Tutela dell’architettura contemporanea: spunti di riflessione a partire dal caso Geco
Riflessioni a margine della bufera scoppiata a Roma dopo che lo street artist Geco è intervenuto su due esempi di architettura contemporanea: una delle due Torri Piezometriche della Stazione Termini di Roma e il mercato Metronio di via Magna Grecia.
Il 9 novembre 2020 la Sindaca di Roma Virginia Raggi annuncia sul proprio profilo Facebook l’identificazione e la perquisizione dell’appartamento del noto – e “imprendibile” – writer romano Geco: “Centinaia di bombolette spray, migliaia di adesivi, funi, estintori, corde, lucchetti, sei telefoni cellulari, computer, pennelli, rulli e secchi di vernice. Si tratta del materiale che il Nucleo Ambiente e Decoro della nostra Polizia Locale ha sequestrato al writer”.
La notizia in poche ore fa il giro del web, scatenando decine di commenti, articoli e post pubblicati da parte di chi, indignato per il clamore mediatico, condanna l’entusiasmo della Giunta capitolina, evidenziando, invece, gli innumerevoli e ben più rilevanti problemi che affliggono Roma.
Geco, che si definisce un “bomber” (colui che pratica il “bombing”, l’arte dei graffiti che consiste nel coprire numerose superfici con throw-up o tag, semplici e veloci da realizzare), ha letteralmente tappezzato Roma con tag, adesivi, throw-up, “bianconi” (pezzi di grandi dimensioni riempiti con vernice a rullo) o “blockbuster” (lettere gigantesche del suo nome), stampati in luoghi spesso impraticabili. Tra questi spiccano, per la rilevanza architettonica degli edifici su cui insistono, i blockbuster realizzati: uno su una delle due Torri Piezometriche della Stazione Termini di Roma, site in via Giovanni Giolitti e in piazza di Porta San Lorenzo, progettate da Angiolo Mazzoni nel 1939, ove ora troneggia la scritta “GECO”, in azzurro e bianco; l’altro sul mercato Metronio di via Magna Grecia, progettato dall’architetto Florestano Di Fausto e dall’ingegnere Riccardo Morandi, tra il 1956 e 1957, su cui Geco ha impresso la scritta “GECO TI METTE LE ALI”.
TUTELA E PERCEZIONE DELLE OPERE ARCHITETTONICHE CONTEMPORANEE
Il caso mediatico creatosi attorno al writer Geco rappresenta un buon punto di partenza per interrogarsi su quella che è, da un lato, la percezione collettiva attuale dell’architettura contemporanea e, dall’altro, sugli strumenti normativi posti a tutela della stessa.
Le Torri Piezometriche di Mazzoni sono costruzioni in travertino con una svettante torre idrica cilindrica corredata da una scala esterna che l’avvolge: nel gergo ferroviario una torre dell’acqua o torre piezometrica è il serbatoio di riserva di acqua in dotazione ai principali impianti e infrastrutture ferroviarie per le esigenze connesse al servizio, accessorio indispensabile per il funzionamento delle locomotive a vapore.
Il mercato Metronio è una struttura polivalente, un mercato più relativa autorimessa con la famosa rampa elicoidale: gli infissi girano tutt’intorno all’edificio con un andamento a sega determinato dalla disposizione interna dei posti auto. È stato riconosciuto come un notevole esempio di architettura modernista e di grande valore artistico: l’edificio – seppur non sottoposto ad alcun vincolo – è stato inserito tra le “opere di eccellenza” nel Censimento delle architetture contemporanee del MiBACT.
Fatte queste precisazioni – doverose – sull’importanza degli edifici su cui il writer ha apposto la propria firma, ci si domanda se un’opera di architettura contemporanea possa essere considerata “monumento”, intesa – secondo l’etimologia latina, da monere, admonere cioè “ricordare”, “rimandare a” – come un oggetto dal significato simbolico e rappresentativo, in grado di comunicare a più “utenti” possibili un determinato messaggio sotteso.
Se dagli storici le architetture sono spesso considerate “monumenti”, come nel caso delle architetture olivettiane, che incarnano i principi fondativi del programma socio-economico di Adriano Olivetti e il suo concetto di “modernità” architettonica, la medesima percezione non è riscontrabile nella “collettività” che, evidentemente, manca di un’appropriata sensibilità verso un patrimonio che non rappresenta ancora un bene di valore per l’immaginario comune.
