Falsi d’autore e copie “ad arte”
La differenza tra falsi, riproduzioni, copie e repliche può sembrare un mero esercizio di stile. In realtà, le differenti caratteristiche di autenticità e originalità delle opere hanno conseguenze rilevanti in tema di tutela dei diritti d’autore. E, forse, ripercussioni sul mercato dell’arte.
Uffici, sale d’aspetto e salotti di casa spesso ostentano (è il caso di dirlo) capolavori di van Gogh, Klimt o Caravaggio. Sono i cosiddetti “falsi d’autore”: riproduzioni di opere note non solo pittoriche, ma più in generale figurative, eseguite da artisti contemporanei che ne rilasciano contestualmente una certificazione di non autenticità.
Nonostante i puristi storcano il naso, il mercato dei falsi d’autore dichiarati è in costante crescita, tanto da meritare una tutela legale all’interno del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Non rientrano infatti nell’ipotesi di contraffazione la vendita o la diffusione di copie di opere di pittura, scultura o grafica (ma anche di copie di oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico), dichiarate espressamente non autentiche all’atto dell’esposizione o della vendita.
La disciplina legale garantisce la tutela solo alle riproduzioni per le quali si dichiari la non autenticità, quindi? Non proprio. Nel caso di sculture ottenute da calco originale a opera non dell’autore ma di terzi e poi esposte come originali, l’autorità giudiziaria italiana ha ritenuto che non si trattasse di attività illecita, poiché le sculture erano state ottenute da calchi originali e “la riproduzione da parte del detentore legittimo della matrice non configura alcuna falsificazione, giacché l’opera resta autentica” (Cass. Civ., n.29/1996).
L’esame delle eccezioni non sarebbe completo se non si citassero quelle particolari opere cosiddette “sosia” (quelle realizzate da Mike Bidlo, ad esempio): capolavori riprodotti alla perfezione, differenti dall’originale solo nel titolo e perché dichiarati come propri dall’artista realizzatore.
Fin qui, solo un elenco di casi “strani”, se non fosse per le naturali conseguenze legali che tali ipotesi hanno relativamente alla tutela del diritto d’autore.
Gli autori detengono infatti, oltre ai diritti morali, anche diritti economici di sfruttamento della propria opera. Tra questi, il diritto di seguito: l’autore ha diritto a ricevere una percentuale sul prezzo pagato per l’opera nelle vendite successive alla prima cui partecipi come venditore, acquirente o intermediario un professionista del mercato dell’arte (dal 4% allo 0,25% del corrispettivo pattuito, a seconda dei diversi scaglioni di valore). Tale diritto non è rinunciabile e dura per tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dopo la sua morte a favore degli eredi.
La legge specifica che le opere alle quali si applica il diritto di seguito sono gli originali delle opere delle arti figurative e dei manoscritti, purché si tratti di creazioni eseguite dall’autore stesso o di esemplari considerati come opere d’arte e originali, e le copie delle opere delle arti figurative prodotte in numero limitato dall’autore stesso o sotto la sua autorità, purché siano numerate, firmate o altrimenti debitamente autorizzate dall’autore.
Passa attraverso l’attribuzione della qualifica di originali, pertanto, l’attribuzione all’autore del diritto di seguito. Questione non di poco conto, se si pensa che l’autorità giudiziaria francese ha riconosciuto la tutelabilità di opere d’arte concettuale (il caso concreto riguardava l’opera Standing open structure white di Sol LeWitt) soltanto se accompagnate da certificati di autenticità rilasciati dall’autore, unico atto che conferisce “un certo valore venale a un bene all’apparenza comune […] raramente realizzato dall’artista stesso” (CA Paris, n.1998/05423).
Seguendo tale orientamento, dunque, non beneficerebbe del diritto di seguito l’autore di un’opera di arte concettuale che non avesse rilasciato per la stessa un certificato di autenticità. Spingendosi solo un poco più in là nel ragionamento, potrebbe essere negata la tutela del diritto di seguito anche agli autori di “opere sosia”, poiché sprovviste di una peculiare “originalità”.
La questione non è insignificante: ove non corrisposto il compenso relativo al diritto di seguito, posto a carico del venditore, è prevista quale sanzione la sospensione dell’attività professionale/commerciale per il professionista del mercato dell’arte da 6 mesi a 1 anno e una sanzione amministrativa fino a € 5.000 circa.
Claudia Balocchini
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