Governance e cultura
Irene Sanesi è dottore commercialista ed esperta in economia della cultura. Gestionalia è la sua rubrica su Artribune Magazine. L’obiettivo? Aumentare il quoziente di “cultura della gestione” nel mondo delle arti. I destinatari? Tutti i nostri lettori, ma soprattutto chi gestisce enti o imprese culturali. Qui troveranno la loro cassetta degli attrezzi.
La governance, entrata nel linguaggio comune, ha un significato polisenso: trova le sue origini negli studi anglosassoni di scienze sociali e politiche, per essere poi adottata dagli economisti per rappresentare il modo di governo di soggetti economici complessi. Il termine viene usato anche per indicare nuovi modelli caratterizzati da forme di cooperazione e interazione che costituiscono un sistema o strumenti e processi decisionali aperti (informazione, inclusività, trasparenza). Gli esempi non finiscono qui: le differenze si sostanziano, più che sulla traduzione linguistica della parola, sulla sua declinazione e aggettivazione (corporate, state, good ecc.).
Il termine ‘governance’, riferito a un’impresa culturale (date la sua missione e attività), indica il suo modello di governo, significandone da un lato la veste giuridica e, dall’altro, la struttura organizzativa, senza perdere di vista il grado di autonomia decisionale (potere reale del management) e la chiara suddivisione dei ruoli degli stakeholder coinvolti. In pratica, la governance definisce “come” verrà attuata la gestione dell’ente culturale e a quali principi sarà ispirata. In particolare si evidenziano i più significativi:
– qualità
– efficacia
– semplificazione
– cooperazione
– accountability
Parrebbero assenti parole quali ‘economia’, ‘efficienza’, ‘status giuridico’, le quali si trovano invece “dissolte” nell’enunciazione suddetta, secondo un approccio che cerca di rispondere alle istanze di una società sempre più complessa e articolata, dove i modelli gerarchici appaiono superati.
Ci concentriamo sul significato delle ultime tre parole, ipotizzando che qualità ed efficacia siano sufficientemente comprensibili.
Semplificazione: in contesti giuridici di crescente soft law, punta a sburocratizzare meccanismi normativi e legislativi particolarmente frenanti (un esempio: si riconosce il ruolo indispensabile dei privati, ma non si snelliscono le procedure per il sostegno).
Cooperazione: intesa sia come tendenza a diffondere buone pratiche condivise, sia come spazio per forme di co-regolamentazione (si pensi alla portata innovativa dei Criteri tecnico-scientifici e standard per i musei, che dalla loro introduzione hanno alimentato dibattiti, pubblicazioni, analisi d’impatto delle normative di settore, e che oggi andrebbero coraggiosamente rivisti alla luce di parametri “aggiuntivi” quali l’etica e gli intangibili).
Accountability: la capacità di comunicare le decisioni intraprese (accountable) e di farlo ponendo attenzione ai portatori di interesse (responsibility). Rendere conto, semplicemente. Se vi sembra poco…
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #3
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