La Land Art e il suo attuale messaggio, tra diritto e natura
L’avvocato Simone Morabito, dello studio legale tributario Morabito, fa il punto sugli aspetti legali e giuridici della Land Art.
Il fenomeno della Land Art o Earth Art o Arte ecologica sta ottenendo sempre più interesse da parte del pubblico per l’obiettivo raggiunto dagli artisti che realizzano tali lavori, ossia intervenire temporaneamente nel binomio opera dell’uomo/opera della natura e attendere che la prima venga fagocitata dal cambiamento naturale. Questo interesse si espande anche in ambito giuridico, stante la difficoltà di inquadramento normativo e di tutela dei diritti dell’artista, in particolare il diritto di proprietà del bene realizzato.
La Land Art nasce negli Stati Uniti nel decennio 1960-70, ma è solo nel ’69 che per la prima volta in California Gerry Schum usa questo termine per definire l’attività di un gruppo di artisti, tra cui Jan Dibbets, Richard Long, Barry Flanagan, Dennis Oppenheim, Walter De Maria, Christo Javacheff, che effettuano interventi sul paesaggio naturale, sfruttando i suoi stessi elementi senza alterarlo in modo permanente, ma inducendo solo momentanei cambiamenti.
Le opere così realizzate sono caratterizzate dalla loro natura provvisoria e transitoria (in quanto non stabilmente fissate nel luogo in cui sorgono) e al tempo stesso risultano destinate a subire un degrado naturale che restituisce i luoghi al loro stato originario.
In merito, pare significativo ed eloquente quanto affermato dall’artista Douglas Huebler: “Le parti durevoli esistono solo nella documentazione entro un periodo di tempo predeterminato“. La Land Art introduce, dunque, il concetto di tempo come elemento fondamentale dell’opera.
Tale corrente, se da una parte esprime una forma d’arte caratterizzata dal requisito della materialità, posto che le sue opere sono realizzate su superfici tangibili, dall’altra mostra le sue peculiarità, sia per la peculiarità del supporto materiale (non più una tela o un supporto mobile, ma la natura stessa), sia per il suo evidente carattere effimero.
Eppure, nonostante la loro natura effimera, le opere di Land Art rientrano appieno nella disciplina e tutela della Legge sul diritto d’autore (L.n.633/1941, LDA). Come agevolmente riscontrabile da una semplice lettura dell’art.2 LDA, che contiene un elenco – non esaustivo – delle opere protette dal diritto d’autore, pare evidente che tra queste siano ricomprese anche quelle di Land Art, trattandosi di opere “della scultura, della pittura, dell’arte del disegno, dell’incisione e delle arti figurative similari”.
“Per gli artisti contemporanei realizzare opere di Land Art si traduce nel dare nuova forma a ciò che la natura mette a disposizione”.
Altro aspetto peculiare insito in tali opere è il loro carattere ecologico. Come poc’anzi accennato, è la natura stessa a determinare i tempi di durata dell’opera realizzata, a definirne gli spazi e i confini. In tal modo, si determina un ribaltamento delle prospettive: non è più l’uomo a imporsi sulla natura, ma è la natura stessa a essere posta in primo piano, divenendo il fulcro (e la struttura) dell’opera d’arte stessa. Per gli artisti contemporanei realizzare opere di Land Art si traduce nel dare nuova forma a ciò che la natura mette a disposizione. L’opera creata è destinata a mutare con il passare del tempo, sino a scomparire. È un concetto d’arte nel quale l’esperienza vissuta nell’eseguirla è persino più importante del risultato finale, destinato a scomparire.
Da un punto di vista giuridico, assume rilevanza primaria la tutela dell’integrità dell’opera.
Nell’ordinamento italiano sono riconosciuti due specifici diritti: il primo, di natura patrimoniale, è disciplinato dall’art.18 L.D.A., a monte del quale l’autore ha il diritto esclusivo di introdurre nell’opera qualsiasi modificazione. Il secondo, invece, attiene i diritti morali dell’artista, consistenti nel diritto di rivendicazione della paternità dell’opera nonché di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione e a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione (art. 20 LDA).
Non è possibile trattare di Land Art senza citare alcune tra le opere più significative e straordinarie. Tra queste si vuole ricordare The Floating Piers, anche al fine di onorare la memoria e celebrare la visione artistica del suo autore, Christo Vladimirov Javacheff, conosciuto come Christo, scomparso il 31 maggio nella sua casa di SoHo, a New York, per cause naturali. Si tratta di una passerella realizzata dall’artista, con la moglie Jeanne-Claude, sul lago d’Iseo, divenuta l’evento espositivo più visitato in Italia nel corso del 2016, con oltre un milione di visitatori, che hanno potuto camminare sui pontili galleggianti da Sulzano a Monte Isola e da lì all’isoletta di San Paolo.
In un’intervista resa al New York Times negli Anni Novanta, Christo così dichiarava:
“Lo sapete che non ho alcuna opera esistente? Tutte scompaiono quando sono finite. Ho solo gli schizzi e questo rende in qualche modo il mio lavoro leggendario […] Ritengo che ci voglia più coraggio a creare cose che poi se ne vanno, che a creare cose che restano”.
In quest’ultima frase riteniamo sia racchiusa l’anima stessa della Land Art.
Anche nel contesto attuale di pandemia, molti artisti contemporanei hanno voluto interpretare le paure e i desideri innescati dal Coronavirus, utilizzando il canale artistico anche per trasmettere un messaggio di speranza alla popolazione mondiale.
L’INTERVENTO DI SAYPE IN SVIZZERA
Così, nell’ambito della Land Art, il giovane artista svizzero-francese Guillaume Legros, in arte Saype (da sempre impegnato, nella sua carriera artistica, ad affrontare tematiche di ecologia, politica, cultura ed etica), ha realizzato un’immensa opera intitolata Beyond Crisis. Il dipinto, realizzato nella località alpina di Leysin, in Svizzera, misura 3000 metri quadrati circa ed è stato eseguito con vernici biodegradabili a base di pigmenti naturali come carbone e gesso.
Rappresenta una bambina che, accoccolata sull’erba in un prato verde, guarda verso l’orizzonte. In lontananza, i suoi occhi scorgono i monti ancora innevati. Ha accanto un astuccio pieno di gessetti o pastelli a cera, con cui ha disegnato a terra un girotondo.
È chiaro il messaggio sotteso a tale opera d’arte: al termine dell’emergenza Coronavirus dovremo guardare tutti uniti in una sola direzione.
Il cambiamento imposto dal Coronavirus sembra una sofferenza difficile da sopportare, anche se l’umanità ha affrontato sfide senza dubbio più importanti. Eppure, ci troviamo ora nella condizione in cui tutti i pilastri della società attuale, quali tecnologia, globalizzazione, mercato e progresso scientifico, si trovano improvvisamente a scontrarsi con la fragilità dell’essere umano.
Si tratta, a ben vedere, della paura dell’inaspettato: l’uomo credeva di essere in grado di prevedere e controllare tutto e si è reso improvvisamente conto della sua debolezza, nell’istante in cui la biologia esprime inesorabilmente la sua rivolta.
Come scrisse Pascal: “L’uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c’è bisogno che tutto l’universo s’armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta a ucciderlo. Ma, anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità dell’universo su di lui; l’universo invece non ne sa niente”.
Ecco allora che in un momento in cui l’esistenza fisica dell’uomo è messa a dura prova, l’arte contemporanea – ancora una volta – dona al suo pubblico non soltanto il piacere estetico, ma anche un forte messaggio di speranza e un respiro positivo verso il futuro che ci attende.
‒ Simone Morabito
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