Di fatto, anche agli occhi dei writer – e, nel caso concreto, di Geco – le architetture moderne non sono evidentemente considerate monumenti, altrimenti, si spera, verrebbe abitualmente applicata anche a tali costruzioni la legge (non scritta) in uso tra gli street artist secondo la quale i monumenti per il loro significato “valoriale” non andrebbero “intaccati”.
Gli strumenti a tutela dell’architettura contemporanea sia perché legati all’autore e non all’opera (legge sul diritto d’autore), sia perché purtroppo ancorati al vincolo temporale che non considera la fetta più rilevante di patrimonio novecentesco, risultano essere pressoché inadeguati e si scontrano inoltre con una disaffezione pubblica.
CHE COSA DICE LA LEGGE
Piccoli passi avanti sono stati fatti: nel 1999 è stato avviato il censimento regionale degli archivi privati di architetti e ingegneri, creando una banca dati, oggi confluita nel portale degli archivi degli architetti del MiBACT, cui si affianca una banca dati complementare, quella dell’architettura contemporanea, che raccoglie i risultati del parallelo censimento regionale delle architetture di qualità dal 1945 a oggi avviato dal MiBACT nel 2001. Da ultimo, è del 2014 la formazione della Direzione generale per l’arte e l’architettura contemporanee e le periferie urbane che ha sicuramente dato un nuovo segnale. Ma non basta.
Non è, infatti, ancora acquisita al patrimonio comune una coscienza capace di apprezzare e interessarsi a un patrimonio la cui estetica non è di facile lettura e, pertanto, risulta difficilmente meritevole agli occhi dei non addetti ai lavori: una cattedrale romanica o un palazzo seicentesco sono già “entrati” nel patrimonio estetico della collettività, dunque risultano più affascinanti di una palazzina brutalista. Sono quindi maggiormente degni di tutela, anche agli occhi di chi, come i writer, tra l’imprimere il proprio tag su una chiesa gotica o su un palazzo razionalista, d’impulso, sceglierebbero il secondo.
LA CASA ALBERO E IL PALAZZETTO DELLO SPORT
Un esempio eccellente è rappresentato dalla c.d. “Casa albero” o “Casa sperimentale” progettata da Giuseppe Perugini, Raynaldo Perugini e Uga De Plaisant, costruita a Fregene alla fine degli Anni Sessanta. È un edificio fotografato, visitato (nonostante sia proprietà privata) da architetti, fotografi, appassionati, utilizzato come set di video musicali e campagne pubblicitarie. Venne concepita come una “follia” architettonica, un nido a forma di cubo in cemento armato e ferro rosso, una palafitta su uno specchio d’acqua, un gioco di costruzioni creato da una famiglia di architetti. Tale edificio, nonostante la sua notorietà, è vandalizzato, deturpato, non solo dalla vicinanza del mare (la salsedine intacca il calcestruzzo) ma, soprattutto, da chi, entrando abusivamente, ha ritenuto di voler “lasciare” un segno del proprio passaggio.
Seppure la casa albero sia percepita ormai dalla collettività come una “meraviglia” architettonica, versa in grave stato di abbandono, nonostante gli autori siano ancora viventi. È un’opera “di tutti”, tutelata da nessuno. Lo stesso potrebbe dirsi in riferimento al Palazzetto dello Sport di Nervi costruito per le Olimpiadi del ‘60, un “pantheon schiacciato, dal bordo ondulato” studiato da architetti e ingegneri di tutto il mondo per le caratteristiche strutturali ma, attualmente, in totale disuso.
PATRIMONIO E CONSAPEVOLEZZA
Il problema centrale è quindi – tanto in riferimento a chi lavora nel settore (architetti, funzionari pubblici ecc.), tanto in riferimento ai cittadini – capire quale patrimonio riconoscere, valorizzare e di conseguenza tutelare, in un’ottica di conservazione.
L’interesse verso tali fragili costruzioni richiede una sensibilità peculiare, che può attuarsi con la conoscenza del bene e della sua storia, con l’acquisizione della consapevolezza che ogni iniziativa programmata dovrà salvaguardarne l’integrità, tutelare l’identità e migliorarne la percezione senza trasformare le caratteristiche formali e la percezione originaria. Solo la conoscenza del patrimonio consente di saperlo leggere, analizzare, valutare in maniera critica, riconoscendo cosa salvaguardare, valorizzare ed eventualmente trasformare, da cosa invece dimenticare o sostituire.
