Perché il DL “Semplificazione” non semplifica: il rischio della paralisi a Roma
Rigenerazione di mezza estate: Il DL 76/2020 (chiamato Decreto Semplificazione) nasce per semplificare ed incastra tutto in maniera inesorabile. Soprattutto a Roma
Chi scrive si dedica da svariati anni ad analizzare ed a praticare metodologie relative alla realizzazione di interventi di trasformazione e miglioramento dei tessuti e delle realtà urbane, attraverso gli strumenti di quella disciplina spesso impropriamente chiamata Rigenerazione Urbana. Questa insolita passione nasce dalla consapevolezza, acquisita in anni in cui ancora qualcuno teorizzava di ampliare ancora il territorio della città, cercando di includere, in un già vasto Piano Regolatore, nuove aree (cosiddette “di riserva”) da inserire tra quelle trasformabili ed edificabili.
DL SEMPLIFICAZIONE E IL CASO DI ROMA
Oggi è evidente come la trasformazione di una città contemporanea deve avvenire principalmente lavorando dal suo interno, valorizzando, ed appunto rigenerando, territori dove coesistono funzioni urbane ormai non più attive con tessuti sociali e geografici di grande interesse, con forti identità e con imperdibili episodi di autenticità. Il caso di Roma in questo senso è emblematico. Una città vastissima al cui interno troviamo aree verdi che arrivano sino al suo centro vitale, edifici industriali e pubblici dismessi ed abbandonati, in zone dove il loro valore, previa trasformazione da contenitori senza contenuto in ambiti vivi e utilizzati, può essere enorme e condiviso tra tutti i cittadini, sia in termini di valorizzazione della piccola proprietà immobiliare, sia di miglioramento della qualità della vita. La trasformazione di ambiti urbani, dove sono presenti criticità urbanistiche, identità sociali, aree ed immobili in genere sottoutilizzati, può essere uno strumento imprescindibile per migliorare la vita e l’economia in genere di questa, come di mille altre città.
Se si opera in territori dove le persone vivono e sono legate tra di loro da caratteri di identità e vicinato, l’elemento principale da cui partire sono proprio queste persone; i loro problemi e desideri devono essere posti al centro del programma, utilizzando le risorse del territorio in termini di valore immobiliare inespresso, coinvolgendo cittadini, associazioni e in generale stakeholder locali in processi trasparenti ed in grado di generare valore per tutti.
DL SEMPLIFICAZIONE E RIGENERAZIONE URBANA
Questo è in sintesi l’obiettivo che ha trovato un primo esito nella Legge della Regione Lazio n.7/17, nell’attesa di una normativa nazionale che consentisse trasformazioni non più costrette all’interno di un sistema di regole generali, ormai datato e poco adatto a gestire processi complessi e nuovi.
Per questo motivo l’attenzione che il DL 76/2020 cosiddetto “Semplificazione”, ha posto su alcuni dei temi legati alla rigenerazione urbana poteva essere una buona occasione, che allo stato attuale però oscilla tra una buona occasione mancata ed una significativa possibilità di mettere la parola fine ad ogni possibilità di realizzare quanto sopra descritto. Una buona occasione mancata perché definisce con maggior chiarezza alcuni elementi utili, quali i titoli di legittimità degli immobili esistenti, le tolleranze dimensionali negli interventi, chiarendo meglio le possibilità insite nel termine “ristrutturazione edilizia”. Purtroppo nulla indica in merito alla metodologia da utilizzare in ambiti urbani, dove la partecipazione dei cittadini ai processi e la necessità di garantire una buona qualità architettonica, anche attraverso il coinvolgimento degli strumenti propri dell’arte contemporanea, risultano completamente assenti. Nel dispositivo non sono presenti elementi indispensabili di innovazione culturale del processo – innovazione sino ad un certo punto, visto che basterebbe guardare nella storia delle nostre città d’arte per “scoprire” come l’arte è sempre stata sorella dell’architettura nel formare spazi che fossero espressione di identità e desideri condivisi, garantendo città migliori e più armoniche.
DL SEMPLIFICAZIONE: UNA OCCASIONE MANCATA?
Ma i nostri legislatori, forse intimoriti da una eccessiva “semplificazione”, inseriscono alcune righe di testo normativo con cui potrebbero, appunto, mettere la parola fine a quanto negli obiettivi della norma si auspica. Infatti all’art. 10 del 76/20 nel comma 1 lettera a) scrivono che “Nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione, sono consentiti esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale” appesantendo, in maniera insostenibile per qualsiasi investitore, il processo di trasformazione, costringendolo ad un iter lunghissimo che attraversa non solo tutta la burocrazia amministrativa, ma riserva l’ultima parola all’assemblea del Consiglio Comunale, con implicazioni che non possiamo esitare a definire kafkiane. Non contento, sempre all’art. 10 comma 1, ma alla lettera b) n. 2 leggiamo “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”. Come se tutti gli strumenti e gli Enti di tutela (dalle Soprintendenze agli Uffici Regionali per gli ambiti speciali), fossero inutili. Occorre inoltre precisare che la zona A del piano regolatore magari in alcune città è un’area ragionevole che protegge solo il cuore storico e antico della città, mentre ad esempio a Roma è un territorio enorme che non comprende il solo centro storico il quale invece ne costituisce solo un settimo. La zona A di Roma parte dal Tiburtino ed arriva sino a Valle Aurelia, alla Cassia e l’EUR, per un totale di quasi 7000 ettari. In tutta questa zona nulla si potrà trasformare, e se qualcuno avrà voglia di demolire un vecchio osceno palazzo degli anni Sessanta o Settanta, dovrà ricostruirne un altro identico, che ricalchi perfino gli abusi e le superfetazioni sanate negli anni. In sostanza si butta via il bambino con l’acqua sporca. Secondo la logica scellerata di costruire solo dove è/era come è/era, con buona pace dell’innovazione e ri-funzionalizzazione dei tessuti urbani e in ossequio ai criteri architettonico/ideologici sostenuti negli anni Ottanta e Novanta dal… Principe Carlo di Inghilterra.
LA PAURA DELLA PARALISI
Come è possibile che sia avvenuto questo? Forse il governo è stato annebbiato da un mood tutto romano in cui gruppi organizzati di cittadini (comitati, associazioni…) si oppongono senza sosta a qualunque forma di rivitalizzazione della città in nome di un folkloristico ritorno al passato, invocando per la Capitale un rigor mortis che, a questo punto, non tarderà ad arrivare. Gruppi che simulano una partecipazione che tale non è, nella misura in cui coinvolge solo loro stessi e non porta tutto il corpus sociale ad essere coinvolto, consapevole e cosciente di reali pro e contro dei nuovi interventi, realizzando anche quel controllo dal basso dei processi, democratico e reale, unico antidoto ad eventuali speculazioni sulla pelle del nostro patrimonio culturale e paesaggistico. Gruppi, a quanto pare, molto influenti sull’esecutivo…
Per questo il DL nella sua conversione in Legge, va emendato dalle insensatezze sopra elencate ed arricchito anzi di indicazioni sulla qualità dei progetti e dei processi di partecipazione reale e democratica, quali strumenti essenziali nelle trasformazioni e rigenerazioni dei tessuti cittadini.
-Raffaele Giannitelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati