposito comparto e regola il conferimento degli incarichi di insegnamento secondo modalità diverse sia da quelle previste per gli insegnanti di scuola primaria e secondaria, sia da quelle proprie dei professori universitari, per i quali il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, ha mantenuto lo statuto pubblicistico”. Invero detto argomento non tiene conto delle “ulteriori mansioni”, volendo impiegare la terminologia propria del diritto del lavoro, richiesto ai docenti del comparto AFAM che consiste proprio nel necessario svolgimento di attività di ricerca come tratto caratterizzante la formazione artistica di terzo livello nel nostro Paese. Occorre quindi riflettere sulla giustificazione sottesa alla scelta normativa di mantenere i docenti universitari nell’alveo dello “statuto pubblicistico” a fronte di quella di assegnare i docenti AFAM ad un comparto di contrattazione.
AFAM: IL PRETESO IMPEDIMENTO
Il carattere pretesamente impediente una piena equiparazione sulla base di una riflessione puramente formalistica non persuade perché resta monco il ragionamento della Cassazione in ordine alla giustificazione ultima di una scelta legislativa che allora resterebbe priva di significato e di coerenza, tanto più nell’ambito di un quadro di riconoscimento dei titoli di alta formazione nell’ambito transnazionale che non ripete lo stigma tutto interno di un riconoscimento finalizzato solo a determinati fini: un’ambiguità di fondo fragile ed ormai non più sostenibile se non sul piano domestico e nell’affermazione di puri formalismi. Sul punto appare utile il richiamo ai chiarimenti contenuti nella consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato n. 1673 del 18 marzo del 2011: “Con la normativa sopra riportata si costituisce, pertanto, un sistema unitario di alta formazione e specializzazione artistica e musicale, presso il quale il servizio di insegnamento svolto non può che avere identica valenza rispetto a quello universitario, attenendo al medesimo livello ed alla stessa categoria culturale”. Il parere sopramenzionato del MEF, che ha affondato l’emendamento, nella parte che sottolinea l’attuale contrattualizzazione della docenza Afam mentre i docenti universitari sono nel pubblicistico, è chiaro sin dal 2003 allorquando il Ministro Moratti – rispondendo, per tramite dell’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, a un quesito del CNEGED (Comitato Equiparazione Giuridico-Economica Docenti da me allora presieduto) circa il medesimo tema – affermò che il problema poteva essere superato non per via amministrativa ma per via legislativa. Detto in altri termini: con le norme che abbiamo qualsiasi giudice non può che fotografare e restituire l’esistente sotto forma di sentenze-specchio, mentre toccherebbe al potere legislativo sciogliere il nodo scorsoio della questione. Evidentemente però, un conto è il pieno superamento della differenziazione del regime giuridico, altro una tendenziale correzione della ormai unanimemente riconosciuta sperequazione nel trattamento retributivo, come riflesso di quella autonomia che la Carta costituzionale riconosce agli ordinamenti universitari. Ne consegue, alla luce delle pur banali sopra rappresentate considerazioni, a prescindere dal dato meramente contabile dell’allineamento della spesa, la superabilità del parere reso. Le accennate censure contenute nel parere paiono improntate ad eccessivo formalismo, nella ricerca quasi esasperata di un qualsivoglia errore od omissione che, indipendentemente dalla sua valenza concreta, possa legittimare la pretesa di esclusione a favore della docenza AFAM di un fondo perequativo tutto sommato volto a garantire l’effettivo esercizio di una attività di ricerca minima e di base.
