Un nuovo localismo costituzionale per la cultura
Come si possono mettere insieme gli articoli 9 e 118 della nostra Costituzione nella “nuova normalità” che farà seguito alla pandemia? Come coniugare Stato e territori? Non sarà forse il caso di tornare ai fondamentali e quindi a chiederci non tanto “come” ma “per chi” facciamo quello che facciamo? L'editoriale di Irene Sanesi.
L’espressione presa in prestito nel titolo ci rimanda a un ossimoro apparente, ricongiungendo le istanze particolari dei nostri territori – la dimensione locale, appunto – con la dimensione nazionale fondativa che i padri costituenti prima e la riforma del titolo V poi hanno tratteggiato per il Belpaese. L’articolo 9, “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione” con l’articolo 118, ultimo comma: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
“Abbiamo da rispolverare la fatidica domanda ‘per chi?’ e non solo ‘come’ operiamo, viviamo, esistiamo. Abbiamo bisogno di riappropriarci di una forma mentis sistemica, come indicano i padri costituenti, senza creare separazioni e riduzionismi”.
L’emergenza causata dal Covid ha prodotto reazioni diverse che hanno evidenziato o enfatizzato aspetti come il digitale (in taluni casi con buone dosi di retorica), la spazialità (ben oltre il dicotomico binomio luogo/non-luogo), il lavoro (con nuove complesse dinamiche), la sostenibilità (non solo economica, quanto progettuale), la comunicazione (grande frainteso nell’era pre-Covid, quando i più facevano coincidere la comunicazione con i social e i comunicati stampa).
Questa ripartenza può essere una straordinaria occasione per riflettere sui fondamentali: quei punti fermi che nessun virus può spazzare via, le radici imprescindibili senza le quali tronco, rami, foglie, fiori e frutti, in una metafora colturale, non possono darsi. Assume centralità il ruolo della res publica: quell’insieme di soggetti privati e del terzo settore che non sono (solo) lo Stato, come per troppo tempo è stato letto l’articolo 9. Alla fine, infatti, sono sempre i soggetti “driven by purpuse not devoted to object” i veri agenti del cambiamento.
A CHI SI RIVOLGE LA CULTURA?
Abbiamo da rispolverare la fatidica domanda “per chi?” e non solo “come” operiamo, viviamo, esistiamo. Abbiamo bisogno di riappropriarci di una forma mentis sistemica, come indicano i padri costituenti, senza creare separazioni e riduzionismi, in una dimensione spazio-temporale che costitutivamente nasce per durare, per sopravvivere a chi ne è promotore.
Questo nuovo corso che ci viene affidato da un trauma, come sovente è accaduto nella storia, è una chiamata a sostenere percorsi di innovazione ed evoluzione, non soltanto progetti e buone cause. Questo è un punto fondamentale per tracciare il percorso camminando insieme: ciascuno nel proprio quotidiano, nel suo quartiere e nella sua città, sentendosi parte di qualcosa che non è un villaggio globale ma una comunità di persone. Una nuova e contemporanea forma di comunità, i cui riferimenti e radici sono stati la caverna, la piazza, la fontana, l’albero, la costruzione della cattedrale, di cui siamo più figli che eredi.
‒ Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #56
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