Se con le chiese vien giù anche la cultura. L’Imu e gli enti non profit
La disciplina in materia di vecchia Ici e oggi Imu è stata recentemente innovata dal Governo Monti. La normativa, al centro di forti polemiche relativamente alla sua applicazione agli enti ecclesiastici, ha conseguenze rispetto a tutti gli enti non profit.
L’imposta comunale sugli immobili (Ici, oggi Imu) deve essere pagata da tutti coloro che hanno il possesso di un immobile e sono quindi soggetti passivi dell’imposta secondo la legge.
Fino a quest’anno erano esenti dall’imposta comunale gli immobili utilizzati da enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e attività dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana, così come stabilito dalla lettera a) dell’articolo 16 della legge 20 maggio 1985, n. 222.
In parole povere, non dovevano pagare l’Ici gli enti non profit (che quindi non hanno come attività principali quelle commerciali) che impiegano direttamente ed esclusivamente un immobile per attività (tra le altre) culturali, didattiche e/o ricreative.
Il Governo Monti, con la legge di conversione del Decreto Legge n. 1/2012, ha modificato le ipotesi di esenzione aggiungendo il requisito necessario che le attività vengano svolte con modalità non commerciali. Quindi anche se l’ente è non profit e impiega un immobile per le proprie attività culturali (oppure didattiche oppure ricreative) pagherà comunque l’Ici/Imu nel caso in cui dovesse svolgerle con modalità commerciali.
Cosa si intenda per modalità commerciali è stato chiarito da un regolamento che ha indicato i parametri in base ai quali stabilire se le modalità di svolgimento sono commerciali o no. Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se:
a) l’attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni;
b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio;
c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.
Lo svolgimento di attività culturali e attività ricreative si ritiene effettuato con modalità non commerciali se sono svolte a titolo gratuito oppure dietro versamento di un corrispettivo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale.
Infine, va precisato che qualora l’immobile abbia un’utilizzazione mista, l’esenzione si applicherà solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale.
Per chiarire, si pensi all’ipotesi in cui un ente non profit impieghi un immobile di cui ha il possesso per una parte per le proprie attività istituzionali (di tipo culturale) con modalità non commerciali e per un’altra parte per attività (anche culturali) svolte con modalità commerciali: solo la prima parte sarà esente dall’imposta.
Al fine di applicare correttamente l’imposta sarà quindi necessario identificare gli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente alle attività svolte con modalità non commerciali. Nel caso in cui non sia possibile individuare una frazione o porzione di immobile esattamente, l’esenzione si applicherà in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione presentata dal soggetto passivo d’imposta.
Claudia Balocchini
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