AFAM. La sfida dell’universitarizzazione e del PNRR nel sistema delle Accademie
Quale sarà il futuro delle Accademie e dei Conservatori italiani? Pubblichiamo una sintesi dell’intervento di Antonio Bisaccia, Presidente del Consiglio Nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale, presentato come relazione introduttiva all’interno del Convegno “AFAM, quale futuro per Accademie, ISIA, Conservatori di Musica?”, tenuto il 28 novembre 2022, presso la Sala Zuccari del Senato
Come premessa faccio due prelievi istologici. Il primo, sull’humus generale relativo all’istruzione e il secondo riguardante il settore particolare di cui ci occupiamo oggi. Il primo prelievo è tratto da una lettera del sassarese Presidente della Repubblica Antonio Segni a De Gasperi, lettera inviata il 23 agosto del 1951. Segni scrive: “(…) La scuola nei suoi diversi settori, ha una importanza diretta, per la vita economica delle nazioni, attraverso i settori, troppo dimenticati, della ricerca scientifica, della sperimentazione, dell’insegnamento professionale. (…) Il funzionamento dell’ordinamento della scuola ha perciò ripercussioni larghissime, nocive o benefiche, ma sempre importantissime. Le rimunerazioni di questi studiosi non solo sono inferiori a quella di qualunque altra nazione civile, ma non sono neppure, in linea assoluta, sufficienti ad una esistenza che dia la tranquillità necessaria per la ricerca scientifica (…) Sarebbe veramente sventurata la nazione che considerasse i problemi della scuola e della scienza solo in termini di valori materiali, senza comprendere che tutte le società si fondano, per la loro vita e per il loro sviluppo, su quegli elementi culturali e spirituali, dei quali la Scuola è depositaria, e che sono essenziali basi della vita politica e quindi economica dello Stato”. Lettera acuta e attualissima, questa, che testimonia quanta strada ci sia ancora da fare per attuare il nucleo di pensiero del Presidente della Repubblica Segni, che traccia una linea diretta sul rapporto ineludibile tra istruzione ed economia, ad oggi ancora purtroppo tutt’altro che scontato. Il secondo prelievo istologico viene da una legge del secolo scorso che riguarda L’Afam e che tutti nel settore conoscono: la 508/99. E lo faccio non perché sono un appassionato di storia ed esegesi normativa, ma perché – nel caso di specie – è un indice predittivo di ciò che la norma avrebbe poi dimostrato nella sua vita quotidiana, relativamente al consistente tasso di auto-sterilità che essa conteneva e contiene: insomma, una sorta di poderosa e pingue macchina celibe di Duchamp, con tutto il suo “movimento oggettivo apparente”! Movimento destinato a consumare più energia di quanta ne produca. Un esempio, insomma, di folgorante improduttività e ambiguità irrisolte. “La legge dev’essere chiara, precisa, uniforme; interpretarla è lo stesso che corromperla”. Così diceva Napoleone Bonaparte relativamente al “Code civil des Français” – meglio noto come Codice napoleonico.