Quali sono, pertanto, le tutele normative a disposizione oggi dell’architettura contemporanea? Cosa accade quando alcuni di questi edifici d’autore, indispensabili testimonianze e portatori di valori nel continuum della storia urbana la cui risonanza è tuttora eredità culturale di pochi, sono materia di provvedimenti, trasformazioni e deterioramenti senza essere soggetti ad alcun vincolo?
LA TUTELA AUTORIALE
Per provare a rispondere a tali domande è necessario analizzare brevemente la normativa che è volta a tutelare gli edifici di architettura contemporanea: una tutela “indiretta” o “autoriale” data dalla L. n. 633/1941, che tutela l’autore dell’opera e, una tutela “diretta”, prevista dalle disposizioni del Codice dei beni culturali, D. Lgs. 42/04 e s.m.i.
La tutela autoriale ha a oggetto, ai sensi dell’articolo 2 n. 5, non solo le opere “compiute” dell’architettura, ma anche i disegni, purché questi siano caratterizzati da un grado di creatività che, secondo un orientamento consolidato della Cassazione (Cass. 23.1.1969 n. 175), deve sussistere “in misura modesta, non essendo richiesto un particolare grado del requisito stesso”.
La creatività cui si fa riferimento, però, si riferisce alla personalità dell’ideatore dell’opera (o disegno) e non alle caratteristiche qualitative dell’opera stessa. Come noto, il diritto autoriale sorge all’atto stesso della creazione, non essendo richiesto alcun atto formale o adempimento amministrativo: poiché, normalmente, la creazione di un’opera coincide con la pubblicazione della stessa, per le opere di architettura, ai sensi dell’art. 196, si considera il momento della fabbricazione. All’atto della creazione, l’autore acquista la titolarità dei diritti derivanti dall’aver “creato”: i diritti patrimoniali (artt. 12 e ss.) e i diritti morali (artt. 20 e ss.). Ai sensi dell’art. 18 co. 4 l’autore è titolare in via esclusiva del diritto di introdurre nell’opera qualsiasi modificazione: con ciò si impedisce che le opere vengano modificate senza il consenso dell’autore, consentendogli di opporsi a qualsiasi modifica che terzi abbiano posto in essere, anche se non lesiva dei suoi diritti morali.
La tutela autoriale dell’opera dell’architettura si estende, da una parte, dal controllo contro la riproduzione non autorizzata in copie e, dall’altra, dalla tutela contro la sua attuazione o esecuzione pratica non autorizzata.
È evidente come la tutela approntata dalla L. sul diritto d’autore presenti dei limiti che sono tanto normativi che applicativi. In riferimento ai primi, sorgono tre problematiche fondamentali: la tutela è diretta “all’autore” e non all’opera, ha quindi un destino strettamente connesso a un soggetto privato; il provvedimento di tutela nasce su iniziativa privata e, inoltre, progetti di intervento possono essere sottoposti solo all’autore e non alle Soprintendenze, che in tali casi hanno le “mani legate”.
Venendo alla tutela c.d. “diretta”, ancor prima del Codice dei beni culturali (o Codice Urbani), la c.d. “Legge Nasi” del 1902 impose all’azione di tutela su opere private “mobili” e “immobili” un blocco di 50 anni dalla realizzazione: di fatto tale limite temporale escludeva una fetta importantissima di architettura contemporanea, invisibile alla tutela. In attesa della decorrenza di tale periodo le opere sono sottoposte a degrado, abbandono, deturpamento e incuria.
Il D. L. 70/2011, convertito con modificazioni dalla L. 106/2011, ha prolungato a 70 anni il periodo per le opere di proprietà pubblica (D. Lgs. 42/04 art. 10 c. 5 sostituito dall’art. 4 co. 16 lett. a del D. L. 70 2011, convertito con modificazioni dalla L. 106/2011) con la conseguenza che architetture note in tutto il mondo, realizzate tra gli Anni Quaranta e Sessanta, sono prive di tutela. Un esempio: le opere di Pier Luigi Nervi, tra cui spicca (a opera anche di Antonio Nervi) lo stadio Flaminio di Roma e il Palazzetto dello Sport, realizzati per le Olimpiadi del ’60.
