Diritto. Quando la fotografia è considerata arte?
Dal 22 al 25 marzo a Milano andrà in scena MIA Photo Fair, “la fiera internazionale d’arte dedicata alla fotografia”. Ma quali sono le regole, a livello di legge e diritto, in merito alla fotografia come opera d’arte?
La questione della possibile ontologica “artisticità” della fotografia fu aspramente discussa da pittori, poeti e intellettuali, che a fatica l’hanno fatta parte del mondo delle arti. Il legislatore, chiamato a dover stabilire la proteggibilità o meno dell’opera fotografica tramite diritto d’autore non trovò dunque gioco facile. Il diritto infatti il più delle volte non fa che ratificare quello che si è già affermato sul piano socio-culturale: se questo non è chiaro e univoco, la macchina legislativa va in tilt.
La fotografia vede la sua tutela autorale piena in Italia quindi solo alla fine degli Anni Settanta, con l’entrata in vigore del d.p.r. 8 gennaio 1979, n. 19 che modificò la Legge Autore del 1941.
Da quel momento la Legge Autore opera una distinzione tra la c.d. opera fotografica di carattere creativo (protetta ex art. 2) e la c.d. semplice fotografia, cioè quella priva del carattere creativo (protetta dagli artt. 87 e ss.). Mentre la prima è equiparata in tutto e per tutto alle altre opere dell’ingegno (il suo autore gode di tutti i diritti di cui agli artt. 12 e ss. Legge Autore, che durano per tutta la sua vita e fino a settanta anni dopo la sua morte), la seconda è tutelata tramite un diritto connesso della durata di venti anni.
Ma come si fa a stabilire quando una foto è creativa e dunque “opera fotografica” e quando non lo è? Per rispondere, bisogna chiedersi quali siano in generale i requisiti di protezione del diritto d’autore.
L’art. 1 stabilisce che sono protette “le opere dell’ingegno di carattere creativo”. E qui arrivano i problemi, come sempre accade quando le definizioni giuridiche fanno riferimento a concetti metagiuridici (il carattere creativo in questo caso).
Per sintetizzare al massimo, possiamo dire che esistono due orientamenti dottrinali/giurisprudenziali. Il primo richiede un livello di creatività c.d. “semplice”, o “basso”, presente in tutti i casi in cui l’autore abbia operato una scelta discrezionale all’interno di un numero sufficientemente ampio di varianti con cui esprimere un’idea. Il secondo richiede invece un livello di creatività “qualificato”, che si ha ad esempio quando l’opera rifletta la personalità dell’autore.
Si è discusso se per essere protetta un’opera debba possedere anche il requisito della c.d. “meritevolezza”, vale a dire se debba o meno avere un merito estetico. L’opinione oggi prevalente esclude che si possa esprimere un giudizio sulla meritevolezza estetica o di valore, anche per evitare discriminazioni tra le diverse opere dell’ingegno tutelabili.
“Una foto è “opera” quando l’autore non si limita, tramite lo strumento meccanico, a riprodurre la realtà, ma riesce a carpire dal dato reale ciò che corrisponde al suo personale modo di vederlo, sentirlo e interpretarlo“.
Torniamo alle fotografie. Qui il discorso sulla creatività si fa più complicato perché (ed è il motivo per cui la fotografia ha faticato prima di essere ammessa alla tutela autorale) l’immagine fotografica è in primis il risultato di un processo meccanico.
Eppure un occhio con un minimo di allenamento si rende conto quando è di fronte a un lavoro che va oltre la mera riproduzione della realtà, ma la rielabora secondo la personale weltanschauung del suo autore.
Ma come fa un malcapitato giudice a stabilire quando si è di fronte a un’opera fotografica o quando a una semplice fotografia, cioè a una semplice riproduzione della realtà? Il suo giudizio sulla creatività deve necessariamente ancorarsi a parametri che siano il più oggettivi possibile; ma è evidente che, trovandoci di fronte a un giudizio, la componente soggettiva è imprescindibile.
Le pronunce giurisprudenziali in materia di fotografia non sono molte, in realtà, e anche in questo ambito si discute sul livello di creatività richiesto per la protezione. Sembra però di poter cogliere un dato: ciò che sostanzialmente viene richiesto ai fini della protezione autorale è che dall’immagine traspaia la personalità dell’artista e il suo modo di vedere la realtà.
Così ad esempio la giurisprudenza italiana ha affermato che “la creatività che contraddistingue l’opera fotografica e la differenzia dalle semplici fotografie non può prescindere da un’attività di interpretazione del dato oggettuale che muove dalla lettura di quel dato secondo la personalità dell’autore e si propone di isolare e trasmettere al fruitore dell’opera il nucleo comunicativo ed emotivo in essa racchiusa” (App. Milano, 20 settembre 2010) e la Corte di Giustizia ha affermato che sono opere fotografiche quelle “che rispecchiano la personalità dell’autore”, cosa che “si verifica se l’autore ha potuto esprimere le sue capacità creative nella realizzazione dell’opera effettuando scelte libere e creative” (Corte Giust. UE, 1° gennaio 2011, causa C 145/10).
L’ESEMPIO DI THOMAS RUFF
Il principio che emerge dalle decisioni è chiarissimo: una foto è “opera” quando l’autore non si limita, tramite lo strumento meccanico, a riprodurre la realtà, ma riesce a carpire dal dato reale ciò che corrisponde al suo personale modo di vederlo, sentirlo e interpretarlo.
Se il principio è chiaro, la sua concreta applicazione potrebbe creare non pochi imbarazzi.
Esempio: pensiamo alla serie Portraits di Thomas Ruff, considerato uno dei maestri della fotografia contemporanea. Si tratta appunto di ritratti a mezzo busto che imitano il formato della fototessera, con uno sfondo bianco e uniforme, i volti appiattiti da una luce che cancella ogni ombra che possa suggerire le caratteristiche psicologiche della persona ritratta. È lo stesso Ruff ad affermare che i suoi ritratti sono la negazione di qualsiasi concezione psicologizzante dell’immagine: non vogliono far trapelare nulla delle persone rappresentate, ma mostrare unicamente come funziona il ritratto dal punto di vista fotografico.
Possiamo ben dire che in un caso del genere è davvero difficile per un giudice riuscire a cogliere la “soggettività” del fotografo; e d’altronde Ruff è uno dei maggiori rappresentanti dello stile fotografico dell’oggettività e dell’impassibilità, conosciuto come “scuola di Düsseldorf”, secondo cui la fotografia è solo “rappresentazione”. Ed è proprio attraverso questo stile “oggettivo” che Ruff esprime la sua cifra “soggettiva”.
Siamo quasi certi, però, che se un giudice, a meno che non sia un appassionato di fotografia e di storia della fotografia, si trovasse di fronte a un ritratto dell’artista tedesco, prodotto in atti in una causa di plagio, escluderebbe qualsiasi tutela autorale.
Ma se a quel giudice venisse spiegato che si tratta di uno scatto di uno dei fotografi contemporanei più famosi, che si inserisce in una “scuola” e che i suoi lavori sono esposti anche al MAXXI di Roma, le cose cambierebbero.
AUTORALITÀ E PREGIO ARTISTICO
Qualche rara pronuncia, per affermare la tutela autorale di un’opera fotografica, fa riferimento alla “rilevante fama” del fotografo e al fatto che la foto sia dotata di “pregio artistico” (Trib. Roma, 20 dicembre 2006) o al fatto che le sue opere siano comparse in “pubblicazioni di pregio artistico” (Pret. Torino, 27 maggio 1996).
In punto di diritto, queste decisioni non dovrebbero considerarsi corrette, se non altro nella parte in cui parlano di “pregio artistico”: come abbiamo detto il criterio della meritevolezza è escluso dalla Legge Autore.
È tuttavia lo stesso “mondo dell’arte” a utilizzare criteri simili: la teoria istituzionale di Dickie afferma che un oggetto è arte solo se un certo mondo dell’arte lo definisce tale, indipendentemente da giudizi estetici e storici. Con specifico riferimento all’oggetto di cui ci stiamo occupando, Denis Curti ha recentemente affermato che “la galleria si costituisce come uno spazio per l’affermazione della sua [del fotografo, N.d.R.] autoralità e della qualità della sua produzione rispetto a quella massa di utenti e amatori conquistati dalla semplicità dello strumento fotografico, ma privi di qualsiasi interesse nei confronti della ricerca e della riflessione sul linguaggio” (Collezionare fotografia in Italia, Denis Curti e Sara Dolfi Agostini, 2014)
Delle pronunce citate possiamo tenere buoni degli aspetti: anche dal punto di vista giuridico una fotografia, per quanto magari esteticamente non bella e dalla quale non trapela (volutamente), almeno da parte di uno sguardo non allenato, la “soggettività” del fotografo (criterio principale, come abbiamo visto, utilizzato dalla giurisprudenza per riconoscere la tutela autorale), può a buon diritto essere considerata opera quando il mondo dell’arte l’ha definita tale: se la produzione del suo autore è apparsa quindi in musei, mostre, gallerie, cataloghi, aste, fiere, magari proprio a MIA.
‒ Federica Minio
Estratto dall’articolo pubblicato sul sito web dello studio legale Morri e Rossetti – http://morrirossetti.it/
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