AFAM: RICOMINCIARE DAL 1997
Tornando a una legge non chiara, non precisa e multiforme, Il 5 novembre 1997 fu approvato dalla VII Commissione permanente della Camera (Cultura, scienza e istruzione) il testo nato come Atto della Camera n. 688 (che poi al Senato diventa DDL 2881) risultante dall’unificazione di vari disegni di legge d’iniziativa di alcuni deputati: Sbarbati (688); Burani-Procaccini, Gasperoni, Pistone, Lenti, Duca, De Murtas, Sgarbi, Galdelli, Bracco, Brugger,Giacco, Pozza Tasca, Aprea, Volpini, Rodeghiero, Napoli e Follini (829); Rodeghiero, Apolloni, Bagliani, Ballaman, Balocchi, Bianchi Clerici, Faustinelli, Frigerio, Martinelli, Santandrea, Stefani e Vascon (1343); Burani Procaccini (1397); Napoli (1998). Sostanzialmente, l’Atto della Camera 688 è l’atto procreativo che ha dato origine alla 508/99. Tale disegno di legge originario prevedeva l’istituzione degli ISDA (Istituti Superiori delle Arti), acronimo più efficace dello sfortunato AFAM. L’ISDA raccoglieva nella parola arte tutti i linguaggi artistici (musica, teatro, design, pittura, scultura, cinema, teatro, etc..) e prevedeva istituti “di grado universitario”. Le istituzioni dell’ISDA avrebbero dovuto rilasciare “diplomi universitari di primo livello (…) e distinti diplomi di laurea in discipline musicali, dello spettacolo e artistiche”. Titoli, quindi senza ambiguità lessicale alcuna. Prevedeva altresì che “La nomina, la composizione, le competenze ed il funzionamento degli organi di governo degli ISDA fossero disciplinati dalla normativa vigente per le università”. E prevedeva una nuova disciplina per lo stato giuridico della docenza entro 5 anni. Era anche previsto che: “a ciascun ISDA fosse preposto un rettore. Alle specifiche articolazioni interne di ciascun ISDA sono preposti direttori con compiti di programmazione, di coordinamento e di promozione delle attività proprie del settore. I direttori sono affiancati da organi di gestione analoghi a quelli previsti per le facoltà universitarie”. Anche sulla Governance, quindi, vediamo indici sintomatici senza equivocità di una completa revisione universitaria della disciplina delle istituzioni. Un testo dunque molto, molto avanzato relativamente alla necessità di riconoscere agli ISDA un ruolo squisitamente di tipo universitario.
AFAM: IL DNA ROVESCIATO
Questo testo, approvato dicevamo in prima lettura alla Camera nel novembre del 1997, fu poi radicalmente modificato al Senato, limitando – in più parti o, meglio, in toto – la portata innovativa del testo originario ed eliminando qualsiasi riferimento diretto alle normative universitarie. Anzi si nota con chiarezza un’operazione balistica di sviamento lessicale. Il termine “università”, come sostantivo, e il termine “universitario”, come aggettivo, vengono del tutto cancellati, come nelle famose cancellature dell’artista Emilio Isgrò. Il testo licenziato nel dicembre del 1999 fu infatti il risultato di una significativa mediazione al ribasso. Ribasso voluto dall’allora maggioranza (soprattutto i DS, PPI, UDR, etc. con a capo il relatore Lombardi Satriani) contro la minoranza (rappresentata da Forza Italia, AN, Lega nord etc.). Anche se poi le posizioni personali dei singoli si sono, a volte, incrociate. Il contenuto della norma era diventato in realtà un contenitore che rimandava praticamente tutto ai regolamenti. Tant’è vero che il 14 settembre 1999, nella seconda lettura della Camera del ddl 2881, l’Onorevole Angela Napoli fece presente che, e cito dalle risultanze dei resoconti parlamentari dell’epoca : “(…) se il testo approvato dalla Camera costituiva senz’altro un passo in avanti, le modifiche introdotte al Senato hanno completamente stravolto il lavoro svolto dalla VII Commissione in prima lettura. Infatti, ancora una volta, è stata attribuita alla potestà regolamentare del Governo gran parte della riforma, senza che risulti chiara la disciplina del settore che verrà posta concretamente in essere a seguito della riforma. Sono stati soppressi gli istituti superiori delle arti (ISDA), necessari ai fini di una concreta equiparazione dei corsi di studio a