Appropriazione e fair use: quando gli artisti vanno in tribunale
L’appropriazione di un particolare oggetto per ricontestualizzarlo nell’ambito di un gesto artistico è protetta dal diritto d’autore nel suo risultato finale. Ma cosa succede quando l’appropriazione ha come oggetto una precedente opera d’arte? La nuova opera necessita dell’autorizzazione da parte del “primo” autore? Approfondiamo insieme.
“Un bravo artista copia, un grande artista ruba”
Pablo Picasso
La legge italiana sul diritto d’autore prevede il diritto esclusivo dell’autore di elaborare l’opera, diritto che “comprende tutte le forme di modificazione, elaborazione e di trasformazione dell’opera” (art. 18). Sulla base di questa norma, l’appropriazione di una precedente opera dovrebbe essere autorizzata dall’autore dell’opera originaria.
In Italia il Tribunale di Milano ha avuto modo di pronunciarsi sul tema (Tribunale di Milano, ord. 13 luglio 2011) sulla domanda di tutela proposta dalla Fondazione Giacometti contro l’artista americano John Baldessari e la Fondazione Prada. Quest’ultima aveva presentato, all’interno dei propri spazi espositivi, le opere dell’artista Baldessari intitolate The Giacometti Variations, forme scultoree con riferimento evidente alle silhouette del celebre artista italiano, ma ripetute più volte, ingigantite e “vestite” da tessuti di colore vivace e da accessori. La Fondazione Giacometti riteneva che le opere di Baldessari costituissero una rielaborazione non autorizzata e lesiva dei diritti patrimoniali e morali dell’opera di Giacometti.
Il Tribunale di Milano ha affermato che l’intento parodistico di Baldessari nell’utilizzo delle opere di Giacometti non rendesse le opere esposte alla Fondazione Prada lesive dei diritti morali dell’artista italiano. La sentenza ha utilizzato nel proprio iter logico alcuni dei criteri di analisi elaborati dalla giurisprudenza statunitense, molto più consolidata in materia: le opere di Giacometti e quelle di Baldessari sono state esaminate dal giudice della causa dal punto di vista del significato che i due artisti avevano voluto assegnare alle stesse, sulla base della cosiddetta parody defence.
In effetti la giurisprudenza americana ha basato decisioni simili sul fair use (uso giusto) di opere di altri autori – quindi protette – utilizzando la previsione della Sezione 107 del Copyright Act: “In deroga alle disposizioni delle sezioni 106 e 106A, l’uso equo di un’opera protetta da copyright, tra cui ad esempio la riproduzione in copie o registrazioni telefoniche o con qualsiasi altro mezzo specificati da quella sezione, per fini di critica, recensione, informazione, insegnamento (comprese copie multiple per l’uso in classe), studio o ricerca, non è una violazione del diritto d’autore”. Su tale articolo la giurisprudenza ha elaborato un test che considera quatto fattori, al fine di determinare se l’uso di un’opera precedente costituisca fair use:
- la finalità e la natura dell’uso, valutando se tale uso sia commerciale o se abbia invece una finalità educativa non lucrativa;
- la natura dell’opera autoriale;
- la quantità e l’importanza della parte dell’opera utilizzata rispetto all’opera intera;
- l’effetto dell’uso sul mercato potenziale o sul valore dell’opera utilizzata.
Utilizzando tali criteri interpretativi, nel caso dell’uso da parte di Jeff Koons di una fotografia di Art Rogers (una fotografia in bianco e nero di una coppia seduta su una panchina con in braccio otto cuccioli) per realizzare una scultura String of puppies estremamente somigliante (vi erano solo alcune differenze: i colori della scultura – in particolare, il blu per i cuccioli –, il naso sproporzionato degli animali, i fiori nei capelli della coppia).
L’opera di Koons fu un successo da un punto di vista commerciale e Rogers aveva citato in giudizio Koons e la Sonnabend Gallery, che lo rappresentava, per violazione del diritto d’autore. Koons replicò che si trattava di un’ipotesi di fair use per l’intento parodistico che caratterizzava la sua opera. Tuttavia, la Corte americana investita della questione rigettò la difesa di Koons in quanto la scultura non era volta a parodiare direttamente l’opera di Rogers, bensì costituiva una parodia della società da un punto di vista più generale.
Il Tribunale di Milano considera che per tratti, dimensioni, materiali, forme delle sculture di Baldessari rispetto a quelle di Giacometti, l’intervento dell’artista statunitense appare consistente, mentre anche l’utilizzo dell’immagine della donna di Giacometti appare drammaticamente trasformato, dalla magrezza e dall’espressione tragica del dopo-guerra, all’espressione estatica della donna magra, non per le privazioni del conflitto bellico, ma per le esigenze severe della moda. In conclusione, quindi, la trasformazione sussiste, sia in senso materiale che concettuale, e il risultato è un’opera creativa, dotata di un proprio autonomo valore artistico la cui esposizione non deve essere inibita.
Claudia Balocchini
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