AFAM: NECESSITÀ DI UN ITINERARIO
Ebbene già dal 2003 c’era la consapevolezza che occorresse un intervento legislativo atto a modificare l’art. 2, comma 6 della Legge 508/99, per uscire dal cosiddetto “ruolo ad esaurimento”, nelle more dei regolamenti della medesima legge riguardanti il reclutamento. Il problema – da quella lettera del giugno 2003 – non è però stato risolto da nessun parlamento. Aveva intuito una soluzione il Ministro Manfredi proponendo una legge delega in grado di contenere principi innovativi che portassero verso l’uscita dal guado. Strada percorribile ma, al momento, non seguita. Sono sicuro che il Ministro Messa, che si è sempre dimostrata sensibile e attenta alle esigenze del settore AFAM, saprà costruire un “percorso di risalita” – e suo itinerario – sostenendo l’ampio territorio di queste istituzioni prestigiose di fatto, ma fattualmente dentro la sfera di una perenne “indeterminazione identitaria nel sistema formazione terziaria”. È importante agire con un atto di indirizzo concreto, al fine di risolvere quest’annosa questione che tanta amarezza diffonde nel sistema, anche perché ormai l’AFAM (anche per merito delle recenti e importanti innovazioni volute e sostenute dallo stesso Ministro Messa e da tutto lo staff ministeriale estremamente competente del MUR) opera in totale analogia al sistema universitario (validità dei titoli, nuovo reclutamento, valutazione, governance e terzo livello in arrivo, etc.). Le strade possono essere differenziate per l’immediato e per il medio termine. Nell’immediato sostenere e sviluppare, come già il MUR sta facendo, l’amministrazione dell’esistente. Nel medio termine osare con atti normativi penetranti che non siano solo un esercizio di cosmesi dell’immaginario. Atti che devono imprimere una forte spinta per scardinare quelle sliding doors che per l’AFAM sono bloccate in un loop (alla lunga) articida. Certo, so bene che la giurisprudenza ha formalizzato una differenziazione con gli universitari (alla luce delle norme attuali, ovviamente). Ma allora lo scoglio, poiché è normativo, bisogna appunto risolverlo con una norma. Norma che sin dal 2003 è stata proposta da diversi ddl (Asciutti, Colasio, etc.) poi abortiti per un motivo o per l’altro. In questo momento in parlamento la sensibilità sul tema è diffusa e si potrebbe provare con un ddl (e qualcuno lo vuole proporre) ma io credo che sia una strada lunga che rischia di finire come tutti gli altri DDL nell’agorà dei fallimenti annunciati.
AFAM: IL PARADOSSO DEL LAMPIONE
Conosciamo tutti questa storiella, riportata del bellissimo “Istruzioni per rendersi felici” di Paul Watzlawick: “Sotto un lampione c’è un ubriaco che sta cercando qualcosa. Si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa abbia perduto. ‘La mia chiave’, risponde l’uomo, ed entrambi si mettono a cercarla. Dopo aver guardato a lungo, il poliziotto chiede all’uomo ubriaco se è proprio sicuro di averla persa lì. L’altro risponde: ‘No, non qui, là dietro; solo che là è troppo buio’”. Ecco, è ora di dismettere quei lampioni fissi (luoghi comuni) che ci impediscono di illuminare quelle porzioni di mondo buie dove la “spiegazione” ci aspetta, nuda e cruda, se solo riuscissimo a illuminarla con una coraggiosa e inedita soluzione laterale. Ci vuole un’idea tecnica (non sotto il lampione) che porti al risultato più velocemente. Gli strumenti giuridici servono a questo e sono tutti evidenti e a portato di mano. Il parlamento e il governo non credo siano ostili all’idea di un’equiparazione giuridico-economica della docenza AFAM che appare non solo l’ultimo tassello da sistemare ma, soprattutto, l’ultimo tabù da abbattere. Probabile, possibile, necessario: all’inizio tutto è probabile, poi diviene possibile e alla fine diventa necessario. E ineludibile. Questa progressione di pensiero sul tema è ampiamente condivisa. Bisogna solo individuare lo strumento giuridico più adatto per porre fine – senza le mediazioni dell’ipocrisia spontanea come la gramigna infestante – a quella che non smetto di chiamare una “disparità di trattamento” oramai antistorica che continua a procurare una frattura culturale ancorché sociale. A me pare che non sia più tempo di prendere (perdere) tempo. Le sensibilità ci sono, le competenze ci sono. Il robusto asse dorsale dell’Alta Formazione, Artistica, Musicale e Coreutica italiana c’è ed è riconosciuto in tutto il mondo, come si evince anche dalla capacità di attrazione dell’utenza straniera. Serve solo buona volontà condita da scrittura giuridica. Noi tutti diciamo che l’Italia è nota nel mondo per la sua arte e la sua musica e che queste rappresentano i suoi gioielli. Per poter continuare a raccogliere gioielli bisogna investire nella formazione terziaria delle arti e della musica. Fra cento o duecento anni mi piacerebbe che continuassimo a mantenere il primato in questi campi. Tutto quello che si sta facendo – ampliamento dell’organico, i quattro regolamenti in itinere, etc.– è importantissimo e dobbiamo dare atto che non si era mai vista un’accelerazione così efficace e penetrante. Ma senza un adeguato – seppur graduale – riconoscimento dovuto alla docenza non possiamo dire conclusa questa fase innovativa che sta radicalmente cambiando il volto delle istituzioni AFAM. Questo è il sentimento che oggi attraversa le AFAM. Serve un ulteriore sforzo per consegnare queste istituzioni al ruolo che compete loro da secoli: formare il talento e continuare a costruire il sistema identitario del Paese utilizzando i linguaggi artistici nell’alveo del connubio perfetto tra ricerca e creatività. Tertium non datur.
–Antonio Bisaccia
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