quelli di livello universitario, e ci si è limitati ad un semplice riconoscimento del diritto degli istituti di dotarsi di regolamenti autonomi. Addirittura, le disposizioni transitorie sono state demandate al regolamento governativo”. Anche Valentina APREA ha in quell’occasione condiviso le preoccupazioni espresse dal deputato Angela Napoli, facendo comunque presente che: “(…) il testo approvato dal Senato ha rappresentato l’unica mediazione raggiungibile in quel ramo del Parlamento tra Governo, maggioranza ed opposizione. Rilevata quindi l’urgenza di approvare un provvedimento atteso dal mondo delle accademie e dei conservatori da almeno due legislature, avverte che il suo gruppo non presenterà emendamenti, ritenendo prioritaria l’approvazione del progetto di legge”. Fabrizio BRACCO osservò che: “(…) mentre il testo approvato dalla Camera definiva il sistema, quello approvato dal Senato si limita a rinviare la definizione del sistema ad un regolamento”. Nella necessità di concludere l’iter legislativo (il governo D’Alema stava per cadere), si è quindi preferito diluire e disossare una proposta di riforma delle Accademie e dei Conservatori ampiamente innovativa, per lasciare il campo a un costrutto legislativo che ha di fatto consegnato le istituzioni in oggetto in un limbo ultraventennale di indeterminazione ormai strutturale. Il DDL 2881-B, infatti, fu approvato dalla VII Commissione del Senato e il 21 Dicembre 1999 diviene Legge n. 508.
AFAM: FLEBILE UNIVERSITARIZZAZIONE
Detto questo, bisogna comunque dire, per onestà intellettuale, che la legge 508/99 ha rappresentato il primo flebile, anche se claudicante, passo verso quel processo di “universitarizzazione” di cui ha necessità il sistema della formazione superiore delle arti. E su questo bisognerà – con ogni probabilità – fare una seria riflessione che conduca a un reale allineamento con il sistema universitario: sotto tutti i profili. Penso, ad esempio – prendendo come misura i cicli didattici del 3+2 – che almeno 5 generazioni di studenti sono andati incontro a una vera e propria perdita di chance relativamente all’attivazione mancata dei dottorati di ricerca AFAM. È come se 5 generazioni di chirurghi avessero perso la possibilità di formarsi e salvare vite, o come se 5 generazioni di fisici avessero perso la possibilità di contribuire a fare ricerca sugli insondabili misteri della natura, o come se a 5 generazioni di oncologi fosse stata sbarrata la strada per ricercare soluzioni innovative sulle malattie tumorali. Ma, in ogni caso, sulla materia dei dottorati si sa – adesso – che il ministero sta provvedendo, sulla base di quanto stabilito all’art. 15 del DM 14 dicembre 2021, n. 226 (Regolamento recante modalita’ di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e criteri per la istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati), a preparare – finalmente – il DM che definirà le modalita’ di accreditamento dei corsi di dottorato di ricerca delle Istituzioni AFAM. Altro tema centrale è lo statuto giuridico dei docenti AFAM. Potremmo dire che attualmente i docenti AFAM appartengono alla categoria dei “né né” e cioè né assimilabili ai docenti universitari né a quelli scolastici (quantomeno negli aspetti migliorativi) atteso che ormai da tempo, secondo insondabili dinamiche egualitariste di adeguamento soltanto in peius (e cioè nel trattamento peggiorativo), tanta parte della contrattazione della docenza AFAM sia attratta nell’alveo della contrattazione del comparto scuola. Per cui oltre il danno anche la beffa di una terzietà, almeno sul piano contrattuale, che secondo la Cassazione è tuttora prevista dalla legge n. 508 del 1999. Fatta questa premessa di contesto è però arrivato il momento di pensare e di proporre soluzioni che possano essere percorribili in un momento di difficoltà, anche solo progettuale, che può essere superato soltanto attraverso un investimento sul futuro che liberi le energie del sistema. Il pieno ed effettivo rilancio del sistema dell’Alta formazione artistica passa, necessariamente, per una migliore qualificazione e retribuzione della docenza.
AFAM: LE POSSIBILI SOLUZIONI
Partiamo dalla legge 508 del 1999. L’art. 2, co. 6 della di riforma del sistema è previsto che “Il rapporto di lavoro del personale (…) è regolato contrattualmente ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, nell’ambito di apposito comparto articolato in due distinte aree di contrattazione, rispettivamente per il personale docente e non docente”.
La scelta operata dal legislatore del 1999 costituisce, a tutti gli effetti, una notevole deviazione, se non una vera e propria alterazione, rispetto al percorso che in Parlamento era stato correttamente ed armonicamente delineato nel momento del riconoscimento del carattere universitario dei corsi insegnati negli istituti (nella prima stesura) “ISDA” ora AFAM.
L’Atto della Camera n. 688, poi divenuto DDL 2881, approvato dalla VII Commissione permanente della Camera dei Deputati il 5 novembre 1997, di cui sopra, dopo avere riconosciuto l’equiparazione dei corsi AFAM ai corsi universitari, all’art. 8, co. 5, dedicato al personale docente, conclude con la prospettiva ridefinizione del “ruolo dei docenti degli ISDA, avente efficacia dalla scadenza del periodo di cinque anni di cui al presente comma, con riferimento allo stato giuridico e al trattamento economico del personale docente universitario”. Sul punto, in linea solo teorica, la legge 508 del 1999 non muta il segno di una scelta già emersa nel DDL citato. Infatti, così come le università sono sedi primarie della ricerca scientifica e operano nel rispetto della libertà di ricerca dei docenti e dei ricercatori, anche la legge attuale considera le istituzioni dell’AFAM «sedi primarie di alta formazione, di specializzazione e di ricerca nel settore artistico e musicale», svolgendo «correlate attività di produzione».
Ebbene è stato acutamente osservato, per primo, devo dire, dall’attuale Capo dell’ufficio legislativo del Ministero della Cultura (Prof. Antonio Leo Tarasco), che il compito della ricerca che la l. n. 508 del 1999 assegna agli istituti AFAM ha di fatto il valore di una mera dichiarazione ricognitiva di ciò che accade ed è sempre accaduto. Infatti, gli insegnamenti tenuti negli istituti dell’attuale AFAM hanno da sempre avuto le caratteristiche di un laboratorio creativo e scientifico permanente, nell’ambito del quale era richiesta una produzione artistica e teorico-scientifica come risultato dell’attività formativa.
Università e AFAM, dunque, elaborano e producono criticamente nuovi saperi, nella medesima misura. Ma Quali possono essere le strade per raggiungere un nuovo statuto giuridico della docenza? Ce ne sono almeno tre (ma non sono le sole). Nella prima, secondo un modello progressivo e sostenibile, andrebbe recuperato il significato normativo evocato dal DDL n. 2881 originario citato (art. 8, co 5) con una riscrittura parziale dell’art. 2, co. 6 della legge n. 508/99. Una concreta proposta di riforma, intesa come “restauro conservativo” della trama sfilacciata della legge 508, premesso un opportuno adeguamento del Testo unico del pubblico impiego, in un’ottica di pubblicizzazione del rapporto di lavoro, potrebbe prevedere, nell’ambito di un periodo di raffreddamento, l’ultrattività (al più biennale) dell’attuale disciplina contrattuale per poi demandare al MUR di provvedere, con proprio decreto, al modellamento dello statuto economico e giuridico dei docenti dell’attuale AFAM sul paradigma normativo della docenza universitaria. Il merito di questo correttivo è di differire nell’arco di un biennio (come detto al massimo) l’impatto finanziario della riforma.
