Plagio e opere d’arte. Il caso Vedova-De Lutti
La Cassazione si è espressa in merito al plagio delle opere di Emilio Vedova da parte di Pierluigi De Lutti. Condannando quest’ultimo e la sua galleria al risarcimento di 300mila euro alla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova.
È giunta finalmente a termine la vicenda del plagio delle opere di Emilio Vedova da parte di Pierluigi De Lutti, esposte e commercializzate nel 2007 da una galleria d’arte. La Corte di Cassazione (sentenza del 26 gennaio 2018, n. 2039) ha confermato quanto già accertato sin dai precedenti gradi di giudizio, ovvero che alcune opere realizzate dall’artista De Lutti e rientranti nella corrente della cosiddetta Arte Informale sono un plagio delle opere di Vedova. Di conseguenza De Lutti, insieme alla galleria d’arte, sono stati condannati a risarcire il danno subito dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova liquidato in 300mila euro.
In linea generale il plagio si realizza quando un autore riproduce, in tutto o in parte, gli elementi creativi di un’opera altrui, così da ricalcare in modo parassitario quanto da altri ideato ed espresso in una forma determinata. L’accertamento del plagio è un’operazione non sempre facile, che viene effettuata attraverso la comparazione dell’opera plagiata e di quella plagiaria, sulla base dei criteri indicati dalla Cassazione. Nel suo iter argomentativo la Corte ha affermato che, da una parte, l’opera plagiata deve essere creativa nel senso che deve consistere in una personale e individuale rappresentazione dell’autore, e che, dall’altra parte, l’opera plagiaria per essere tale deve appropriarsi degli elementi creativi dell’opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto creato ed espresso da altri autori.
“In linea generale il plagio si realizza quando un autore riproduce, in tutto o in parte, gli elementi creativi di un’opera altrui, così da ricalcare in modo parassitario quanto da altri ideato ed espresso in una forma determinata”.
Nel caso Vedova vs. De Lutti la Cassazione ha ritenuto corretto quanto già accertato nei precedenti gradi di giudizio, cioè che le opere di De Lutti erano pressoché sovrapponibili a quelle di Vedova: presentavano “identità di posizione dei piani, masse cromatiche, proporzioni” e “le minime diversità riscontrate, fuor che costituire segno di rielaborazione creativa, appaiono semplificanti o commerciali (come le minori dimensioni); quanto ai cd. dischi, la tecnica è la medesima, con ripetizione dei moduli stilistici privi di significato artistico diverso”.
Un altro passaggio interessante della sentenza della Cassazione è quello relativo al ruolo svolto dalla galleria d’arte, che ha commercializzato (esposto e venduto, anche tramite televendita) le opere plagiarie. La Corte ha confermato che la galleria è responsabile in solido con l’artista per i danni subiti dalla Fondazione Vedova, poiché – in quanto operatore professionale – la galleria deve adempiere a un dovere di specifica diligenza professionale e verificare che le opere poste in vendita non siano plagiarie.
Questo principio trova conforto normativo anche nel Codice dei Beni Culturali (D. Lgs. n. 42/2004, art. 64), che pone a carico di chi esercita l’attività di vendita al pubblico o di intermediazione nella vendita di opere d’arte l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione che ne attesti l’autenticità e la provenienza o, in mancanza, una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o sulla probabile attribuzione e provenienza.
‒ Raffaella Pellegrino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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