Insegnare la storia dell’arte in modo inclusivo. Intervista a Giosuè Prezioso
In occasione della pubblicazione del suo nuovo libro “Storiə dell'Artə” parliamo con il docente e curatore internazionale Giosuè Prezioso di come si può liberare l’insegnamento del giogo coloniale e patriarcale
Docente e curatore internazionale, Giosuè Prezioso ha da poco pubblicato Storiə dell’Artə, un breve saggio che ci spinge ad uscire dalla “sclerocità, dalla rigidezza, dalla gabbia della normalità, che sovente non ci permette di apprezzare tutti gli altri punti di vista, esistenti al mondo”, per usare le parole della prefazione di Vera Gheno. Abbiamo voluto incontrarlo per approfondire con lui la genesi e l’originale metodologia del libro.
Intervista a Giosuè Prezioso
Come è nata l’idea di questo libro e a chi è rivolto?
Questo libro nasce dalle diverse università nel mondo in cui ho insegnato. Nell’ultimo lustro ho infatti conosciuto studenti/esse da oltre 100 Paesi e in Master davvero internazionali, dove per conoscerci e capire quanto ne sapessero di arte, chiedevo loro: “Ditemi il nome del primo artista che vi viene in mente, conoscete o amate” – provateci anche voi. Non pensateci troppo. Il primo. Verosimilmente sarà stato un uomo, bianco e occidentale – giusto? Bene, è proprio così che è nato il mio libro.
Quali erano le risposte degli studenti?
In quelle classi così globali la maggior parte delle volte mi rispondevano Michelangelo, Leonardo, Van Gogh o Picasso all’inizio sorridevo; dopo un po’ era diventato prevedibile; a un certo punto mi si è accesa la lampadina: “Ma perché“, mi sono chiesto “tutte queste persone davvero così diverse, che vengono da Paesi polari come l’Alaska e l’Australia, rigurgitano tutte gli stessi nomi?“. Un artista cambogiano? Una donna? Un’artista donna non bianca? Un artista magari con disabilità? Nulla. Attingevo a oltre 100 Paesi nel mondo, eppure l’Olimpo e le divinità erano sempre le stesse: uomini, bianchi, occidentali. Eppure loro studiano arte, saranno la nuova generazione di artisti/e e curatori/trici. Ho dunque avviato una ricerca inedita e internazionale e ho portato a casa un manuale tanto per neofiti quanto per chi ha già esperienza dell’arte. Mi piace pensarla come un’operazione ibrida tra la divulgazione e il consolidamento.
Per una storia dell’arte più inclusiva
In che modo proponi un approccio diverso alla storia dell’arte?
Come si evince dal titolo, attingo allo schwa e implicitamente a Vera Gheno, che mi ha onorato della sua firma in prefazione. Volevo trasferire un significato alquanto dissacrante e immediato al testo, e lo schwa mi sembrava davvero calzante. Perché se ci pensate, la storia che studiamo a scuola è una. La letteratura che studiamo è una. La musica che studiamo è una. Come poi una è la narrazione che ci restituiscono studenti e studentesse quando poniamo loro domande come la mia: le risposte provengono tutte da libri scritti verosimilmente da e per uomini, bianchi e occidentali, cosa ci aspettiamo dunque?
Sei riuscito a coinvolgere, nelle presentazioni iniziali, professionisti della cultura e dello spettacolo. Come è nato il contatto?
Proporre storiə è una provocazione a includere nelle scuole, nelle università, nei musei e nei luoghi di cultura non una narrazione, ma tante (per esempio non solo letteratura italiana bianca e sacralizzata a scuola, ma magari capitoli e lezioni sul nuovo italiano, sulla letteratura di seconda generazione, per citare un aspetto). E dunque Vera Gheno è stata una citazione sinaptica e spontanea – ho divorato la sua bibliografia e ci conosciamo da qualche anno, quando l’ho invitata come docente a un’academy di studi di genere. Fabio Canino, icona televisiva del mondo LGBTQIA+ e indefesso battagliere di diritti civili, ha curato la presentazione, ed è un personaggio di una generosità, sagacia, umanità, disponibilità ed empatia sorprendente. Ci conosciamo da anni, da intrecci di amicizie che hanno intessuto stima e amicizia reciproca.
Ribaltare l’idea di insegnamento secondo Giosuè Prezioso
La formula del libro si presenta sin da subito come un testo interattivo, coinvolgente, stimolante. Questo approccio dalla tua esperienza di docente?
Quando mi sono specializzato all’Università di Harvard in Università e Formazione, mi hanno colpito due aspetti della nuova idea di insegnamento: quello dell’unlearning e quello del facilitatore. Il primo concetto è rivoluzionario, mette in discussione l’idea che a scuola (così come all’università) si debba per forza imparare. Noi, come docenti, abbiamo di conseguenza l’idea che dobbiamo essenzialmente insegnare. Al contrario, l’unlearning dedica del tempo a mettere in discussione quello che abbiamo già imparato, consapevolizzando.
In che senso?
Tutti, per esempio, abbiamo imparato che l’arte ha tanti maestri, come dimostra la questione di Michelangelo, Leonardo, Van Gogh o Picasso; l’unlearning ti propone una narrazione critica, che inserisce nuove variabili (donne, persone non bianche, persone con disabilità, ecc.), che ri-semantizzano l’apprendimento in chiave più profonda, critica e laterale.
E per quanto riguarda il facilitatore?
Ci sono docenti di Harvard che preferiscono impiegare questo termine – al posto dei più convenzionali docente, professore, insegnante – per evocare uno scenario diverso, in cui innanzitutto i discenti vengono considerati possessori di conoscenza pregressa e vanno maieuticamente coinvolti a tirarla fuori (elicitazione); dall’empowerement di quello che gli studenti hanno condiviso, il facilitatore presenta casi e poi evidenze che costruisce di concerto con la classe, fornendo una vera e propria facilitazione virtuosamente circolare, piuttosto che una lezione frontale o un soliloquio docente>classe. Il mio libro si basa su questa pratica: cosa ne sai di…? Bene, la tua esperienza ci fornisce una strada; sapevi che…? E insieme, scrittore e lettore, scriviamo insieme una nuova storia – anzi, storiə.
Il panorama, dati alla mano, è ben delineato, non di facile e veloce mutamento, eppure cosa possiamo auspicare e sperare? E cosa possiamo fare?
Avendoli citati, farei lo spoiler di almeno tre dei dati più allarmanti che emergono dal libro: l’89% delle opere acquistate dai musei è di uomini; del rimanente 11% (rappresentato da donne), solo il 3.3% è rappresentato da donne non bianche. Solo l’1.67% degli articoli pubblicati in ambito artistico nel mondo fa riferimento alla comunità LGBTQIA+. Solo il 5.5% circa di chi lavora nell’arte è rappresentato da persone con disabilità.
Nonostante abbia fatto lo spoiler di alcuni dati prima, non persevererò nella pratica e mi riservo di approfondire nel libro, ma un auspicio sì, quello ce l’ho: che tra qualche tempo non si insegni più ‘storia’ ma ‘storie’ o ‘storiə’ a scuola e all’università – così come religioni, musiche, letterature, ecc.
Annalisa Trasatti
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