Nella seconda strada, si potrebbe percorrere l’idea di una torsione positiva dell’attuale regolamento sul reclutamento in itinere. Come noto la legge 508 del 1999 è una disciplina programmatica. L’autonomia, enunciata a grandi linee, viene demandata all’adozione di più regolamenti. Tra i tanti regolamenti non adottati, vi è quello relativo al reclutamento del personale docente. Potrebbe, la portata dell’attuale disciplina dell’art. 2, co. 6, della legge 508/99, nella parte relativa alla docenza, essere temporalmente limitata all’adozione di un regolamento volto a disciplinare non solo il reclutamento dei docenti ma anche il relativo statuto giuridico ed economico nell’ambito di un criterio direttivo che deve essere quello del ravvicinamento alla disciplina del docente universitario. Strada questa, apparentemente impervia ma fattualmente percorribile, atteso che questo dpr è in corsa verso l’arrivo.
Una terza strada, normativa, potrebbe essere quella dell’adozione di un decreto legislativo che consenta una più ampia rimeditazione di tutto l’impianto normativo dell’Alta formazione artistica, che nei vent’anni di rimaneggiamenti è rimasto incompleto di tetto e fondamenta e cioè della regolazione dello sviluppo, della valutazione e della docenza, oppure un più limitato e modesto intervento volto a concludere il faticoso percorso regolamentare tante volte intrapreso e mai concluso. Tale ultima soluzione, quella della delega, avrebbe il vantaggio, purché concluso in un ambito temporale auspicabilmente non superiore al biennio, di approdare ad un testo avente forza ed efficacia di legge e non di semplice norma regolamentare sempre emendabile e rimaneggiabile nel tempo.
Infatti, un decreto legislativo consentirebbe di superare quell’aporia che deriva dalla previsione di una “fonte debole” dell’autonomia e cioè regolamentare (sulla base della legge n. 508 del 1999) rimessa alla singhiozzante attività ministeriale (oltre un ventennio di incubazione rappresenta probabilmente un unicum nel panorama occidentale).
AFAM: IL NODO (DA SCIOGLIERE) DEL PNRR
Fatta questa premessa sulle emergenze irrisolte che continuano a segnare un tratto fortemente disfunzionale, mi preme fare una breve nota sul PNRR. Ma non breve quanto le tre righe più una di spiegazione – in glossario – dell’acronimo AFAM nel PNRR.
Nel PNRR le tre righe per AFAM sono solo un indizio per cominciare, e sottolineano esclusivamente : le “Attività di internazionalizzazione degli istituti di istruzione superiore artistica e musicale (AFAM) attraverso il sostegno a 5 progetti di internazionalizzazione delle istituzioni AFAM, per promuovere il loro ruolo all’estero nella conservazione e promozione della cultura italiana”. Osservo, in ogni caso, che – a tutt’oggi – non è pervenuto nessun bando per onorare almeno le tre righe. Ma l’Italia di domani sarà (anche) il correlativo oggettivo di come verrà declinato il PNRR in un dominio fragile (ma possente ad un tempo) come quello della formazione di livello universitario relativa alle arti.
“Abrevio mea ditta, longezza en breve scripta, scriveva Jacopone da Todi, facendo l’apologia della brevità come sintomo di saggezza ed efficacia. Ma la necessità di sintesi del PNRR su AFAM, probabilmente, non ha permesso di sviluppare meglio il tema, anche perché la concisione estrema utilizzata – di cui trattasi – coincide col quasi-nulla.
Infatti la sola – e pur necessaria – internazionalizzazione non può bastare per spingere le AFAM nell’agone della competizione europea. Serve una virata concreta che offra un’opportunità al brand di arte e musica più famoso al mondo.