Ad agosto 2017 è entrata in vigore una nuova norma di modifica del Codice Urbani, che ha esteso il limite di 70 anni dalla realizzazione ai beni immobili e mobili di proprietà privata (L. 124/17, art. 1 co. 175, che ha modificato l’art. 10 co. 5 del C. Urbani): scomparsi i 50 anni della Legge Nasi, resta escluso dalla tutela e dal riconoscimento di interesse culturale per valore intrinseco del bene tutto il secondo Novecento!
Questo “lunghissimo” intervallo temporale, pur se introdotto per consentire un’appropriata obiettività al giudizio critico su opere di “recente” costruzione, in realtà non tiene conto che negli ultimi cinquant’anni la durata media di una corrente espressiva, fattore coadiuvante nel processo di storicizzazione, tende sempre più ad accorciarsi.
L’INTERESSE RELAZIONALE
Per fortuna, anche in Italia, come in buona parte dei Paesi del mondo ove non esistono vincoli temporali così stringenti, la soglia non impedisce che un edificio, anche recentissimo, possa essere tutelato per i legami con aspetti della storia o della cultura nazionali: questo grazie al c.d. interesse relazionale, attribuibile a un bene in riferimento a qualcosa che prescinde dalla sua materialità (e quindi non a un suo carattere intrinseco) (art. 10 co. 3 lett. d del C. Urbani).
L’articolo 11 del Codice Urbani, lett. e, prevede il riferimento alle “opere dell’architettura contemporanea di particolare valore artistico” inserite all’art. 11 tra le “cose oggetto” di specifiche disposizioni di tutela. Il riferimento è sempre alla L. 633/41 (art. 20, co. 2), che, ancora oggi è l’unico strumento normativo utile a definire provvedimenti di tutela per le architetture contemporanee, riconoscendo loro “particolare valore artistico” e che, come visto, rivela forti limiti: infatti è solo l’autore (o i suoi eredi) a poter promuovere l’azione di riconoscimento; la Soprintendenza, pertanto, non può agire d’ufficio.
Qualora, invece, una Soprintendenza intenda tutelare un’architettura contemporanea, quale bene di valore, deve servirsi degli ordinari strumenti: la dichiarazione di interesse particolarmente importante per le proprietà private e la verifica di interesse culturale per le proprietà pubbliche. Da un lato può riconoscere agli edifici un interesse di natura artistica o storico-architettonica (art. 10 co. 1 D. Lgs. 42/02) ma solo se l’edificio ha compiuto 70 anni dall’esecuzione. Oppure, come già riportato, senza alcun limite temporale, può riconoscere agli edifici un interesse particolarmente importante in ragione del loro riferimento alla storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, o come testimonianze della identità o della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose (art. 10 co. 3 lett. d, c.d. “interesse relazionale”). Questa seconda ipotesi, apparentemente più elastica, però comporta, una volta apposto il vincolo, l’inalienabilità ai sensi dell’art. 52 di tali edifici, se pubblici.
Il limite dei 50 anni è stato salvato, invece, introducendo un’ulteriore categoria di beni di “eccezionale” interesse per “l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione” (lett. d bis comma 3 e co. 5, art. 10 C. Urbani).
Oggi, quindi, al fine di superare completamente il blocco temporale, lo strumento più efficace è dato dal c.d. interesse relazionale che rappresenta l’unica seria alternativa per la tutela del patrimonio architettonico italiano del Novecento, seppur usato per pochissimi edifici.
LA QUALITÀ ARCHITETTONICA
Per tali motivi, gli uffici ministeriali sperano nella ripresa e conclusione dell’iter normativo di un disegno di legge sulla qualità architettonica (n. 2867), approvato dal Consiglio dei ministri dal lontano 2008, che prevede, tra l’altro, che la proposta del riconoscimento dell’importante valore artistico non spetti al solo autore, ma possa essere avanzata, ad esempio, dalla struttura ministeriale o dagli enti locali, e che il provvedimento sia trascritto nei pubblici registri immobiliari. Tra i punti significativi, l’erogazione di contributi per la conservazione, l’obbligo di comunicare alle Soprintendenze eventuali opere di trasformazione e la facoltà di revocare il riconoscimento in caso di eccessiva trasformazione.
L’approvazione di una legge di tale spessore risolverebbe, almeno in parte, il problema dell’ingente e sottovalutato patrimonio architettonico del Novecento italiano che, al pari degli altri beni facenti parte del patrimonio culturale, meriterebbe adeguata tutela.
‒ Giada Iovane – Studio Legale E-Lex
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