Cultura e diritto. Le associazioni
In campo culturale, la forma giuridica dell’associazione è uno degli strumenti più usati per avviare un’attività. Ma non è tutto così semplice come sembra. Ecco i dettagli.
Quante volte nel vostro percorso avete incrociato (o costituito) associazioni che operavano di fatto come società di servizi, rivolgendosi al mercato e contando su una parte di contributi pubblici o assimilati tali?
Nello stesso cammino vi sarete imbattuti in un dedalo di scelte (spesso difficili e soprattutto prive di strumenti di preventiva analisi) relativamente agli aspetti fiscali, economici, finanziari, del lavoro ecc. che compromettono la qualità progettuale ed espongono l’impresa (perché di questo si tratta) culturale a un rischio di perenne precariato per sé e per i suoi operatori.
E non si tratta di attribuire colpe a qualcuno, quando in verità è il sistema che non funziona. La forma giuridica dell’associazione rappresenta, da sempre, in ambito culturale, la modalità più semplice e utilizzata per avviare un’attività: facile da costituire (senza l’obbligo di una scrittura autenticata o di un atto notarile), fiscalmente agevolata (nella misura in cui i ricavi istituzionali – non tassati – rappresentano la parte principale delle entrate), medium di comunicazione e attrazione verso i contributi pubblici e delle fondazioni bancarie.
Non è tutto oro quello che luccica, però.
LIMITI E ALTERNATIVE
L’associazione, senza il riconoscimento della personalità giuridica, espone il Consiglio di Amministrazione a una responsabilità patrimoniale piena; le attività della stessa dovrebbero essere rivolte agli associati in via prevalente, lasciando ai margini il mercato e il profilo commerciale; gli associati (e in particolare gli amministratori) che in genere operano (leggi lavorano) per l’associazione, non senza iperboliche soluzioni, hanno la possibilità di vedersi riconosciuto un valore (leggi stipendio) per il proprio lavoro, in un perimetro giuslavoristico che non offre flessibilità né opportunità a un settore ad alta specializzazione quale la cultura.
Allora una s.r.l. (società a responsabilità limitata), magari semplificata, potrebbe essere la soluzione? In realtà, i vantaggi che potrebbero essere acquisiti da una diversa forma giuridica rispetto all’associazione riguarderebbero alcuni aspetti ma non tutti (in primis l’apertura al mercato e alle attività commerciali, insieme alla responsabilità limitata degli amministratori). Probabilmente molte realtà potrebbero trovare legittimazione e consenso con la s.c.r.l., la società cooperativa a responsabilità limitata. Quello che resta centrale è l’istanza imprenditoriale sottesa: anche la cultura è impresa!
Per questo attendiamo fiduciosi la nuova ipotesi giuridica di impresa culturale.
– Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #35
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