Le misure migliorative e l’attenzione del MUR su queste istituzioni sono in progress, ma il “tallone d’Achille” AFAM dimora nella vetusta e polverosa struttura delle norme, informando di sé tutto il mal-funzionamento del resto del corpo. Questo rischia di essere il suo limite, che va disinnescato a cominciare dall’identità offuscata dalla coltre di nebbia che il tempo ha depositato sulla sua pelle. Sono istituzioni, queste, in cui l’identità culturale di una Nazione viene nutrita dalla ricerca e dall’integrazione fra tradizione e nuove tecnologie, con la prospettiva di aggiungere alla dimensione dell’esistente le altre – innovative – conoscenze. È importante, allora, una progettazione di raccordo ampliato con l’ambiente in cui queste istituzioni storiche sono immerse. Il primo raccordo è col mondo produttivo della creatività. Il rapporto Symbola-Unioncamere 2022 indica (e ha sempre indicato anche nelle precedenti edizioni) – in modo efficace – due componenti di quello che viene definito l’SPCC (Sistema Produttivo Culturale e Creativo): il Core, che contiene tutte le professionalità strettamente artistico-culturali e le attività a trazione creativa (Creative Driven), che raccolgono tutte le attività-indotto che, anche se non appartenenti al “nucleo cultura” in senso stretto, si servono delle competenze di quest’ultimo per sviluppare e migliorare la propria produttività. Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo, sempre secondo il rapporto Symbola-Unioncamere, conta circa 270.318 imprese (architettura e design 82.993, editoria e stampa 64.532, comunicazione 41.764, videogiochi e software 33.240, e performing arts e arti visive 30.781, audiovisivo e musica 15.853 e patrimonio storico-artistico 1.155 imprese). Questi dati, benché il disastro del Covid-19 li abbia fatti scendere percentualmente, sono un indice che spinge con forza la battaglia della resilienza e della ripresa per un settore che, oltre a generare PIL (5,6 % dal Core Cultura per un totale di 88,6 mld di euro), costruisce anche la nostra immagine nel mondo.
Le istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale contribuiscono, in modo significativo, ad alimentare la dimensione di crescita di questo “meta-settore” della creatività, formando artisti, musicisti, registi, grafici, designer, restauratori, attori, operatori – ad alto tasso di specializzazione – della cultura in generale, delle nuove tecnologie applicate all’arte, della conservazione, della comunicazione, etc. In questo contesto, il PNRR, piano nazionale di ripresa e resilienza, è soprattutto un piano delle riforme, con tutto il potenziale di cambiamento che queste possono generare nell’economia italiana. Nella Missione 4, Istruzione e Ricerca, sono ben definite le linee delle riforme da attuare: riforma degli ITS, riforma dell’organizzazione del sistema scolastico, riforma delle classi di laurea, riforma delle lauree abilitanti, riforma dei dottorati, etc. E le riforme si accompagnano a un investimento, dimodoché ogni riforma sia – giustamente – lo strumento per attuare gli investimenti che – a loro volta – devono segnare degli obiettivi.
Ricordato questo schema, c’è da sottolineare che non è prevista nel PNRR una “Riforma AFAM” che, invece, andrebbe introdotta, anche per dare continuità a quanto contenuto nel collegato (scomparso) alla legge finanziaria del 2021, ovvero il progetto della legge delega che qualcuno aveva pensato per fare un serio riordino del sistema AFAM. Questo piano è stato messo in stand by dalla necessità di superare – intanto – le gravi criticità con strumenti più immediati, ma meno strutturali.
Sarà compito del MUR e del suo nuovo Ministro Bernini attivarsi (e lo ha già detto con forza in più occasioni) affinché il PNRR possa essere ‘messo a terra’ nel modo migliore possibile. L’AFAM ha necessità di una riscrittura in chiave contemporanea della sua mission, soprattutto per poter competere con le istituzioni straniere omologhe e per poter contribuire al rapporto tra arte e sviluppo economico: binomio non scontato ma necessario. Ma per far questo, è fondamentale integrare l’AFAM, a pieno titolo, nel PNRR, senza le attuali connotazioni fattualmente residuali. E senza, aggiungo, declinazioni buro-pratiche bloccanti. È tempo che i cosiddetti “legisti”, ovvero chi scrive le norme, si attivino per riscrivere una storia consona al prestigio che le AFAM portano nel mondo.
Antonio Bisaccia
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