Bilancio, economicità, cultura
Torna la rubrica “Gestionalia” di Irene Sanesi. E torna la questione del profilo economico degli enti culturali di piccole dimensioni. Dove quel che conta non è tanto il saldo finale, ma il processo che ha portato a quel numero, sia esso negativo o positivo.
Salvo casi di enti culturali di piccole dimensioni, che potranno adottare sistemi di rilevazione finanziaria (entrate/uscite), la modalità più consona per rappresentarne lo stato di salute e l’identità è il bilancio per competenza economica. In linea anche il vademecum ministeriale: “Ciò che rileva è la effettiva presa in considerazione delle voci di costo e ricavo afferenti ciascuna attività, debitamente assegnate all’esercizio di competenza e adeguatamente quantificate. La struttura di conto economico è rilevante per comprendere, in linea di massima, l’orientamento della gestione e il livello di sostenibilità”.
Anche nel mondo anglosassone si riscontra un impianto contabile che si uniforma al criterio della competenza economica, laddove il cash flow è utile ma inessenziale, perché la liquidità dell’organismo gestore non è un obiettivo in questo campo, mentre diventa decisivo il conto economico e il conto delle fonti e degli usi delle risorse.
Altra cosa è il principio di economicità, tipico delle imprese e fondato sulla grandezza del reddito, e che, pur essendo legato al principio di competenza economica, dovrebbe indicare nel contesto culturale (nel caso della gestione istituzionale) la capacità di un’organizzazione di perdurare nel tempo, senza incorrere in situazioni di insolvenza o dissesto. L’apprezzamento dell’economicità dovrebbe, parimenti, trovare applicazione nelle gestioni accessorie e tipicamente commerciali (si pensi al bookshop museale). Un principio, l’economicità, che in ambito culturale non deve restrittivamente riferirsi a un rendimento diretto (dell’investimento effettuato rispetto al corrispondente livello di rischio), ma che può ispirarsi anche agli effetti di una resa indiretta (connessa ai riflessi positivi prodotti in aree diverse) o immateriale (legata ai ritorni d’immagine, reputazione ecc.).
L’obiettivo della gestione, dunque, non è esclusivamente quello di rilevare il risultato finale (avanzo/disavanzo) quanto cogliere il processo che ha alimentato quel risultato, possibilmente inserendolo in una prospettiva di medio-lungo termine, che possa coincidere con il consolidamento di un marchio e di una reputazione dell’ente culturale. In altre parole, diventa fondamentale comprendere “come” si è generato il risultato d’esercizio, anche qualora si tratti di risultati positivi, poiché un conto sono le risorse “risparmiate”, altro quelle “impiegate”.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7
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