Quando il colore della cultura è il verde
La sensibilità ma anche la consapevolezza ecologica dell’opinione pubblica non sono da sottovalutare. Un ente culturale che sposa il tema ambientale persegue obiettivi importanti. Che vanno gestiti.
La sensibilità ma anche la consapevolezza ecologica dell’opinione pubblica non sono da sottovalutare. Un ente culturale che sposa il tema ambientale persegue obiettivi importanti: da un lato fa emergere la propria vocazione ecologica sia interna (verso lo staff) che esterna (verso i portatori di interesse); dall’altro avvia una policy comunicativa distintiva.
Comunicare eco-friendly significa fare una scelta “di parte”, volendo intercettare un pubblico più o meno esteso in funzione delle azioni adottate. Possono essere individuate modalità leggere (nell’ambito di una mostra, per esempio, comunicando che gli allestimenti sono realizzati con materie riciclate) o incisive (nel caso in cui si adotti una campagna di comunicazione culturale green).
La dimensione ambientale può essere una “mediazione” di valori o diventare uno degli obiettivi della missione capace di incuriosire i non-pubblici, probabilmente già educati al macrotema della sostenibilità. Con la conseguenza di ridurre i “costi di attivazione” che la decisione di primo accesso spesso comporta. Per questo è interessante introdurre politiche e azioni di impatto ambientale nell’ambito delle istituzioni culturali e non solo come sana consuetudine.
Le buone pratiche si “sprecano”: dall’adesione a iniziative di sostenibilità (come la giornata nella quale si spengono le luci un’ora prima della normale chiusura) o a standard ambientali (per esempio la certificazione 14.001) alla presenza nello staff di figure operanti in materia di tutela ambientale (con l’individuazione di un responsabile per la gestione e il monitoraggio degli aspetti e del “rischio” ambientale), dalla verifica dell’impatto degli impianti (tecnologici, informatici ecc.) a quella sui servizi (dai rifiuti ai trasporti alle forniture) e sull’acquisizione delle materie prime (dalla carta all’energia, all’acqua), fino alla progettazione di spazi come i bookshop museali con prodotti km 0. Il pubblico e l’accountability apprezzerebbero senz’altro.
Non pensiamo che l’alfabeto del consumo consapevole e della spesa responsabile per le istituzioni culturali siano solo procedure difficili da attuare. La sostenibilità è un habitus mentale, un’abitudine quotidiana: al posto delle bottiglie di plastica una caraffa d’acqua.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati