L’origine del mondo secondo Facebook
Il social network guidato da Mark Zuckerberg è stato citato in giudizio da un utente francese. La ragione? La chiusura del suo account dopo che aveva postato “L’origine del mondo” di Gustave Courbet. Opera che, per i criteri del sistema, avrebbe violato i limiti della comune decenza.
Nel febbraio 2011, Facebook ha censurato L’Origine du monde dopo che era stato pubblicato sulla bacheca del proprio profilo da Frode Steinicke, artista di Copenhagen, per illustrare i suoi commenti su un programma osé della televisione danese. A seguito dell’incidente, molti altri utenti di Facebook in segno di protesta hanno cambiato le immagini del profilo con la fotografia dell’opera di Gustave Courbet solidarizzando con Steinicke. Facebook, che originariamente aveva disabilitato il profilo di Steinicke, alla fine lo ha riattivato, ma senza la foto che aveva creato l’incidente.
Nell’ottobre 2011 è stata la volta di un utente parigino: anche lui è stato colpito da provvedimenti di disabilitazione del profilo Facebook. L’uomo, senza alcun preavviso o spiegazione, si è trovato da un giorno all’altro con il proprio account disattivato. Il provvedimento era stato preso dopo che l’utente aveva postato la foto dell’opera L’Origine du monde come collegamento a un programma televisivo sulla storia della pittura in onda sul canale televisivo Arte.
Poiché l’utente non ha avuto alcuna risposta alle sue e-mail di richiesta di spiegazioni e di protesta dirette a Facebook, ha presentato denuncia contro la società californiana al Tribunal de grande instance di Parigi per “violazione della libertà di espressione” (con la richiesta di risarcimento di 20mila euro) e contro la legittimità delle condizioni di Facebook che definiscono i tribunali situati nella contea di Santa Clara, in California, il luogo esclusivo di giurisdizione per tutte le richieste giurisdizionali.
Il colosso americano si è infatti difeso indicando la competenza esclusiva dei giudici californiani a decidere delle controversie relative a Facebook: l’utente accetta, registrandosi sul sito, i termini e le condizioni del servizio inclusa la clausola che destina esplicitamente tutte le controversie ai giudici della California, pertanto tale clausola – è stata la difesa degli avvocati del social network – è legittima in quanto espressamente accettata.
Il giudice francese ha però stabilito di avere l’autorità per occuparsi dello specifico caso di censura, con conseguente blocco del profilo dell’utente, nei confronti di un cittadino francese, sorpassando la presunta giurisdizione extraterritoriale californiana. Adesso spetterà ai giudici approfondire il tema sull’effettiva riconducibilità alla pornografia di un’opera d’arte esposta in uno dei più grandi musei del mondo: Facebook non distinguerebbe, sono parole dell’avvocato dell’utente, tra ciò che è pornografia e ciò che indiscutibilmente dal 1886 è un’opera d’arte “mostrata ai bambini tutti i giorni presso il Musée d’Orsay”.
Il confine sottile fra libera espressione creativa e pornografia in presenza di nudità è stato un problema anche per la giurisprudenza italiana, trovatasi a decidere in materia principalmente per la rilevanza penale conseguente al considerare pornografia o meno un’opera.
Quasi dieci anni fa il Tribunale di Chieti ha per esempio dovuto valutare se foto di nudo fossero pornografiche o meno distinguendo concettualmente la fattispecie di “nudo artistico” (il giudice ha definito immagini di “nudo artistico” solo quelle nelle quali l’oggetto dell’immagine è il corpo umano, considerato nella sua essenza, e non quale mera espressione di istinti sessuali). Per il giudice dunque hanno natura pornografica le immagini ritraenti persone – integralmente o parzialmente nude – “espressione di concupiscenza sessuale” (Trib. Chieti, sent. 8/11/2006).
In realtà la Corte di Cassazione, in tempi più risalenti (Cass. penale, 3/2/1984), aveva enucleato un pensiero più strutturato, evidenziando che la presenza di nudità non determina automaticamente l’esistenza di profili pornografici dovendo il valore artistico di un’opera essere riferito al suo complesso (nella specie un film era stato ritenuto osceno e pertanto pornografico “poiché l’interpretazione data dagli attori, la scelta delle inquadrature, il colore, gli ambienti e quanto altro non potevano, in tale situazione, determinare alcun apprezzabile risultato estetico neppure sul piano formale, posto che l’integrità espressiva presuppone una chiarezza epifanica dell’oggetto considerato, ben lontane dalla banalità e dal cattivo gusto del kolossal porno”).
Pertanto, seppur successiva a orientamenti già consolidati in giurisprudenza e seppur basata su una questione evidentemente paradossale, la sentenza che verrà emessa dal giudice francese su Facebook rischia di essere un decisione epocale soprattutto per le relative conseguenze in tema di libertà di pubblicazione e connessa (dubbia) interpretazione di un sistema di tecnologie su risultati estetici ed artistici di un’opera.
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