Adottare un monumento: dono o sponsorizzazione?
“Dopo gli sgravi fiscali offerti non ci sono più alibi. Aspetto ora la risposta dai privati”: sono le parole del ministro Franceschini agli stati generali della cultura del Sole 24 Ore. Il coinvolgimento dei privati - da intendersi latamente, sia come private che come corporate - ha prodotto di recente casi esemplari…
Dopo il gruppo Tod’s per il Colosseo, altri tre brand della moda si sono fatti avanti: Bulgari che “adotta” la scalinata di Trinità dei Monti, Fendi che restaura la Fontana di Trevi e Diesel che sponsorizza i lavori di restauro del Ponte di Rialto. Al di là del messaggio mediatico univoco che punta l’attenzione sul valore simbolico dell’investimento in arte, gli interventi in oggetto corrispondono a forme di coinvolgimento giuridiche e fiscali differenti.
Sono due le considerazioni che emergono dalla lettura di questo fenomeno. In primo luogo, assistiamo a modi di operare che sottendono scelte diverse: Diesel ha siglato un contratto di sponsorizzazione pura per i lavori di restauro del Ponte di Rialto, mentre gli interventi di Tod’s e Fendi sono erogazioni liberali e Bulgari è riconducibile all’adozione di un monumento.
Una casistica che merita un commento è la cosiddetta “adozione di un monumento”, in altre parole il caso Bulgari. Si tratta di una modalità puramente descrittiva di un fenomeno fattuale, che non è riconducibile a uno specifico negozio giuridico. Si dovrà dunque, caso per caso, verificare i termini dell’accordo, valutando se rientra in una prestazione onerosa con natura corrispettiva (sponsorizzazione) o piuttosto di un atto di puro mecenatismo (erogazione liberale), ferma restando la possibilità del pubblico ringraziamento. L’elemento distintivo della sponsorizzazione è la natura di negozio oneroso a prestazioni corrispettive: si tratta di un contratto soggetto a Iva, in quanto l’attività è considerata commerciale, la cui controprestazione dovrebbe essere un ritorno di natura pubblicitaria. In buona sostanza Diesel, avendo partecipato alla procedura selettiva per l’individuazione di uno sponsor, è stata in grado di negoziare con la P.A. i contenuti della controprestazione pubblicitaria. Il condizionale è d’obbligo in quanto la Cassazione, in sentenze recenti, sta assimilando le spese di sponsorizzazione non alle spese di pubblicità ma a quelle di rappresentanza, deducibili se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità in funzione della loro natura e del volume dei ricavi caratteristici dell’impresa. Nel caso del cosiddetto puro mecenatismo, le erogazioni liberali si distinguono per la loro gratuità. La fonte da cui queste traggono origine pertanto è, tipicamente, la volontà del soggetto erogante (animus donandi).
In secondo luogo, osservando le dichiarazioni rilasciate ai media dai brand della moda, sono marcate le diverse finalità. Renzo Rosso, patron di Diesel, avrà valutato nelle controprestazioni la possibilità di utilizzare, oltre alla fama internazionale dell’icona veneziana, l’utilizzo di spazi quali Palazzo Ducale e piazza San Marco per la realizzazione di eventi del brand. Per l’adozione di Trinità dei Monti a cura del marchio Bulgari, il sindaco di Roma sottolineava orgoglioso “niente sponsorizzazioni ma solo puro mecenatismo”, così come Fendi finanziava il restauro della Fontana di Trevi “senza chiedere nulla in cambio, sarà puro mecenatismo culturale”. Il dividendo estetico, reputazionale e d’immagine è comunque alto, al di là della modalità prescelta, e non è un caso che i marchi della moda continuino a inserire l’investimento in cultura nella loro pianificazione strategica. Ancora una volta in Italia dobbiamo porre attenzione agli aspetti normativi e burocratici: i tempi e le relazioni fra uffici sono fondamentali per non perdere attrattività, così come la chiarezza normativa. Lungaggini burocratiche e incertezze interpretative sono lussi che non possiamo permetterci. Al di là dell’art bonus.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #21
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