Gli utili sociali e il Terzo Settore
Il disegno di legge sulla riforma del Terzo Settore varato dal Governo in questi giorni prevede interventi su più punti, tra i quali il rilancio della figura dell’impresa sociale. L’intenzione sembra essere quella di rendere più interessante tale strumento, consentendo anche nel caso del non profit una divisione degli utili, normalmente vietata.
Come era già stato evidenziato in uno dei precedenti contributi, possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni private che esercitano in via stabile e principale un’attività economica che sia organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, nonché le organizzazioni che, sebbene non operano nei settori sopra indicati, esercitano attività di inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati e/o disabili, purché siano rispettati alcuni requisiti previsti dalla normativa.
Tale disciplina era stata introdotta con il decreto legislativo 155/2006, ma ad otto anni dall’introduzione di tale nuovo soggetto nell’ordinamento, sono nate solo 852 imprese sociali.
Ciò che ha molto probabilmente contribuito al mancato successo di questo schema giuridico è non solo la mancata armonizzazione del sistema fiscale collegato a questa specifica forma giuridica (che non prevede alcuna misura di agevolazione fiscale a differenza delle altre figure no-profit), ma anche l’insieme di procedure e valutazioni previste in caso di operazioni straordinarie e la questione relativa ai controlli cui assoggettare tali enti.
La normativa attuale inoltre non riconosce incentivi fiscali a queste imprese, e impone loro una serie di vincoli, tra cui il divieto di distribuire utili e avanzi di gestione, anche in forma indiretta.
Il Governo ha pertanto individuato in tale figura giuridica una lacuna alla quale provvedere mediante una riforma. Secondo quanto indicato nel disegno di legge, quindi, le imprese sociali potranno ripartire gli utili tra i propri soci, seppur “nel rispetto di condizioni e limiti prefissati”.
Inoltre è previsto che anche le imprese sociali potranno beneficiare delle stesse misure delle start-up innovative: raccogliere capitali tramite internet, molto probabilmente attraverso appositi strumenti di crowdfunding.
Infine, è previsto l’ampliamento dei campi di attività delle imprese sociali e l’individuazione dei limiti di compatibilità con lo svolgimento di attività commerciali diverse da quelle di utilità sociale.
Il progetto del Governo prevede anche l’introduzione di misure fiscali per favorire gli investimenti di capitale nelle imprese sociali. Per finanziare gli enti non lucrativi, la delega punta anche a favorire la diffusione di “titoli di solidarietà” e altre forme di finanza sociale (come ad esempio i social bond, già esistenti, vale a dire titoli a rendimento garantito con una quota destinata a un soggetto del Terzo Settore).
Sarà solo con l’approvazione della legge delega e dei successivi decreti legislativi che sarà però possibile comprendere al meglio come tutte le innovazioni annunciate saranno declinate all’interno del sistema e secondo quali modalità.
Claudia Balocchini
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